La Foresta dei Pigmei è un libro di Isabel Allende pubblicato nel 2004, terza ed ultima puntata della trilogia per ragazzi, dedicata ai nipoti, ”Le avventure dell’Aquila e del Giaguaro”, preceduto da La città delle bestie e Il regno del drago d’oro .
“Il proprio credo si chiama religione, quello degli altri superstizione” commentò Kate
Ripeteva questo detto davanti a suo nipote tutte le volte che ne aveva occasione per inculcargli il rispetto per le diverse culture. Altri suoi motti preferiti erano: “La nostra è una lingua, quelle degli altri dialetti” e “I bianchi producono arte mentre le altre razze fanno artigianato”. Alexander aveva cercato di spiegare gli aforismi della nonna durante una lezione di scienze sociali, ma nessuno ne aveva colto l’ironia.”
Kate Cold, i suoi amici fotografi, il nipote Alex e l’inseparabile amica Nadia ricevono dal “International Geographic” l’incarico di preparare un reportage sui safari che si svolgono a dorso d’elefante. Si recano dunque nel cuore dell’Africa per una settimana di vacanza a diretto contatto con la natura selvaggia e traboccante.A Nairobi Alex e Nadia incontrano un’indovina che li avverte di un pericolo imminente: saranno costretti ad affrontare un mostro a tre teste, e solo se resteranno uniti riusciranno ad avere la meglio. Quando ormai la settimana ricca di avventure si è conclusa e un’intrepida pilota di aerei da turismo è giunta a prenderli per riportarli alla civiltà, entra in scena fratel Fernando, un missionario in cerca di aiuto. Non ha più notizie di due suoi confratelli che si sono persi in una regione inaccessibile. Fratel Fernando convince Kate e gli altri a fare una deviazione per accompagnarlo a Ngombué, la probabile meta dei due missionari. Atterrati per un imprevisto nel cuore della giungla, vengono soccorsi da una tribù di pigmei, cacciatori di elefanti, i quali, nel corso del viaggio verso Ngombué, spiegheranno che la loro tribù è caduta in disgrazia da quando la sacerdotessa Nana-Asante è stata sconfitta, l’amuleto che li proteggeva è stato loro sottratto e Ngombué è diventata feudo di tre terribili personaggi: il re Kosongo, il militare Mbembelé e il potentissimo stregone Sembo. Da allora i pigmei sono stati fatti schiavi: gli uomini sono costretti a cacciare e a procurare l’avorio delle zanne e i diamanti, le donne a occuparsi dei lavori faticosi del villaggio, mentre i loro figli, tenuti prigionieri, vengono sacrificati e dati in pasto ai coccodrilli quando la quantità di avorio e diamanti non soddisfa i loro aguzzini. Da qui inizia l’ultima avventura di Nadia e Alexander che, dopo essere entrati in contatto con il mondo dei morti e degli antenati, riescono a riportare l’armonia tra i pigmei grazie ai loro straordinari poteri.
“Esprimere il loro legame a parole equivaleva a definirlo, porre dei limiti, ridurlo; senza menzionarlo rimaneva libero e incontaminato. In silenzio, l’amicizia si era trasformata sottilmente, senza che se ne rendessero conto.”
A un ordine della guida Michael Mushaha, la carovana di elefanti si arrestò. Era ormai giunta la calura soffocante del mezzogiorno, il momento in cui, nella vasta riserva naturale, gli animali riposavano. La vita si fermava per qualche ora, la terra africana si trasformava in un inferno di lava bollente e persino iene e avvoltoi cercavano l’ombra. Alexander Cold e Nadia Santos montavano un elefante maschio capriccioso di nome Kobi. L’animale si era affezionato a Nadia, che in quei giorni si era sforzata di apprendere i rudimenti della lingua degli elefanti per poter comunicare con lui. Durante le lunghe passeggiate gli parlava del suo paese, il Brasile, una terra lontana in cui non vivevano creature grandi come lui, eccetto alcune antiche bestie leggendarie nascoste nell’impenetrabile cuore delle montagne sudamericane. La predilezione di Kobi per Nadia era pari all’antipatia che nutriva nei confronti di Alexander, e non perdeva occasione per esternare tali sentimenti.
Le cinque tonnellate di muscoli e grasso di Kobi si fermarono in una piccola oasi, sotto alcune palme polverose tenute in vita da una pozza d’acqua dal colore di tè al latte. Alexander aveva escogitato un sistema tutto suo per calarsi a terra da quei tre metri di altezza senza farsi troppo male, dato che nei cinque giorni di safari non era ancora riuscito a ottenere la collaborazione dell’animale. Non si rese conto che Kobi si era sistemato in modo da farlo atterrare direttamente nella pozza, dove sprofondò fino alle ginocchia. Borobà, la scimmietta nera di Nadia, gli saltò subito addosso. Alexander, cercando di liberarsi della scimmietta, perse l’equilibrio finendo con il sedere a terra. Imprecando a denti stretti, si scrollò di dosso Borobà e si rialzò a fatica, perché non vedeva nulla: gli occhiali grondavano acqua sporca. Si mise allora a cercare un angolo asciutto della maglietta per pulirli, ma uno spintone di Kobi lo fece cadere bocconi. L’elefante aspettò che si rialzasse per fare mezzo giro e collocare il suo monumentale posteriore in posizione opportuna, poi liberò una rumorosissima flatulenza proprio in faccia al ragazzo. Il coro delle risate degli altri membri del safari approvò lo scherzo.
Nadia non aveva fretta di scendere e preferiva attendere che Kobi l’aiutasse a raggiungere il suolo con dignità. Mise i piedi sulle ginocchia che le vennero offerte, si appoggiò alla proboscide e toccò terra con la grazia di una ballerina. L’elefante non riservava queste gentilezze a nessun altro, nemmeno a Michael Mushaha, per cui provava rispetto, ma non affetto. Era un animale dai princìpi chiari. Una cosa era portare a passeggio i turisti in groppa, un lavoro come un altro, per il quale veniva ricompensato con pasti eccellenti e acqua fangosa, e un’altra, ben diversa, era eseguire numeri da circo per una manciata di arachidi. Gli piacevano le arachidi, perché negarlo?, ma ancora di più gli piaceva tormentare persone come Alexander. Perché gli risultava antipatico? Non lo sapeva bene nemmeno lui, era una questione di pelle. Gli dava fastidio che fosse sempre attorno a Nadia. A disposizione c’erano tredici elefanti, ma lui voleva sempre montare insieme a Nadia: era molto indiscreto da parte di Alexander volersi intromettere fra lui e Nadia. Non si rendeva conto che avevano bisogno di intimità per poter conversare? Un bello scossone e un po’ di vento fetido di tanto in tanto erano il minimo che quel ragazzo si meritasse. Kobi emise un lungo sbuffo quando Nadia toccò terra e la ragazza lo ringraziò con un bel bacio sulla proboscide. Lei sì che conosceva le buone maniere e non lo umiliava mai offrendogli arachidi.
“Quest’elefante è innamorato di Nadia” disse ridendo Kate Cold, la nonna di Alexander.
A Borobà non piaceva la piega che stava prendendo la relazione tra Kobi e la sua padroncina. Li osservava, non senza preoccupazione. L’impegno di Nadia nel voler imparare la lingua dei pachidermi poteva implicare pericolose conseguenze per lei. E se per caso stesse pensando di cambiare mascotte? Forse era giunta l’ora di fingersi malata per recuperare la totale attenzione della padroncina, ma se poi Nadia avesse deciso di lasciarla all’accampamento si sarebbe persa le stupende passeggiate nella riserva. Era la sua unica possibilità di vedere gli animali selvaggi e, d’altro canto, non era saggio perdere di vista il rivale. Si piazzò quindi sulla spalla di Nadia, rivendicando in modo esplicito i suoi privilegi, e da lì minacciò con il pugno l’elefante.
“E la scimmietta è gelosa” aggiunse Kate.