Il rapporto Pelican è un legal thriller scritto da John Grisham, pubblicato nel 1992. Un romanzo ad alto tasso di tensione e suspence.
“In trentaquattro anni, Abraham Rosenberg aveva scritto non meno di milleduecento pareri. La sua produzione era fonte di continuo stupore per gli studiosi di diritto costituzionale. Ogni tanto ignorava i noiosi casi antimonopolio e gli appelli contro le tasse; ma se la questione presentava il più vago sentore di un’autentica controversia, ci si buttava a capofitto.”
La notte del 1° ottobre Abe Rosemberg, prestigioso membro della Corte Suprema americana, viene assassinato. Due ore più tardi Glenn Jensen, il più giovane dei colleghi di Rosemberg, viene strangolato in un cinema a luci rosse, probabilmente dallo stesso assassino. Il paese è sotto shock, Fbi e Cia brancolano nel buio. Chi poteva volere la morte dei due giudici? Darby Shaw, una brillante studentessa di legge, è convinta di aver trovato la risposta. Le sue ricerche l’hanno portata a scoprire un’oscura macchinazione che coinvolge le massime autorità. Ma chiunque venga a conoscenza della sua tesi, contenuta nel “Rapporto Pelican”, è destinato a morire. Darby è costretta a fuggire per tutti gli Stati Uniti, alla ricerca di qualcuno che le creda e che la possa aiutare. E fortunatamente incontra un uomo disposto a giocarsi la carriera e la vita per aiutarla.
“La osservavano, ed era piacevole. Jeans attillati, maglione abbondante, gambe lunghe, occhiali da sole che nascondevano gli occhi senza trucco. La videro chiudere la porta e incamminarsi a passo svelto in Royale Street, poi sparire dietro l’angolo. I capelli le arrivavano alle spalle e sembravano di un rosso scuro.
Era lei.”
A mio parere è un libro di grande suspence ed intrigo, una lettura avvincente, si divorano le pagine per vedere l’evolversi della vicenda. Credo sia tra i libri migliori di Grisham, imperdibile.
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A guardarlo non si sarebbe certo detto che fosse capace di causare un tale trambusto, ma quello che vedeva là sotto era in gran parte imputabile a lui. E andava bene così. Aveva novantun anni, era paralizzato, inchiodato su una sedia a rotelle e collegato a una bombola di ossigeno. Il secondo ictus, sette anni prima, aveva rischiato di ucciderlo, ma Abraham Rosenberg era ancora vivo, e perfino con i tubicini nel naso la sua autorevolezza in campo legale era superiore a quella degli altri otto giudici. Era l’unica leggenda che restava alla Corte, e il fatto che respirasse ancora esasperava gran parte della folla in tumulto.
Stava su una piccola sedia a rotelle in un ufficio al pianterreno del palazzo della Corte Suprema. Toccava con i piedi la finestra e si sforzava di tendersi in avanti mentre cresceva il baccano. Detestava i poliziotti; eppure vederli schierati in file compatte e ordinate gli dava una sensazione di sicurezza. Rimanevano immobili sulle loro posizioni mentre una folla di almeno cinquantamila persone urlava la sua sete di sangue.
«Non ne avevo mai visti tanti!» gridò Rosenberg verso la finestra. Era quasi sordo. Jason Kline, il suo assistente anziano, era in piedi dietro di lui.
Era il primo lunedì di ottobre, il giorno dell’inizio del nuovo mandato, ed era diventato una celebrazione tradizionale del Primo Emendamento. Una celebrazione solenne. Rosenberg era eccitato. Per lui libertà di parola significava libertà di organizzare tumulti.
«Ci sono gli indiani?» chiese alzando la voce.
Jason Kline si chinò per parlargli all’orecchio destro. «Sì!»
«Con i colori di guerra?»
«Sì! In tenuta da combattimento.»
«E stanno danzando?»
«Sì.»
Gli indiani, i neri, i bianchi, i bruni, le donne, i gay, gli amanti degli alberi, gli animalisti, i sostenitori della supremazia dei bianchi, i sostenitori della supremazia dei neri, i contestatori fiscali, i tagliaboschi, gli agricoltori… era una marea imponente di protesta. E i poliziotti anti-disordini impugnavano gli sfollagente neri.
«Gli indiani dovrebbero amarmi!»
«Ne sono sicuro.» Kline annuì e sorrise all’ometto fragile che stringeva ipugni. La sua era un’ideologia molto semplice: il governo aveva la precedenza sugli affari, l’individuo sul governo, l’ambiente su tutto. In quanto agli indiani… dategli tutto ciò che vogliono.
Le grida, le preghiere, i canti, il salmodiare e gli urli diventarono ancora più forti, e i poliziotti serrarono le file senza darlo troppo a vedere. La folla era più numerosa e agitata che negli anni precedenti. L’atmosfera era più tesa. La violenza era all’ordine del giorno. Erano state piazzate bombe in molte cliniche abortiste, parecchi medici erano stati aggrediti e picchiati. Uno, anzi, era stato ucciso a Pensacola, imbavagliato e legato in posizione fetale e bruciato con l’acido. Gli scontri per le strade erano avvenimenti di ogni settimana. Chiese e preti erano stati attaccati da gay militanti. I sostenitori della supremazia bianca agivano attraverso una decina di note organizzazioni paramilitari abbastanza confuse, e si erano fatti più audaci negli assalti contro neri, ispanici e asiatici. L’odio era ormai diventato il passatempo prediletto dell’America.
Nel 1993 è stato tratto il film omonimo diretto da Alan J. Pakula, con Julia Roberts, John Lithgow, Denzel Washington, Sam Sherpard, Cynthia Nixon, John Lithgow.
Un film intenso e forte, con una giovane Julia Roberts che evidenzia le sue ottime qualità di attrice, ma non all’altezza del libro.