Siamo solo amici è la quarta opera di Luca Bianchini, pubblicata da Mondadori nel 2011, una commedia agrodolce sulla difficoltà di comunicare e sulle possibilità di amare. E mentre la memoria si diverte a giocare brutti scherzi ai protagonisti, sarà solo l’istinto a salvarli, tra sorrisi e lacrime.
“E crederci significava non avere più paura degli anni, sapere che non importa come hai vissuto ma solo come andrà a finire la tua storia.”
Giacomo è un portiere d’albergo veneziano. Rafael è un ex-portiere di calcio brasiliano. Sono entrambi a un appuntamento con il destino ma l’essere stati davanti a una porta è l’unica cosa che hanno in comune. Il primo, dopo cinque anni di attesa, sta per rivedere la donna della sua vita: una signora sposata il cui mantra è “non si bada a spese”, eternamene in conflitto tra i precetti religiosi e quelli astrali. Il secondo insegue un’attrice di telenovela, in fuga dal personaggio che le ha rubato l’anima. In un incontro fortuito e surreale Giacomo e Rafael instaureranno un rapporto singolare a tratti equivoco, che li porterà a capire chi sono e cosa desiderano. A sparigliare i piani, in una storia squisitamente teatrale, ci si metteranno altre due donne: una prostituta d’alto bordo che pensa di assomigliare a Gesù, e una giovane cassiera ostaggio della famiglia meridionale e dei look di Lady Gaga. Sullo sfondo, oltre il via vai dei clienti dell’hotel, una Venezia tratteggiata come un acquerello, lontana dalle cartoline, in cui la gente parla ancora in dialetto, ha paura degli stranieri e non sa rinunciare a un prosecco prima di cena.
L’autore mette a nudo l’animo dei personaggi con una prosa attenta ai sentimenti, che segue le oscillazioni delle emozioni, tra baci e silenzi, arrivi e definitivi addii.
Nella scala dei piccoli dolori, il trasloco viene al secondo posto in assoluto. Prima c’è il sospetto di un tradimento. A seguire, tutto il resto. La signora Silvana ne era profondamente convinta, anche se non era mai stata tradita e aveva cambiato casa solo una volta. Ma ricordava ancora con orrore quando il suo comò era malauguratamente finito nel canale, e tutti i turisti a fotografare la scena mentre lei gridava: “È del millesettecentocinquanta”.
Vedere Giacomo alle prese con gli scatoloni le riaprì quell’antica ferita, ma lui era troppo concentrato per notare qualcuno alle sue spalle.
«Ti avranno mica licenziato?»
«Silvana! Cosa ci fai qui a quest’ora?»
«Go d’andar dal dottore a farme dar na ricetta… e mi chiedevo se avevi tempo per un prosecco.»
«Di prima mattina? Alla tua età?»
«Guarda che il prosecco aiuta ad abbassare il colesterolo.»
«Certo. Uno al giorno, però. Ora è troppo presto e poi devo sbrigarmi, perché stanno arrivando dei clienti.»
«Go capìo, ti me mandi fora da le bale.»
Lui sbuffò in silenzio, le appoggiò una mano sulla spalla e l’accompagnò alle scale senza fretta. Aveva le accortezze che si usano di solito con le vecchie
zie, o con i capi, quando rallenti il passo, nascondi i malumori, cerchi di essere paziente e ti fai venire la gastrite. La rassicurò che non si sarebbe
trasferito a Mestre, idea per lei inaccettabile: “Non si può lasciare Venezia solo per affittare casa ai turisti, guidare le macchine e vedere le fabbriche”
brontolava. E lui a darle ragione annuendo vistosamente col capo. Sarebbe passato dalla hall al primo piano.
Declinò con fermezza l’ultimo invito per un prosecchino – “ma ci mettiamo dieci minuti” – e riprese a svuotare i cassetti della sua stanza d’albergo. Una
stanza che era diventata la sua casa degli ultimi anni e che adesso stava per trasformarsi in un luogo asettico, fatto solo di scatoloni, pennarelli, carta
adesiva e da imballaggio.
Durante un trasloco, le case si assomigliano tutte.