Ultima sentenza (The Appeal) è un romanzo di John Grisham, pubblicato nel 2008. Con la maestria alla quale ormai ha abituato i suoi lettori l’autore ci accompagna ancora una volta tra le pieghe del sistema legale americano, in una serratissima vicenda di lobbying, sentenze pilotate, grandi interessi economici che non tengono nel minimo conto i diritti degli individui.
“Lo choc cominciò a svanire e la realtà a prenderne lentamente il posto. Una causa che avevano iniziato con riluttanza quattro anni prima adesso si era conclusa nel modo più grandioso ed eclatante. Quella sfibrante maratona era finita e, anche se per il momento avevano vinto, i costi erano stati altissimi. Le ferite erano ancora aperte, le cicatrici della battaglia ancora fresche.”
Gli avvocati Wes e Mary Grace Payton hanno compiuto il primo passo nella più importante causa della loro carriera. Un tribunale del Mississippi ha infatti riconosciuto un risarcimento di quarantun milioni di dollari a Jeannette Baker, una giovane donna assistita dal loro piccolo studio, che nel giro di otto mesi ha visto morire di tumore il figlio e il marito. Dopo un estenuante processo nel quale i Payton hanno messo in gioco sia la credibilità professionale che la serenità personale, la responsabilità è stata attribuita alla Krane Chemical, una grossa società con sede a New York ritenuta colpevole di aver smaltito per anni rifiuti tossici nei terreni vicini al suo stabilimento di Bowmore, inquinando le falde acquifere della cittadina e provocando il cancro in molti membri della comunità locale.
Si tratta solo del primo grado di giudizio, e di un singolo caso, ma è chiaro che, se la sentenza verrà confermata, per la Krane Chemical – e per il suo potente proprietario Carl Trudeau – si aprirà una disastrosa stagione di cause collettive da parte della cittadinanza e di ancor più disastrosi risarcimenti.
Trudeau sa quindi di avere disperatamente bisogno di una Corte Suprema favorevole, e l’impresa non sembra impossibile: i giudici verranno eletti tra non molto e per una campagna elettorale servono parecchi soldi…
Ultima sentenza prende le mosse là dove molti dei suoi precedenti romanzi si concludevano – con un giusto verdetto – per scavare a fondo nella società statunitense, metterne in discussione i meccanismi burocratici e le istituzioni, arricchendo di un’autentica passione civile la prodigiosa vena narrativa del suo autore.
Anche se non è il Grisham dei tempi del il cliente e il momento di uccidere, bene come denuncia, meno bene come come thriller, bisogna riconoscere le straordinarie capacità di questo autore di sollevare problematiche riguardanti la giustizia, con tutti i suoi difficili e a volte meschini meccanismi.
IL VERDETTO
1
La giuria era pronta.
Dopo quarantadue ore di discussioni a seguito di un processo di settantun giorni, che aveva comportato cinquecentotrenta ore di deposizioni rese da una quarantina di testimoni, e dopo una vita intera trascorsa a sedere in silenzio mentre gli avvocati cavillavano, il giudice pontificava e gli spettatori scrutavano come falchi in cerca di segnali rivelatori, i giurati erano pronti. Chiusi a chiave nella saletta riservata, isolati e in totale sicurezza, dieci di loro firmarono orgogliosi il verdetto, mentre gli altri due se ne stavano rabbuiati nei rispettivi angoli, distaccati e scontenti nel loro dissenso. Ci furono abbracci, sorrisi e non poche congratulazioni reciproche perché erano riusciti a sopravvivere a quella piccola guerra e ora potevano rientrare con fierezza nell’arena con una decisione a cui erano arrivati per pura forza di volontà e testarda ricerca del compromesso. La dura prova era finita, il dovere civico adempiuto. Avevano servito al meglio delle loro capacità. Erano pronti.
Il portavoce bussò alla porta, scuotendo Zio Joe dal suo assopimento. Zio Joe, il vecchio ausiliario della giustizia, aveva fatto la guardia ai giurati, ne aveva ascoltato le lamentele, aveva trasmesso discretamente i loro messaggi al giudice e aveva anche provveduto ai pasti. Si vociferava che da giovane, ai tempi in cui il suo udito era migliore, Zio Joe avesse ascoltato di nascosto le discussioni delle giurie, origliando attraverso una sottile porta di legno di pino che lui stesso aveva scelto e installato. Ma ormai i giorni dell’ascolto erano finiti e, come aveva confidato solo alla moglie, dopo le fatiche di quel particolare processo non era escluso che decidesse di appendere definitivamente al chiodo la sua vecchia pistola. Lo stress del controllo della giustizia lo stava sfinendo.