Il 4 novembre, in Italia, si celebra la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, istituita nel 1919 come “Anniversario della Vittoria” per commemorare i caduti della Prima Guerra Mondiale. Un anniversario che, al di là delle cerimonie ufficiali, ci obbliga a riflettere su cosa sia stato realmente quel conflitto e quale sia stato il suo devastante impatto sulla società.
Come nasce la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate
Per comprendere l’importanza di questa data, è necessario ricordare che il 4 novembre 1918, alle ore 15:00, le armi finalmente tacquero. Il generale Armando Diaz, comandante delle forze armate italiane, emanò un bollettino che proclamava la fine della Grande Guerra, grazie all’armistizio di Villa Giusti, firmato il giorno precedente a Padova. Era il momento tanto atteso, in cui l’Italia poteva finalmente riabbracciare i territori di Trento e Trieste, completando quel processo di unificazione nazionale iniziato con il Risorgimento. Ma il prezzo da pagare era stato altissimo.
Il bilancio della guerra è sconvolgente: 650.000 morti, 450.000 mutilati, più di 3 milioni di reduci, molti dei quali segneranno per sempre la propria vita con traumi, lesioni fisiche e ferite invisibili. Questa guerra, infatti, non ha colpito solo i corpi, ma anche le menti. Lo shock da combattimento (oggi lo chiamiamo disturbo post-traumatico da stress) è un termine che nasce proprio da questi massacri; si inizia a parlare di giovani soldati devastati psicologicamente, traumatizzati al punto da non poter più vivere una vita normale.
Parliamo di ragazzi di appena 17 anni, mandati al fronte senza neppure la possibilità di capire davvero per cosa stessero combattendo. Ragazzi che si sono trovati a vivere l’incubo delle trincee, immersi nel fango, afflitti da infezioni, da fame, da freddo, da una sofferenza senza fine. A morire non erano i generali o i ministri, non erano i potenti che avevano dichiarato quella guerra; a morire erano loro, giovani italiani, mandati al macello per logiche di potere che non appartenevano alla loro vita.
E allora viene da chiedersi: morire per la patria? Questo è il mito che si racconta, per giustificare l’orrore e convincere altri ragazzi ad andare incontro alla stessa sorte. Ma in verità, chi ha davvero guadagnato dalla guerra? Chi ha visto aumentare i propri profitti mentre le vite dei soldati si spegnevano?
La verità è che in guerre come questa non ci sono vincitori. Ognuno, a suo modo, ha perso: un’intera generazione è stata sacrificata, e le cicatrici di quel sacrificio resteranno indelebili nella memoria di un paese che, ancora oggi, non deve dimenticare ciò che è stato.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”