Il giardino delle pesche e delle rose e il terzo capitolo dove Joanne Harris ci racconta la storia di Vianne Rocher già conosciuta in Chocolat e Le scarpe rosse, il romanzo è stato pubblicato da Garzanti nel novembre 2012.
“Ci sono persone che passano la vita intera seduti in attesa di un treno, per poi scoprire di non essere arrivate neanche alla stazione.”
Il vento ha ricominciato a soffiare.
Vianne Rocher lo sa: è un segnale, qualcosa sta per succedere. Quando riceve una lettera inaspettata e misteriosa, capisce che ormai niente può opporsi a quel richiamo. Vianne non ha altra scelta che seguirlo e tornare a Lansquenet, il villaggio dove tutto è cominciato, il paese dove otto anni prima aveva aperto una cioccolateria. Qui, adesso come allora, regnano ancora la diffidenza e i pregiudizi, ma molte cose sono cambiate. Il profumo delle spezie e del thè alla menta riempie l’aria, donne vestite di nero camminano veloci e a capo chino per le viuzze e di fronte alla Chiesa, sulla riva del Tannes, è stato costruito un minareto. All’inizio la convivenza tra gli abitanti e la comunità musulmana era stata tranquilla e gioiosa, ma un giorno tutto era cambiato ed erano iniziate le incomprensioni, le violenze, il fuoco. Il curato Francis Reynaud è disperato e vuole a tutti i costi salvare la sua comunità e tornare all’armonia di una volta. E ha capito che solo una donna può aiutarli, Vianne, l’acerrima nemica di un tempo. Solo lei potrebbe portare la pace, solo lei potrebbe capire gli occhi diffidenti e impauriti delle donne che si celano sotto il niqab. Ma soprattutto solo lei può comprendere l’enigmatica e orgogliosa Inès. Ma non è facile leggere la paura e sconfiggere le ipocrisie e le menzogne che serpeggiano tra le due comunità. Eppure Vianne sa come fare, c’è una vecchia ricetta che potrebbe venirle in soccorso…
“Dove va il tempo? Come il profumo in una bottiglia, per quanto sigillato bene, evapora in modo talmente furtivo che, quando apri per guardare, tutto ciò che trovi è una macchia odorosa dove una volta ce n’era in abbondanza…”
Come già era accaduto negli altri libri la Harris lotta come sempre contro il pregiudizio e l’ottusità che già la protagonista ha provato sulla propria pelle. In questo libro si alternano due punti di vista, quello di Vianne e quello di Reynaud, in una storia che si riallaccia a Chocolat facendo dimenticare l’interludio non del tutto riuscito de Le scarpe rosse.
La Harris riesce a far profumare i suoi libri, le parole diventano poesia come già era accaduto per Chocolat. Chissà se il vento tornerà a soffiare nuovamente?
Una volta qualcuno mi ha detto che, solo in Francia, ogni anno duecentocinquantamila lettere vengono recapitate a persone morte.
Quello che non mi ha detto è che, a volte, i morti rispondono.È arrivata con il vento del Ramadan. Non che allora lo sapessi, certo. Parigi in agosto si fa ventosa, la polvere forma piccoli dervisci che pattinano e volteggiano sui marciapiedi e lasciano fiocchetti di sabbia scintillante sulle palpebre e sul viso, mentre il sole è abbagliante come un occhio bianco cieco e nessuno se la sente di mangiare. In questo momento, Parigi è quasi morta, eccetto per i turisti e la gente come noi che non può permettersi una vacanza; e il fiume puzza, non c’è ombra, e si farebbe qualsiasi cosa per camminare a piedi nudi in un campo, o per sedersi sotto un albero in un bosco.
Roux sa com’è, chiaro. Roux non era fatto per la vita di città.
E quando Rosette è annoiata ne combina sempre una; e io faccio cioccolatini che nessuno comprerà; Anouk va all’Internet café in Rue de la Paix per parlare con gli amici su Facebook, oppure sale fino al cimitero di Montmartre e guarda i gatti selvatici che si aggirano fra le case dei morti con il sole che cala come una ghigliottina fra gli spicchi d’ombra.
Anouk ha quindici anni. Dove va il tempo? Come il profumo in una bottiglia, per quanto sigillato bene, evapora in modo talmente furtivo che, quando apri per guardare, tutto ciò che trovi è una macchia odorosa dove una volta ce n’era in abbondanza…
Come stai, mia piccola Anouk? Che cosa succede nel tuo strano piccolo mondo? Sei felice? Inquieta? Contenta? Quanti giorni di questi avremo ancora prima che tu abbandoni la mia orbita per sempre, schizzando via come un satellite impazzito, per svanire fra le stelle?
Questo filo di pensieri non è per niente nuovo. La paura è stata la mia ombra sin da quando Anouk è nata, ma quest’estate la paura è cresciuta, fiorendo nel calore in modo mostruoso. Forse è per via della madre che ho perduto – e di quella che ho trovato quattro anni fa. O forse è per il ricordo di Zozie de l’Alba, la ladra di cuori, che per poco non mi ha derubata di ogni cosa e che mi ha mostrato quanto fragili possano essere le nostre vite, come la casa di carte cada facilmente al minimo soffio di vento.
Quindici anni. Quindici. Alla sua età avevo già viaggiato per tutto il mondo. Mia madre stava morendo. La parola «casa» significava qualsiasi posto in cui ci fermavamo la notte. Non mi ero mai fatta un amico vero. E l’amore, be’, l’amore era come le torce che bruciano di sera sulle terrazze dei caffè, una fonte di calore sfuggente, un tocco, una faccia intravista alla luce del fuoco.
Anouk, spero, sarà diversa. È già bella, anche se non se ne rende conto. Un giorno si innamorerà. Allora che cosa ci accadrà? Eppure, mi dico, c’è tempo. Sin qui, l’unico ragazzo nella sua vita è Jean-Loup Rimbault, l’amico da cui di solito è inseparabile, ma che questo mese è dovuto andare in ospedale per un’altra operazione. È nato con un difetto cardiaco. Anouk non ne parla, ma capisco la sua paura. È come la mia: un’ombra che striscia, la certezza che nulla dura.
A volte lei parla ancora di Lansquenet. Anche se qui è abbastanza felice, Parigi sembra più una fermata su una strada poco battuta che una casa a cui farà sempre ritorno. Chiaro, una casa galleggiante non è una casa: le manca la certezza della malta e della pietra. E Anouk, con la curiosa nostalgia che colpisce chi è molto giovane, ricorda in colori rosati la piccola chocolaterie di fronte alla chiesa, con la tenda da sole a strisce e l’insegna dipinta a mano. E i suoi occhi sono nostalgici quando parla degli amici che si è lasciata alle spalle: di Jeannot Drou e Luc Clairmont, delle strade dove nessuno ha timore di camminare la notte, di porte d’ingresso che non vengono mai chiuse a chiave…
Non dovrei essere così in ansia, lo so. La mia piccola Anouk è riservata ma, diversamente da tantissime amiche, ama ancora la compagnia di sua madre. Stiamo ancora bene. Ci divertiamo ancora. Noi due da sole, rimboccate a letto, con Pantoufle, una macchia sfuocata che vedo con la coda dell’occhio, e lo schermo del televisore portatile che fa guizzare immagini mistiche sulle finestre oscurate, mentre Rosette siede fuori sul ponte insieme a Roux, a pescare stelle nella Senna silenziosa.