Il regno del drago d’oro è un libro di Isabel Allende pubblicato nel 2003, secondo volume della trilogia per ragazzi, dedicata ai nipoti, “Le avventure dell’Aquila e del Giaguaro”
Nadia e Alex, già protagonisti di La città delle bestie e successivamente di La foresta dei pigmei, vivono una nuova avventura sulle nevi himalayane, alla ricerca del mistero del Drago d’oro, un’occasione unica per accostarsi alla spiritualità buddhista e alla saggezza antica di un popolo sapiente e pacifico.
“Affronta gli ostacoli mano a mano che si presentano: non sprecare energie per paura di quello che può accadere dopo.”
Il romanzo è ambientato circa ai nostri tempi, anche se non viene specificato l’anno, inizialmente a New York e successivamente in India, a New Delhi, infine a Tunkhala, in Tibet.
Un piccolo e paradisiaco paese, il Regno Proibito, incastonato tra le montagne dell’Himalaya, in un pacifico e millenario isolamento; un monaco buddhista che si dedica alla formazione spirituale del giovane erede al trono; la preziosa statua del Drago d’oro che ha il potere di predire il futuro in una lingua sconosciuta. E poi, ancora, tanti impressionanti personaggi, popoli e sette sanguinarie: il Collezionista, che nutre la follia di diventare l’uomo più ricco del mondo; lo Specialista, capo di una potente organizzazione criminale, scaltro e senza scrupoli; gli spietati Guerrieri blu, la Setta dello Scorpione, gli yeti. Questi sono gli ingredienti della nuova avventura di Nadia e Alexander, alle prese questa volta con il malefico piano di trafugare la statua dai poteri divinatori e di rapire il re del Regno Proibito, l’unico che può interpellarla. Tra i picchi innevati, verranno a conoscenza dei fondamenti della medicina orientale, delle arti marziali, del buddhismo. Durante la loro pericolosa missione, che richiede astuzia e coraggio, entrano in contatto con una cultura esemplare che arricchisce il loro innato desiderio di comprendere ciò che è nuovo e diverso. Grazie al loro cuore semplice e curioso, riusciranno infine a vincere la battaglia. Le peripezie saranno innumerevoli, ma la posta è alta: è in gioco l’armonia di un popolo sapiente che incarna i valori più nobili dell’umanità.
Tensing, il monaco buddhista, e il suo discepolo, il principe Dil Bahadur, avevano scalato per giorni interi le alte vette dell’Himalaya, la regione dei ghiacci perenni dove, nel corso della storia, solo pochi lama hanno messo piede. Non tenevano il conto del tempo che passava, non interessava a nessuno dei due. Il calendario è un’invenzione degli uomini; per lo spirito, il tempo non esiste, aveva insegnato il maestro all’allievo.
La cosa più importante in quel momento era la traversata che il giovane principe affrontava per la prima volta. Il monaco sapeva di averla portata a termine in una vita precedente, ma erano ricordi piuttosto confusi. I due seguivano le indicazioni di una pergamena e si orientavano con l’aiuto delle stelle, procedendo su un territorio dalle condizioni climatiche proibitive persino d’estate. La temperatura, di diversi gradi sotto lo zero, era sopportabile solamente un paio di mesi l’anno, quando non infuriavano temibili tempeste.
Anche con il cielo sereno, il freddo era pungente. Indossavano tuniche di lana e ruvidi mantelli di pelle di yak. Calzavano stivali di cuoio dello stesso animale, foderati di pelo e impermeabilizzati con il grasso.
Procedevano con estrema cautela perché uno scivolone sul ghiaccio poteva farli precipitare per centinaia di metri nei profondi crepacci che, come colpi d’ascia vibrati da un dio, fendevano le montagne.
Contro il cielo azzurro intenso si stagliavano le luminose cime innevate dei monti, verso le quali i due viandanti avanzavano lentamente per la rarefazione d’ossigeno dovuta all’altitudine. Facevano frequenti soste per abituare i polmoni. Provavano dolore al petto, alle orecchie e alla testa, sentivano nausea e spossatezza, ma nessuno dei due accennava alle debolezze del corpo; si limitavano a controllare la respirazione per trarre il maggior vantaggio da ogni singola boccata d’aria.
Erano alla ricerca di piante rare, essenziali per la preparazione di lozioni e balsami medicinali, che si trovavano unicamente nella gelida Valle degli Yeti. Se fossero sopravvissuti ai pericoli del viaggio, si sarebbero potuti considerare degli iniziati, dal momento che il loro carattere si sarebbe temprato come acciaio. Nel corso della traversata, in molte occasioni, la volontà e il coraggio erano messi a dura prova. Il discepolo avrebbe avuto bisogno di entrambe le virtù per portare a termine il compito che la vita gli aveva assegnato. Per questo il suo nome era Dil Bahadur, che nella lingua del Regno Proibito significa “cuore intrepido”. Il cammino verso la Valle degli Yeti rappresentava una delle ultime tappe della rigorosa formazione che durava ormai da dodici anni.
Il ragazzo non conosceva la vera ragione del viaggio, che andava ben oltre la ricerca delle piante curative o la sua iniziazione come lama superiore. Il maestro non poteva rivelargliela, così come non poteva parlargli di molte altre cose. La sua missione era guidare il principe in ogni tappa del suo lungo apprendistato; doveva temprare il suo corpo e il suo carattere, esercitarne la mente e mettere ripetutamente alla prova il valore del suo spirito. Dil Bahadur avrebbe scoperto più tardi la ragione del viaggio alla Valle degli Yeti, quando si sarebbe trovato dinnanzi alla meravigliosa statua del Drago d’oro.