I miei martedì col professore è un racconto toccante di coraggio e saggezza scritto da Alborm Mitch e pubblicato nel 2000. E’ una storia di sentimenti scritta con l’anima, uno straordinario testamento spirituale e una formidabile lezione di vita per tutti.
“E’ molto semplice. Man mano che cresci, impari. Se ti fossi fermato a ventidue anni saresti rimasto ignorante com’eri a ventidue anni. Invecchiare non vuol dire solo declino, sai. E’ crescita. non c’è solo il lato negativo, ma anche quello positivo: tu comprendi di stare per morire, e vivi una vita migliore proprio per questo.”
Trama del libro “I miei martedì col professore”
Nel 1995 l’autore vede intervistato in TV un suo vecchio professore di college, Morrie Schwartz, con cui ha perso i contatti e che ha avuto influenza sulla sua vita. Le trasmissioni riscuotono un successo enorme e migliaia di persone gli scrivono per ricevere parole di saggezza e di conforto. Scosso, vergognandosi del proprio lungo silenzio, Albom si decide infine ad andare a trovare l’anziano professore, ormai gravemente malato, per quattordici settimane. Insieme dibattono dei temi più vari: l’amore, il denaro, la morte, i valori, la famiglia, il perdono, e ogni volta l’autore esce arricchito da quelle chiacchierate illuminanti e rivelatrici.
“…è la storia di una piccola onda, che danza sull’oceano, su e giù, giù e su, divertendosi un mondo. Si gode il vento e l’aria pura, fino a che non s’accorge che le altre onde davanti a lei s’infrangono sulla riva. “oh , mio dio, ma è terribile”, esclama, “ma guarda cosa sta per capitarmi!”. In quel mentre sapraggiunge un’altra onda e notando quanto sia rabbuiata le chiede: “come mai sei così triste?” e la prima risponde: “ma non capisci? Stiamo per scomparire tutte! Tutte noi onde finiremo in nulla, non è tremendo?” E la seconda onda spiega: “sei tu che non capisci. Tu non sei onda, sei parte dell’oceano.”
Recensione
Ho avuto la fortuna di capitare per caso tra le pagine di questo libro che definisco breve, semplice e diretto, ma anche vivo, reale ed intenso, un viaggio dentro noi stessi, uno sguardo diretto sulla nostra paura più grande senza ipocrisia.
La trama ruota attorno ai martedì trascorsi da Albom con il suo professore, durante i quali i due discutono di vari argomenti, tra cui la vita, la morte, l’amore, il perdono e la felicità. Albom, che ha lasciato il college anni prima, riscopre una preziosa lezione di vita da Morrie e trova un modo per riavvicinarsi a se stesso.
E’un libro toccante che esplora temi universali come il significato della vita, il valore delle relazioni umane e la necessità di vivere appieno ogni giorno. La storia è basata su eventi reali, poiché Mitch Albom era davvero un ex studente di Morrie Schwartz e ha tenuto le promesse fatte al suo professore, visitandolo regolarmente fino alla sua morte.
Il libro offre una prospettiva preziosa sulla vita e sulla mortalità, offrendo lettori di tutte le età l’opportunità di riflettere sui propri valori e sulle priorità nella vita. Con uno stile di scrittura semplice e sincero, Albom trasmette un messaggio di speranza, compassione e gratitudine.
Incipit del libro “I miei martedì col professore”
Il curriculum
L’ultimo corso del mio vecchio professore si teneva una volta alla settimana a casa sua, accanto alla finestra dello studio da cui si potevano scorgere i petali rosei che cadevano da una pianticella di ibisco. Le lezioni avevano luogo il martedì, e iniziavano subito dopo colazione. L’argomento era “Il Significato della Vita”. Il docente attingeva alla sua esperienza.
Non si davano voti, ma ogni settimana si sosteneva un esame orale. Bisognava rispondere alle domande poste e altresì formularne di proprie. Di tanto in tanto si richiedeva l’espletamento di alcune semplici mansioni, quali spostare il capo del professore per farlo stare più comodo sul cuscino o risistemargli gli occhiali sul naso. A salutarlo con un bacio si guadagnava un “più”.
Non c’erano libri di testo eppure si coprivano molti argomenti fra i quali l’amore, il lavoro, la comunità, la famiglia, la vecchiaia, il perdono e, alla fine, la morte. L’ultima lezione fu molto concisa, limitata a poche parole.
Una cerimonia funebre si tenne al posto di quella di laurea.
Benché non ci fosse un esame finale, era prevista la stesura di un saggio approfondito su quanto si era appreso. Lo scritto che vi presentiamo è il risultato di quello studio.
L’ultimo corso tenuto dal mio vecchio professore ebbe solo un allievo.
Quell’allievo ero io.*****
Un caldo, afoso pomeriggio di sabato sul finir della primavera del 1979. Siamo seduti a centinaia, fianco a fianco nelle seggioline di legno pieghevoli sull’ampio prato centrale dell’università. Indossiamo toghe blu di tessuto sintetico e sul capo abbiamo tocchi in tinta. Impazienti, stiamo a sentire lunghi discorsi. Quando la cerimonia di laurea è terminata – e noi ormai ufficialmente diplomati, a conclusione dell’ultimo anno presso l’università di Brandeis, nella città di Waltham, stato del Massachusetts – come da tradizione lanciamo in aria i tocchi. Per molti di noi, è calato il sipario sull’infanzia.
Dopo, vado a cercare Morrie Schwartz, il mio professore preferito, e lo presento ai miei genitori. È piccolo di statura, cammina a passettini quasi temesse che all’improvviso un vento forte potesse sollevarlo fra le nuvole. Nei suoi paludamenti accademici sembra un incrocio fra una figura biblica e un folletto natalizio. Ha occhi verdeazzurri scintillanti, un’argentea chioma un po’ rada, scarruffata sulla fronte, orecchie grandi, naso triangolare e grigie sopracciglia cespugliose. Benché abbia i denti storti e quelli in basso rientrino quasi che qualcuno glieli avesse spinti indietro a pugni, quando sorride lo fa a tutta bocca come se gli aveste raccontato la più spassosa barzelletta del mondo.
Dice ai miei genitori che ho seguito tutti i suoi corsi. Dice loro: “Avete un figlio davvero speciale”. Imbarazzato, mi fisso la punta delle scarpe. Prima di andar via, offro in regalo al mio professore una borsa di cuoio con le sue iniziali. L’avevo comprata il giorno prima in un centro commerciale. Non volevo dimenticarlo. Forse non volevo che lui dimenticasse me.
“Mitch, sei grande”, mi dice, guardando compiaciuto la borsa. Poi mi abbraccia. Mi sento avvolto dalle sue braccia sottili. Io sono più alto di lui e mentre mi stringe mi sento impacciato e più vecchio, come se fossi io il genitore e lui il figlio.
Mi chiede se manterrò i contatti e senza esitazione rispondo: “Ma naturale”.
Quando si allontana, vedo che sta piangendo.
Dal libro “I miei martedì col professore” è stata realizzata anche una trasposizione televisiva con Hank Azaria e Jack Lemmon.
5 commenti
"Invecchiare non vuol dire solo declino, sai. E' crescita …"
Parole di grande saggezza e intensità. Lo voglio leggere assolutamente.
E poi che bella faccia pulita ha questo autore!
devo dire che non conoscevo questo libro ma mi piace molto il tema che affronta e avrà un nuovo lettore, grazie
questo libro comunica un bel messaggio di crescita interiore per affrontare al meglio le varie fasi della vita.
prendo un appunto del titolo di questo libro e mi riprometto di cercarlo 😉
Ciao galatea, innanzitutto ti ringrazio per la gradita visita e poi mi complimento per il tuo blog
Dev'essere molto interessante il libro segnalato. Ciao e se ti va potresti seguirmi…ne sarei felice
Buona giornata!
Ottima recensione.Ti auguro una serena giornata;saluti a presto