La spiaggia rubata è un libro di Joanne Harris, edito da Garzanti e pubblicato nel maggio 2002.
“Una banca, dice una massima dell’isola, presta un ombrello quando c’è il sole, poi se lo riprende quando comincia a piovere.”
Le Devin è una minuscola isola al largo delle coste della Bretagna su cui ci sono solo due paesi divisi da una lunga rivalità.
Il primo, Les Salants, è un povero villaggio di pescatori e marinai dove la vita scorre uguale da secoli.
L’altro, La Houssinière, si è arricchito grazie ai turisti: il merito è di una splendida spiaggia, Les Immortelles, ma anche dello spregiudicato imprenditore Claude Brismand.
Mado è nata e cresciuta a Les Salants, poi si è trasferita a Parigi, ma ora è tornata dopo dieci anni e trovando il villaggio ancora più povero di quando l’aveva lasciato, capisce che la miseria di Les Salants è dovuta all’avanzamento del mare, mentre l’altro villaggio prospera grazie alle barriere spartiacque costruite dall’avido Brismand. Quando cerca di spiegarlo ai suoi amici, Mado incontra solo scetticismo e rassegnazione. Ma non demorde: per ridare prosperità al villaggio dovrà addirittura inscenare un miracolo, il suo intuito e il suo spirito d’iniziativa travolgono la vita e i ritmi di Le Devin. Con l’aiuto del misterioso e affascinante Flynn, Mado riuscirà a compiere un autentico miracolo. Ma quel prodigio sarà solo l’inizio di una vicenda ricca di colpi di scena, che trasformerà per sempre l’isola e i suoi abitanti – e sconvolgerà i progetti di Mado.
“Smettila di portarti il mondo intero sulle spalle. La marea cambia senza il tuo permesso.”
Nel libro ritroviamo lo stile ben conosciuto dei profumi e dei sapori della Harris, che riesce quasi a farci sentire il profumo del mare, a farci toccare la sabbia ed a gustare la cucina francese, accompagnato una descrizione del paesaggio che fa venir voglia di preparare la valigia.
Questo romanzo sta in bilico tra thriller e romanzo rosa, con un pizzico di umorismo, un equilibrio tra tradizione e modernità, come spesso accade per i libri di questa autrice l’inizio è sempre lento, ma quando si arriva a metà diventa più avvincente arrivando ad un finale col colpo di scena.
Le isole sono diverse. E se l’isola è piccola è ancora più vero. Guardate l’Inghilterra, è quasi inconcepibile che questa stretta distesa di terra sorregga tanta diversità: il cricket, il tè alla panna, Shakespeare, Sheffield, il fish and chips nel giornale imbevuto d’aceto, Soho, Oxford e Cambridge, il lungomare di Southend, le sedie a sdraio con le righe a Green Park, i Beatles e i Rolling Stones, Oxford Street, i pigri pomeriggi domenicali. Tante contraddizioni, che marciano tutte insieme come dimostranti ubriachi che non si sono ancora resi conto che la principale causa di protesta sono proprio loro. Le isole sono pionieri, gruppi divisi, malcontento, pesci fuor d’acqua, isolazionisti naturali. Come ho detto, diverse.
Quest’isola, per esempio. Da un capo all’altro soltanto una corsa in bicicletta. Un uomo che camminasse sull’acqua riuscirebbe a raggiungere la costa in un pomeriggio. L’isola di Le Devin, uno dei molti isolotti intrappolati come granchi nelle secche lungo il litorale della Vandea, oscurata da Noirmoutier dal lato prospiciente la costa, dall’Ile d’Yen a sud; in una giornata nebbiosa si potrebbe non notarla affatto. Le carte la citano a malapena. In effetti non merita quasi lo status di isola, essendo poco più che un grappolo di banchi di sabbia con qualche pretesa, una dorsale rocciosa che la solleva dall’Atlantico, un paio di villaggi, un piccolo stabilimento dove mettono il pesce in scatola, un’unica spiaggia. Al capo estremo, casa mia, Les Salants, una fila di casette, appena sufficienti per chiamarlo paese, distribuite fra rocce e dune verso un mare che guadagna terreno a ogni brutta marea. Casa, il posto da cui non si può fuggire, il posto verso cui ruota la bussola del cuore.
Potendo scegliere, avrei forse preferito qualcosa di diverso. Qualcosa in Inghilterra, magari, dove mia madre e io siamo state felici per quasi un anno prima che la mia irrequietezza ci portasse altrove. O l’Irlanda, o Jersey, o Iona, oppure Skye. Vedete che scelgo isole quasi per istinto, come se cercassi di riconquistare gli elementi della mia isola, Le Devin, l’unico luogo per il quale non esiste un sostituto.
La sua forma ricorda quella di una donna che dorme. Les Salants è la testa, le spalle voltate per proteggersi dalle intemperie. La Goulue è il ventre, La Houssinière l’incavo riparato delle ginocchia. Tutt’intorno si trova La Jetée, una gonna di isolotti sabbiosi, che crescono e rimpiccioliscono secondo le maree, modificando lentamente la linea costiera, rosicchiando un lato, sedimentandosi sull’altro e che raramente mantengono la loro forma abbastanza a lungo da guadagnarsi un nome. Più in là c’è l’ignoto assoluto, poiché la piattaforma rocciosa dopo La Jetée scende ripida in un precipizio scosceso di incredibile profondità che i locali chiamano Nid’- Poule, Il Buco.
Un messaggio in una bottiglia, lanciato da un qualunque punto dell’isola, tornerà quasi sempre alla Goulue, l’Ingorda, oltre la quale il villaggio di Les Salants si accalca contro lo sferzante vento marino. La sua posizione a est del capo roccioso della Pointe Griznoz significa che sabbia ghiaiosa, fango e rifiuti in genere vengono ad accumularsi qui. Le alte maree e le burrasche invernali esasperano il fenomeno, costruendo bastioni di alghe sulla riva rocciosa, che possono rimanere per sei mesi o un anno prima che un’altra tempesta se li porti via.
Come potete vedere Le Devin non è una bellezza. E come la nostra santa patrona Marine-de-la-Mer, la figura ricurva ha un aspetto grossolano e primitivo. Qui vengono pochi turisti. C’è poco ad attrarli. Se dal cielo queste isole sono ballerine con i loro gonnellini di tulle distesi, allora Le Devin è la ragazzina nell’ultima fila, una ragazza piuttosto insignificante, che ha dimenticato i passi. Siamo rimaste indietro, io e lei. La danza è continuata senza di noi.
Ma l’isola ha mantenuto la sua identità. Una striscia di terra lunga solo pochi chilometri, eppure ha un carattere, dialetti, cibo, tradizioni completamente diversi sia dalle altre isole sia dalla Francia continentale. Gli isolani tendono a considerarsi Devinnois piuttosto che francesi o perfino vandeani. Non obbediscono ai politici. Pochi dei loro figli si danno la pena di fare il servizio militare. Così lontana dal centro delle cose, sembra perfino assurda. Così lontana dalle maglie della burocrazia e della legge, Le Devin segue regole tutte sue.
Il che non significa che i forestieri non siano i benvenuti. Semmai il contrario: se sapessimo come incoraggiare il turismo, lo faremmo. A Les Salants turismo significa ricchezza. Guardiamo Noirmoutier, al di là dell’acqua, con gli alberghi, le pensioni, i negozi e il grande ponte grazioso che vola sul mare dalla terraferma. Lì, in estate, le strade sono un fiume di automobili con targhe straniere e le valigie che sporgono dai portabagagli, le spiagge sono nere di folla, e noi proviamo a immaginare cosa succederebbe se fossero nostre. I turisti, i pochi che si avventurano sin qui, si fermano invariabilmente alla Houssinière, sul lato dell’isola più vicino. Per loro a Les Salants non c’è nulla, con la costa rocciosa priva di spiagge, le dune di sassi cementate con sabbia indurita, il vento granuloso e incessante.
La gente della Houssinière lo sa. Da tempo immemore c’è un antagonismo tra Houssins e Salannais, prima di tutto per motivi religiosi, poi per le dispute sui diritti di pesca, sulle aree edificabili, per il commercio e, inevitabilmente, per la terra. La terra recuperata al mare appartiene per legge a quelli che l’hanno bonificata e ai loro discendenti. È l’unica ricchezza dei Salannais. Ma La Houssinière controlla le merci che arrivano dalla costa (la sua famiglia più antica gestisce l’unico traghetto) e stabilisce i prezzi. Se un Houssin può imbrogliare un Salannais, lo fa. Se un Salannais riesce ad avere la meglio su un Houssin, l’intero villaggio condivide il trionfo.
E La Houssinière ha un’arma segreta. Si chiama Les Immortelles, una piccola spiaggia sabbiosa, a due minuti dal porto, riparata su un lato da un antico molo. Qui le barche a vela sfiorano l’acqua, protette dai venti da ovest. Questo è l’unico posto sicuro per fare il bagno o andare in barca, senza imbattersi nelle forti correnti che strappano il capo. Questa spiaggia, un capriccio della natura, fa, credo, la differenza tra le due comunità. Il villaggio è cresciuto, diventando una cittadina. Così La Houssinière prospera, secondo gli standard dell’isola. Ci sono un ristorante, un hotel, un cinema, una discoteca, un campeggio. In estate il porticciolo è stipato di barche da diporto. La Houssinière ospita il sindaco dell’isola, l’ufficio postale, l’unico poliziotto e l’unico prete. Qui, nel mese di agosto, molte famiglie della costa affittano case portando affari.
Al contrario, Le Salants, è morto per tutta l’estate, un paesino ansante e bruciato dal vento e dal caldo. Ma per me è pur sempre casa. Non il posto più bello del mondo, e neppure il più accogliente, ma il mio posto.