Lo Schiavo del Tempo è un romanzo fantasy/horror scritto da Anne Rice, pubblicato nel 1996.
Con stile biografico narra la vita dello spirito Azriel, partendo dalla sua esistenza mortale come ricco ebreo nella Babilonia di Ciro il Grande (VI secolo a.C.) per infine concludersi nella caotica New York contemporanea.
“Questa è la storia di Azriel, come lui me l’ha raccontata, perché mi ha chiesto di esserne testimone e di registrare le sue parole. Chiamatemi Jonathan, come ha fatto lui. Questo è il nome che ha scelto la notte in cui è apparso davanti alla mia porta spalancata e mi ha salvato la vita.
Senza dubbio, se non fosse arrivato in cerca di uno scrivano, sarei morto prima dell’alba.
Lasciate che vi dica che sono abbastanza noto nel campo della storia, dell’archeologia e della coltura sumera. E Jonathan è in effetti uno dei nomi che mi hanno dato alla nascita, ma non lo trovereste sulle copertine dei libri che i miei allievi studiano per puro dovere o perché amano i misteri dell’antica sapienza quanto me.
Azriel lo sapeva – che studioso e che professore fossi – quando è venuto a cercarmi.
Jonathan è un nome privato per me, su cui ci siamo messi d’accordo. Lo aveva scelto dalla sequenza di tre nomi che compare sui miei libri nello spazio riservato al copyright. E io ho risposto. Per lui divenne il mio nome per tutte le ore in cui mi ha raccontato la sua storia, una storia che non pubblicherei mai col mio solito nome di accademico, sapendo benissimo, come sa lui, che non verrebbe mai accettata nel novero dei miei saggi.
Dunque io sono Jonathan, lo scrivano. Racconto la storia che mi ha raccontato Azriel. A lui non importa certamente che nome uso con voi. Gli importa soltanto che qualcuno metta per iscritto quello che aveva da dire. Il Libro di Azriel fu dettato a Jonathan.”
Mentre si trova bloccato in fin di vita in una baita d’alta montagna, uno studioso dell’antica civiltà sumera viene salvato dall’inattesa quanto provvidenziale visita di un misterioso, bellissimo giovane che dice di chiamarsi Azriel e di essere un demone con una lunga e struggente storia da raccontare. Azriel è lo spirito di un giovane ebreo babilonese che per amore verso il suo popolo prigioniero in Mesopotamia è caduto in un inganno ordito da sacerdoti pagani e negromanti, i quali gli hanno strappato l’anima e ne hanno fatto un demone in balia del mago che di volta in volta possiede le ossa delle sue spoglie mortali. Dalla Babilonia dei mille dèi alla Parigi di fine Ottocento, all’Asia Minore a New York, il viaggio di Azriel volge al termine.
Forse non è il migliore libro di questa autrice, le recensioni sono molto contrastanti, ma la Rice è sempre la Rice ed anche se tende ad essere un po’ prolissa, soffermandosi troppo nelle descrizioni, narrandole da ogni punto di vista in modo che il lettore le comprenda proprio bene, nonostante questo, la storia è intrigante e fa viaggiare il lettore nella storia dalla antica Babilonia, nella tetra Parigi, fino alla nostra epoca.
PROEMIO
Assassinata. Aveva i capelli e gli occhi neri. Accadde sulla Quinta Strada, l’assassinio, in un bel negozio d’abbigliamento, in un momento di ressa. Scene di isterismo quando è caduta a terra… probabilmente.
L’ho vista sullo schermo del televisore che tenevo acceso senza audio. Esther. La conoscevo. Sì, Esther Belkin. Era stata una mia allieva. Esther. Ricca e bella.
Suo padre era il capo di quella chiesa che ha accoliti in tutto il mondo. Baggianate New Age e magliette. E i Belkin avevano tutti i soldi che un essere umano possa desiderare, e adesso Esther, la dolce Esther, quel fiore di ragazza che faceva le domande con tanta timidezza… era morta.
Durante il telegiornale, ‘in diretta’, credo di averla vista morire. Stavo leggendo un libro e non prestavo molta attenzione. Le notizie scorrevano in silenzio, le guerre si alternavano a divi del cinema producendo vaghi riflessi luminosi sulle pareti della stanza. Muti sprazzi di luminescenza di un televisore che nessuno sta guardando. Quando è morta ho letto ‘in diretta’.
Nei giorni seguenti ho pensato a lei di tanto in tanto. Vennero fuori cose orribili dopo la sua morte, su suo padre e la sua chiesa elettronica. Altro sangue versato.
Non avevo mai conosciuto suo padre. I suoi seguaci erano rifiuti di strada.
Ma mi ricordavo abbastanza bene di Esther. Voleva sempre sapere tutto, uno di quei tipi umili, che ascoltano sempre, e dolce, sì, molto dolce. Me la ricordavo. Certo. Che ironia, quella cerbiatta di ragazza ammazzata e poi la tragedia delle follie di suo padre.
Non ho mai cercato di capire tutta la vicenda.
Mi dimenticai di lei. Scordai che era stata assassinata. Scordai suo padre. Forse dimenticai che fosse mai esistita.
A quelle notizie ne seguirono altre e altre ancora.
Era arrivato il momento di smettere di insegnare per un po’.
Andai via, per scrivere il mio libro. Andai in montagna. Andai sulla neve. Non avevo neppure dedicato una preghiera alla memoria di Esther Belkin, ma io sono uno storico, non un uomo che prega.
In montagna, ho scoperto tutto. La sua morte mi ha seguito, vivida e piena di significato, attraverso le parole di un altro.