La donna alata è romanzo di Joanne Harris edito da Garzanti, pubblicato nel maggio 2003, un romanzo ricco di sapori e profumi, emozioni e colpi di scena.
«Non amare sovente, ma per sempre. È una delle massime di mia madre, ed è stata il filo conduttore di tutta la mia vita.»
Quella di Juliette è una giovinezza avventurosa e movimentata. Allevata dagli zingari, si è unita alla compagnia girovaga guidata dall’irresistibile Guy LeCorbeau. A sedici anni Juliette se ne innamora e lo segue. Finché, tradita dall’amante e stanca per le continue traversie, non si rifugia con sua figlia Fleur nell’Abbazia di Sainte-Marie-de-la-Mer, un piccolo convento isolato dal resto del mondo, a due miglia dall’Atlantico. Ma la morte dell’anziana badessa, sostituita da una bambina di soli dodici anni, e l’inatteso ritorno di LeCorbeau, portano nuovi guai. Ambientato in Francia all’inizio del Seicento, in un’epoca di feroci conflitti politici, di caccia alle streghe e di follie religiose, La donna alata è un romanzo ricco di personaggi affascinanti, a cominciare dai due protagonisti: Juliette, attrice e funambola in fuga dal proprio passato, e LeCorbeau, attore e drammaturgo, inguaribile truffatore e amante dell’azzardo.
La Harris prende i suoi soliti ingredienti: una donna e una bambina, un uomo tenebroso, gli esclusi e perseguitati, la lotta contro una Chiesa bigotta, il tutto aromatizzato con la magia per una storia unica.
3 luglio 1610.
La storia comincia con sette attori.
Sei uomini e una ragazza.
Lei lustrini e pizzo sfilacciato, loro cuoio e seta.
Tutti in maschera, parrucca, cipria e belletto: Arlecchino e Scaramuccia, il Dottore della Peste dal lungo naso, la virtuosa Isabella e Geronte il lascivo, le unghie dei piedi dorate e luccicanti nella polvere della strada, i sorrisi imbiancati dal gesso, le voci così aspre e così dolci che fin dal primo momento mi hanno strappato il cuore. Sono arrivati senza annuncio in un carrozzone verde e oro, graffiato e ammaccato. Ma l’iscrizione scarlatta era ancora visibile e, per chi sapeva leggere, recitava: Gran Teatro del mondo di Lazarillo!
Tragedia e Commedia!
Bestie e Meraviglie!Intorno alla scritta una parata di ninfe e satiri, tigri e olifanti rossi, rosa e viola. Sotto, dipinte in oro a lettere irregolari, campeggiavano fiere queste parole: Attori del Re Non ci credevo nemmeno io, sebbene si dica che il vecchio Henri avesse gusti ordinari e preferisse uno spettacolo di bestie feroci o una comédie-ballet alla più sublime delle tragedie. Io stessa danzai per lui nel giorno del suo matrimonio, sotto lo sguardo austero della sua Maria. Il mio momento di gloria.
La troupe di Lazarillo non era nulla al confronto, eppure, malgrado il livello degli attori, ho trovato l’esibizione nostalgica, commovente.
Forse è stata una premonizione o forse la visione fugàce di com era un tempo, prima che i guastatori della nuova Inquisizione ci costringessero alla sobrietà; ma mentre gli attori ballavano e i viòla, i rossi e i verdi si accendevano nel bagliore del sole, mi è parso di vedere i vessilli coraggiosi e colorati di antichi eserciti avanzare sul campo di battaglia, un gesto di sfida ai banditori e apostati del nuovo ordine.
Le Bestie e le Meraviglie della scritta non erano che una scimmia in giacca rossa e un piccolo orso nero, ma, oltre ai canti e alla mascherata, c’erano mangiafuoco, giocolieri, musici, acrobati e perfino una ballerina sulla corda. Il cortile si è illuminato della loro presenza e Fleur rideva e lanciava gridolini di gioia, abbracciandomi attraverso la stoffa del mio abito marrone.
La ballerina aveva i capelli scuri e ricci e portava anelli d’oro alle caviglie. Sotto il nostro sguardo, è balzata su una fune tesa, retta a un’estremità da Geronte e dall’altra da Arlecchino. Al comando secco del tamburello l’hanno lanciata in aria, lei ha fatto un salto mortale ed è atterrata di nuovo sulla corda con la mia stessa precisione di una volta. La mia stessa precisione, o quasi, poiché io ero con il Théàtre des Cieux, ed ero l’Ailée, l’Alata, la Danzatrice del cielo, l’Arpìa Volante. Quando iniziai il numero sulla corda alta nel mio giorno di trionfo, ci fu silenzio e il pubblico trattenne il respiro.
Dame eleganti, uomini incipriati, vescovi, mercanti, servi, cortigiani, perfino il Re, impallidirono sgranando gli occhi. Ancora oggi ricordo il volto del Re, i ricci coperti di cipria, lo sguardo assorto, e lo scroscio assordante degli applausi.
L’orgoglio è peccato, lo so, anche se personalmente non ho mai capito perché. E alcuni direbbero che è l’orgoglio ad avermi portato dove mi trovo adesso, che mi ha fatto cadere in basso, se vi pare, anche se dicono che alla fine arriverò ancora più in alto. Quando verrà il giorno del Giudizio, ballerò con gli angeli, mi dice Soeur Marguerite, ma lei è matta, poverina, tormentata dai tic, trasforma l’acqua in vino con la mistura contenuta in una bottiglia che tiene nascosta sotto il materasso.
Pensa che io non lo sappia, ma nel nostro dormitorio, dove solo un divisorio sottile separa un letto dall’altro, nessuno riesce a conservare a lungo i propri segreti.
Nessuno, tranne me.