“A che gioco giochiamo?” è un romanzo di Madeleine Wickham (conosciuta anche col pseudonimo di Sophie Kinsella), edito da Mondadori, pubblicato il 19 marzo 2013.
“Era l’incertezza il fattore debilitante e sfiancante, quello che li avrebbe tormentati all’infinito. Era il non sapere, era la minaccia continua, la consapevolezza di quella spada sospesa sulle loro teste… e che magari non sarebbe mai calata. Lo sperava.”
È stato Patrick ad avere l’idea di invitare gli amici per un weekend di tennis e relax. Non vede l’ora di esibire la favolosa residenza di campagna acquistata grazie ai lauti guadagni della sua attività per così dire… spregiudicata di consulente finanziario. Ma alla bella moglie Caroline non ha rivelato il vero motivo di questa riunione a cui tiene così tanto. Caroline è una donna senza peli sulla lingua che conosce bene il caro maritino, quindi non si fa certo problemi a dire la sua in merito a questa iniziativa. È ben contenta di accogliere Stephen e Annie, i vecchi vicini di casa con qualche problema finanziario, un po’ meno di vedere l’arricchito Charles e la sua aristocratica moglie Cressida, ed è scontentissima di dover avere a che fare con il competitivo e pedante Don, cliente di Patrick, e la sua sciocca figlia Valerie. Quando le quattro coppie si riuniscono, sembra già chiaro chi siano i vincitori e chi i vinti nella vita. Ma nel momento in cui la prima palla viene lanciata oltre la rete l’impeccabile campo da tennis in erba diventa teatro di qualcosa di molto diverso da un piacevole torneo fra amici. Ha inizio infatti una due giorni di ripicche, scenate e rivelazioni, culminante nell’arrivo di un ospite inatteso che sovvertirà completamente gli equilibri…
“Era quella la vita vera ormai, una vita alla quale, fino a quel momento, non aveva mai preso parte. Quando era stata l’ultima volta che qualcuno gli aveva parlato di come fare soldi?”
In questo romanzo Madeleine Wickham racconta senza mai perdere l’usuale leggerezza il rapporto che intratteniamo con il denaro, scegliendo come bersaglio della sua tagliente ironia il mondo fatuo dei nuovi ricchi. In questa fiera di vanità e opportunismo, dietro l’ostentazione si nascondono tante piccole miserie e in nome dei soldi sembra lecito sacrificare tutto, persino l’amicizia.
Questo libro è scorrevole come gli altri della stessa autrice, ma rispetto agli altri mi ha deluso, è sembrato forzato, ma soprattutto un libro che si dimentica facilmente, che passa senza lasciare traccia.
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Era il tipo di sera calda e profumata che Caroline Chance associava sempre alle vacanze in Grecia, con bicchieri di ouzo, camerieri galanti e la sensazione del cotone fresco sulle spalle scottate. Solo che il profumo dolce che fluttuava nell’aria non era quello degli uliveti, ma dell’erba inglese appena tagliata, e il suono in lontananza non era quello del mare, ma la voce dell’istruttrice di equitazione di Georgina che cantilenava, sempre con la stessa inflessione monotona: «Al trotto, al trotto».
Caroline fece una smorfia e riprese a smaltarsi le unghie dei piedi. Non aveva niente da obiettare sulla passione di sua figlia per l’equitazione, ma neppure la capiva. Quando si erano trasferiti a Bindon da Seymour Road, Georgina aveva voluto a tutti i costi un pony e, naturalmente, Patrick aveva insistito perché lo avesse.
In realtà Caroline aveva finito con l’affezionarsi al primo pony, una creaturina dolce dalla criniera arruffata e dal carattere docile. A volte andava a trovarlo quando non c’era nessuno e aveva preso l’abitudine di dargli da mangiare i Ferrero Rocher. Ma il nuovo pony era un mostro, un grosso animale nero dall’aria selvaggia. A undici anni Georgina era alta e forte, ma Caroline non riusciva a capire come potesse anche solo salirgli in sella, per non parlare di cavalcarlo e saltare gli ostacoli.
Finì di smaltarsi le unghie del piede destro e bevve un sorso di vino bianco. Il piede sinistro era asciutto e lo sollevò per ammirare il colore perlaceo dello smalto alla luce della sera. Era seduta nell’ampia terrazza all’esterno del salotto principale. La Casa Bianca era stata pensata e costruita – secondo Caroline piuttosto stupidamente, considerando il clima inglese – per catturare ogni raggio di sole al riparo dal vento. Gli spogli muri bianchi riflettevano la luce nel cortile centrale e le stanze principali erano rivolte a sud. Una vite, che produceva un’uva piuttosto aspra, era stata persuasa ad arrampicarsi lungo la parete, sopra la testa di Caroline, e ogni estate numerose piante esotiche venivano prelevate dalla serra per decorare la terrazza. Ma quella era pur sempre la dannata, gelida Inghilterra, e per questo non c’era molto che si potesse fare.
Tuttavia quella giornata, Caroline doveva ammetterlo, era stata davvero perfetta. Cielo azzurro e terso, sole cocente, non un soffio di vento.