Lame di luce è il nono un romanzo di Michael Connelly con protagonista il detective Harry Bosch, edito nel 2003.
“Io credo nella teoria dell’unico proiettile. Ci si può innamorare molte volte, ma c’è un unico proiettile con inciso un nome. E se sei abbastanza fortunato da venire colpito da quell’unico proiettile, puoi star certo che la ferita non guarirà più. Chissà, forse Roy Lindell aveva il nome di Martha Gessler inciso sul suo proiettile.
Sul mio c’era quello di Eleanor Wish. Mi aveva colpito e tanto bastava. C’erano state altre donne, prima e dopo, ma la ferita che lei aveva prodotto non si era rimarginata. Sanguinava ancora e io sapevo che non avrebbe mai smesso. Era così che andava. Nel cuore le cose non finiscono mai.”
Il detective Harry Bosch ha chiuso il distintivo nel cassetto: dopo ventotto anni ha lasciato la polizia di Los Angeles. Ma la ricerca della verità è per lui un’ossessione, una febbre che gli impedisce di trovare pace. Nella sua mente è ancora viva l’immagine di Angela Benton, strangolata quattro anni prima: i seni scoperti, gli occhi spalancati, le mani alzate sopra la testa, in un’implorante richiesta d’aiuto. La telefonata di Lawton Cross, poliziotto che si era occupato dell’indagine dopo di lui, è la molla che spinge Bosch ad agire. La vittima lavorava come assistente di un famoso produttore di Hollywood e tutti gli indizi sembrano collegare la sua morte a una rapina da due milioni di dollari avvenuta sul set di un grande film d’azione.
A parte il caos cronologico che i seguaci della saga subiscono: Harry Bosch una volta è sposato, un’altra volta si ritrova scapolo ed in questo libro il nostro caro detective è finalmente in pensione, a parte questo Connelly non mi delude mai.
“Nel cuore le cose non finiscono mai. La persona che me lo ha detto, ha aggiunto che era il verso di una poesia e che per lei non c’era niente di più vero. Quello che uno avesse portato dentro quelle pieghe morbide e pulsanti, ci sarebbe rimasto per sempre. Comunque fossero andate le cose, sarebbe rimasto lì, in attesa. Poteva essere una persona, un luogo, un sogno. Una missione.
Ho cinquantadue anni e anch’io ci credo. Soprattutto di notte, quando cerco di dormire senza riuscirci, ho la percezione netta di quanto siano vere quelle parole. Quando tutti i sentieri sembrano incontrarsi e rivedo la gente che ho amato e odiato, aiutato e ferito. Vedo le mani che si tendono verso di me. Riconosco la mia missione e so che non sono possibili né scorciatoie né svolte. È proprio in quei momenti che ho la certezza che nel cuore le cose non finiscono mai.”