D’amore e ombra è un romanzo scritto nel 1984 da Isabel Allende, che scrisse durante il suo esilio in Venezuela.
“… furono come il primo uomo e la prima donna, prima del segreto originale. Non c’era posto per altri, lontano si trovavano la bruttezza del mondo o l’imminenza della fine, esisteva solo la luce di quell’incontro.”
Come già accadeva in “La casa degli spiriti”, questo romanzo di Isabel Allende usa come sfondo l’inquieto scenario della società cilena, ma la storia che ci narra acquista subito un tono originale e diverso da quello che caratterizzava il romanzo precedente.
Non si tratta più di una saga familiare dalle risonanze epiche, bensì del sorgere tra due giovani, impegnati entrambi in una indagine giornalistica, di una affettuosa amicizia che lentamente si trasforma in un amore destinato a consolidarsi in circostanze ostili.
Tutto ruota, fin dagli inizi, intorno a una ragazza, Evengelina, in preda a periodici stati di trance che raccolgono intorno a lei una piccola folla di devoti e di curiosi. Irene e Francisco, intenti a indagare sul misterioso fenomeno, sono testimoni involontari dell’intervento di un gruppo di militari che pretendono di ricondurre alla ragione “la famosa ragazzina”. Evangelina reagisce alla brutale intrusione ridicolizzando l’ufficiale che comanda i militari, e da questo episodio, apparentemente banale, prende l’avvio un’inquietante vicenda perché Evangelina, di lì a poco sequestrata dalle forze di polizia, viene data per “scomparsa”. I due giovani si mettono alla sua ricerca e sono presto costretti a percorrere una triste trafila che li porta dai commissariati alle carceri, dalla morgue ai campi di concentramento, mentre l’ombra di una spietata dittatura si proietta sempre più minacciosamente sulle loro indagini, volte a scoprire realtà che il regime militare intende celare. Sebbene quelle realtà non rivelino nulla che Francisco già non sappia, per Irene la scoperta ha una diversa portata, perché ella è costretta a uscire dal mondo protettivo che l’aveva circondata e a posare lo sguardo sull’orrore.
“Questa è la storia di una donna e di un uomo che si amarono in pienezza, evitando così un’esistenza banale. L’ho serbata nella memoria affinché il tempo non la sciupasse ed è solo ora, nelle notti silenziose di questo luogo, che posso infine raccontarla. Lo farò per quell’uomo e quella donna che mi confidarono le loro vite dicendo: prendi, scrivi, affinché non lo cancelli il vento.”
I.A.
La storia è frutto di un esperienza reale vissuta da alcuni conoscenti della scrittrice Isabel Allende, che trascrive le loro esperienze durante la dittatura instaurata nel 1973 da Pinochet. Gli espedienti narrativi sono comunque numerosi, ma questo non significa che la storia vera deragli sul binario della finzione.
Il primo giorno di sole fece evaporare l’umidità accumulata sulla terra dai mesi invernali e riscaldò le fragili ossa degli anziani, cui fu possibile passeggiare lungo i sentieri ortopedici del giardino. Solo il melanconico se ne rimase a letto, perché era inutile portarlo all’aria aperta se i suoi occhi
vedevano solo i propri incubi e le sue orecchie erano sorde allo schiamazzo degli uccelli. Josefina Bianchi, l’attrice, vestita col lungo abito di seta che mezzo secolo prima aveva indossato per declamare Checov, reggendo un parasole per proteggersi l’epidermide di porcellana screpolata, avanzava lentamente fra i cespugli che ben presto si sarebbero ricoperti di fiori e di api.
– Poveri ragazzi – sorrise l’ottuagenaria scorgendo un tremore sottile nel nontiscordardimé e indovinandovi la presenza dei suoi adoratori, quelli che l’amavano nell’anonimato e si nascondevano fra la vegetazione per spiare il suo passaggio.
Il colonnello si spostò di qualche centimetro sorretto dal girello di alluminio che fungeva da supporto alle sue gambe di cotone. Per festeggiare la nascente primavera e salutare il vessillo nazionale, come bisognava fare ogni mattina, si era disposto sul petto le medaglie di latta e di cartone fabbricate per lui da Irene. Quando lo scombuglio dei suoi polmoni glielo permetteva, gridava istruzioni alla truppa e ordinava ai bisnonni tremolanti di allontanarsi dal Campo di Marte, dove i fanti avrebbero potuto travolgerli col loro gagliardo passo da sfilata e gli stivali di vernice. La bandiera fluttuò nell’aria come un invisibile uccellaccio accanto ai fili telefonici e i soldati del colonnello si misero sull’attenti rigidi, sguardo dritto dinanzi a sé, rullio di tamburi, voci virili che intonavano il sacro inno udito solo dalle orecchie dell’anziano. Fu interrotto da un’infermiera in uniforme da campo, silenziosa e dissimulatrice come sogliono essere tali donne, provvista di un tovagliolo per nettargli la bava che colava agli angoli delle sue labbra e gli bagnava la camicia. Volle offrirle una decorazione o promuoverla di grado, ma lei gli girò la schiena e lo piantò lì con le sue buone intenzioni, dopo averlo avvisato che se si sporcava di nuovo addosso gli avrebbe somministrato tre sculacciate, perché era stufa di pulire cacca altrui. Di chi parla quell’insensata?, si domandò il colonnello deducendo che indubbiamente si riferiva alla vedova più ricca del regno. Solo lei usava pannolini nell’accampamento a causa di una ferita di cannone che le aveva distrutto l’apparato digestivo e l’aveva costretta per sempre su una sedia a rotelle, ma neppure per questo veniva rispettata. Alla minima distrazione le sottraevano forcine e nastri, il mondo è pieno di vigliacchi e di canaglie.
Dal libro è stato tratto l’omonimo film (Of Love and Shadows) regia di Betty Kaplan, del 1994, con Antonio Banderas.
1 commento
Sembra interessante 🙂 subito in lista 🙂
E.