Quello che non ci siamo detti è un romanzo di Marc Levy, pubblicato in Italia nel 2008, traduzione di Valeria Pazzi. Una commedia romantica piena di humour e di tenerezza, dove ritroviamo le atmosfere magiche e intense che hanno fatto il successo di Se solo fosse vero. Racconta, con la leggerezza e la grazia che da sempre illuminano la sua scrittura, la storia di due amori struggenti e imperfetti: quello di un padre verso la figlia e quello di due amanti che, senza saperlo, si cercano da tutta la vita.
“La memoria è una strana artista, ridisegna i colori della vita, cancella la mediocrità per conservare solo i tratti più belli, le curve più emozionanti di ciò che è stato.”
In una New York primaverile piena di sole e di promesse, Julia Walsh si prepara a sposare il ricco e rassicurante Adam, l’uomo con il quale è placidamente fidanzata da anni. La sua unica preoccupazione è riuscire a entrare nel magnifico abito taglia 40 che Stanley, il suo migliore amico e consulente d’immagine, ha scelto per la cerimonia. Ma a pochi giorni dalla data fatidica, una telefonata dell’assistente di turno la informa che Anthony Walsh – per tutti brillante e invidiato uomo d’affari, per lei solo un padre distante e distratto – non potrà accompagnarla all’altare. Per una volta, bisogna ammetterlo, ha un’ottima scusa: è morto.
Ma quando Anthony le compare inspiegabilmente davanti all’indomani del suo funerale, Julia si trova di colpo travolta da un’avventura sconcertante e meravigliosa: un viaggio nel tempo e fuori dal tempo che la costringe a incontrare davvero, per la prima volta, suo padre. A raccontargli verità fino a quel momento taciute perfino a se stessa, ad affrontare i nodi irrisolti della sua infanzia e a riscoprire la forza di un primo amore mai davvero dimenticato.
Leggete questo romanzo con la consapevolezza che si tratta di una storia irreale, una storia che parla dell’impossibile, ma che riesce ad essere profonda, leggera ed anche umoristica, Levy ritrova la magia nei tratti che hanno caratterizzato il suo primo successo per la felicità dei suoi fans.
«Allora, che te ne pare?»
«Voltati e fatti guardare.»
«Stanley, è mezz’ora che mi esamini dalla testa ai piedi, non ne posso più di stare su questa pedana.»
«Io darei un’accorciatina: è un sacrilegio nascondere quelle gambe!»
«Stanley!»
«Vuoi il mio parere, tesoro, sì o no? Voltati ancora, vediamo il davanti. Come pensavo. Décolleté, schiena: qui cade tutto allo stesso modo! Almeno,
se dovessi macchiarti, ti basterà girarlo.»
«Stanley!»
«Volevi la mia opinione, eccoti servita. E poi, mi fa orrore questa idea di comprare un abito da sposa in saldo. Perché non su Internet, già che ci sei?»
«Scusa tanto se con uno stipendio da grafico non posso permettermi di meglio.»
«Disegnatrice, tesoro! Dio, quanto detesto questo lessico del Ventunesimo secolo.»
«Uso il computer, Stanley. Non lavoro più con le matite colorate.»
«Disegni, immagini, però, dai vita a personaggi meravigliosi, quindi, computer o no, sei una disegnatrice, mia cara. Devi sempre discutere su tutto!»
«Il vestito lo accorciamo o lo lasciamo così?»
«Cinque centimetri. Poi bisognerà riprenderlo un tantino sulla spalla e stringerlo in vita.»
«Capito. Ti fa schifo.»
«Non ho detto questo.»
«Ma lo pensi.»
«Lascia che partecipi alla spesa e andiamo da Anna Maier. Ti supplico, per una volta, dammi retta.»
«A diecimila dollari il vestito? Tu sei completamente suonato! È troppo caro anche per te e poi, Stanley, è solo un matrimonio.»
«Il tuo matrimonio!»
«Lo so» sospirò Julia.
«Con tutti i soldi che ha, tuo padre avrebbe potuto…»
«L’ultima volta che ho intravisto mio padre, ero ferma al semaforo e lui stava passando in macchina sulla Quinta Avenue… Sei mesi fa. Fine della discussione.» Julia alzò le spalle e scese dalla pedana. Stanley la trattenne per una mano, la strinse tra le braccia.
«Mia cara, qualunque abito ti starebbe d’incanto. Vorrei solo che il tuo fosse perfetto. Perché non chiedi al futuro sposo di regalartelo?»
«Perché i genitori di Adam pagano già il ricevimento e francamente preferirei evitare di far sapere alla sua famiglia che sposa una miserabile.»
Con passo leggero, Stanley attraversò il negozio e si diresse verso un carrello appendiabiti vicino alla vetrina. Commessi e commesse chiacchieravano con i gomiti poggiati sul bancone, e non lo degnarono di uno sguardo. Stanley agguantò un tubino di raso bianco e tornò indietro.
«Prova questo, senza fare storie.»
«E’ una quaranta, Stanley, non ci entrerò mai!»
«Che cosa ti ho detto?»
Julia alzò gli occhi al cielo e si avviò verso il camerino che Stanley le indicava col dito.
«E’ una quaranta!» ripeté allontanandosi.
Qualche minuto dopo la tenda si aprì, bruscamente come s’era chiusa.
«Ecco finalmente qualcosa che somiglia all’abito da sposa di Julia» esclamò Stanley. «Risali subito su quella pedana.»
«Hai per caso un argano per farmi salire? Sai com’è, se piego un ginocchio…»
«Ti sta a meraviglia.»
«Se mangio anche solo un pasticcino, salteranno le cuciture.»
«Non si mangia il giorno del proprio matrimonio. Basterà allargarlo appena appena sul seno e sembrerai una regina. Santo cielo, ma è possibile avere un commesso in questo negozio? E’ inconcepibile!»
«Sono io che dovrei essere nervosa, non tu.»
«Non sono nervoso, mi sconvolge il fatto che, a quattro giorni dalla cerimonia, debba essere io a trascinarti a comprare l’abito da sposa.»
«Negli ultimi tempi non ho fatto altro che lavorare. Adam non dovrà mai sapere nulla di questa giornata, è da un mese che giuro che è tutto pronto.»
Stanley afferrò un puntaspilli abbandonato sul bracciolo di una poltrona e s’inginocchiò ai piedi di Julia.
«Tuo marito non si rende conto della fortuna che ha: sei splendida.»
«Smettila di sfottere, Adam. In fin dei conti cos’hai da rimproverargli?»
«Assomiglia a tuo padre…»
«Non dire sciocchezze. Adam non ha niente a che vedere con lui; anzi, non lo può soffrire.»
«Adam non può soffrire tuo padre? Un punto a suo favore.»
«No, è mio padre che non può soffrire Adam.»
«Tuo padre ha sempre odiato chiunque si avvicinasse a te. Se tu avessi avuto un cane, lo avrebbe morso.»
«Hai ragione. Il mio cane, se ne avessi avuto uno, gli avrebbe sicuramente azzannato un polpaccio» esclamò Julia ridendo.
«No, è tuo padre che avrebbe morso il cane!»
Stanley si rialzò e indietreggiò di qualche passo per ammirare la sua opera. Scosse la testa e inspirò profondamente.
«Cosa c’è ancora?» chiese Julia.
«E’ perfetto; o meglio, sei tu che sei perfetta. Lascia che sistemi il giro vita e
poi finalmente potrai portarmi a pranzo.»
«In un ristorante a tua scelta, caro Stanley.»
«Con questo sole, mi andrà benissimo il primo bar all’aperto; a patto che sia all’ombra e che tu smetta di agitarti, così riesco a dare l’ultimo tocco a
quest’abito… quasi perfetto.»
«Perché quasi?»
«Tesoro, è in saldo.» Una commessa gli si avvicinò e chiese se avessero bisogno di aiuto, ma Stanley la allontanò con un gesto della mano.
«Credi che verrà?»
«Chi?» chiese Julia.
«Tuo padre, sciocchina.»
«Smettila di parlarmi di lui, ti ho già detto che non ho sue notizie da mesi.»
«Questo non significa che…»
«Non verrà!»
«Ma tu ti sei fatta viva?»
«E’ un bel pezzo che ho rinunciato a raccontare la mia vita al suo assistente, dato che papà è sempre in viaggio o in riunione, e non ha tempo di parlare
con sua figlia.»
«Ma almeno gli hai mandato l’invito?»
«Hai finito?»
«Quasi. Siete come una vecchia coppia: lui è geloso. Tutti i padri sono gelosi. Gli passerà.»
«E’ la prima volta che ti sento prendere le sue difese. In ogni caso, se anche siamo una vecchia coppia, abbiamo divorziato da anni.»
Dalla borsa di Julia giunse la melodia di I will survive. Stanley la interrogò con lo sguardo.
«Vuoi il telefono?»
«Sarà sicuramente Adam, o magari lo studio…»
«Non muoverti, o rovinerai tutto il mio lavoro. Vado a prendertelo io.»
Stanley infilò la mano nella borsa di Julia, prese il cellulare e glielo porse. Gloria Gaynor tacque.
«Troppo tardi!» sbuffò Julia, guardando il numero indicato sul display.
«Adam o il lavoro?»
«Né l’uno, né l’altro» rispose lei accigliata. Stanley la fissò.
«Giochiamo agli indovinelli?»
«Era l’ufficio di mio padre.»
«Richiamalo.»
«Neanche per sogno! E’ lui che deve chiamarmi.»
«E’ quello che ha appena fatto, o no?»
«E’ quello che ha appena fatto il suo assistente. Ho riconosciuto il numero.»