Armand il vampiro è un romanzo gotico scritto da Anne Rice, sesto libro della serie delle Cronache dei vampiri, pubblicato nel 1998. Armand, personaggio già apparso nei precedenti volumi, capo della setta del Teatro dei Vampiri, è pronto a raccontare al vampiro biografo David Talbot la sua vita, lunga oltre cinquecento anni.
“Quello è l’unico Sole che tu vedrai in avvenire, ma un millennio di notti sarà tuo per vedere la luce come nessun mortale l’ha mai vista, per rapirla dalle stelle lontane come se fossi Prometeo, un’illuminazione senza fine dalla quale comprendere tutte le cose”
Morto carbonizzato sul sagrato della cattedrale di Saint Patrick, a New York: questa era la fine che tutti credevano avesse fatto il vampiro Armand. Invece Armand è sopravvissuto ed è pronto a raccontare al vampiro-biografo David Talbot la sua vita, lunga oltre cinquecento anni. Bello come un angelo, Armand ha l’aspetto di un eterno adolescente; tuttavia, dietro quell’eterea sembianza, si celano una vicenda colma di violenze e un’anima tormentata e profondamente inquieta. Dalle steppe russe alla Venezia più misteriosa fino all’incontro con Marius, il Maestro, colui che gli offrirà la conoscenza e l’immortalità, colui che lo salverà dall’abisso e lo condannerà in eterno…e la sua storia, dai bordelli di Venezia alle catacombe di Parigi.
“Quell’ultima alba a Roma, prima della mia partenza obbligata alla volta del nord, si decise che dovevo cambiare nome.
Amadeo, contenendo la parola che indicava Dio, era del tutto inadatto a un Figlio delle Tenebre, soprattutto a quello destinato a guidare la congrega di Parigi.
Tra le varie alternative offertemi, Alessandra scelse il nome di Armand.
Così divenni Armand.”
Anche questo libro non tiene il passo con i primi libri della saga, ma anche se potrebbe risultare lento e troppo descrittivo, anche se il modo che ha la Rice nel descrivere è straordinario e mi affascina sempre, resta a mio parere un libro da leggere per chi ama il genere.
Si diceva che una bambina fosse morta nel solaio. I suoi abiti erano stati trovati murati in una parete.
Volevo salire lassù e sdraiarmi accanto alla parete e restare solo.
Avevano visto saltuariamente il fantasma della bambina. Ma nessuno di quei vampiri riusciva a vedere davvero gli spiriti, almeno non nel modo in cui li vedevo io. Non aveva importanza. Non era la compagnia della bambina ciò che desideravo. Volevo trovarmi in quel posto.
Ormai non sarebbe servito a nulla rimanere vicino a Lestat. Ero venuto fin lì. Avevo raggiunto il mio scopo. Non potevo aiutarlo.
Vedere i suoi occhi con le pupille fisse e immutabili m’inquietava, mentre mi sentivo tranquillo e colmo d’amore per quanti mi erano più vicini – i miei figli umani, il mio bruno, piccolo Benji e la mia tenera, flessuosa Sybelle -; tuttavia non ero ancora abbastanza forte per portarli via.
Lasciai la cappella.
Non badai nemmeno a chi fosse presente. Ormai l’intero convento era divenuto una dimora di vampiri. Non era un luogo turbolento o negletto, tuttavia non feci caso a chi rimase nella cappella quando me ne andai.
Lestat giaceva nel solito posto, sul pavimento di marmo della cappella davanti all’enorme crocifisso, sdraiato su un fianco, la mano sinistra appena sotto la destra, le dita che toccavano delicatamente il marmo come per uno scopo preciso, quando in realtà non esisteva nessuno scopo. Le dita della mano destra erano ripiegate, formando nel palmo una piccola infossatura su cui cadeva la luce, e anche quello sembrava avere un significato, ma non esisteva nessun significato.
Quello era soltanto il corpo sovrannaturale, steso lì senza volontà o animazione; non sembrava più risoluto del viso, la sua espressione astuta in modo quasi insolente, considerando che Lestat non si muoveva da mesi.