L’avvocato di strada è un libro di John Grisham del 1998, un legal thriller che tocca un argomento delicato, quello della giustizia sociale, perché la giustizia è uguale per tutti, anche per chi non può permertesela.
“Prima di tutto sono un essere umano, poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose…”
Michael Brock ha sempre saputo come ottenere quello che voleva. Dall’università di Yale al prestigioso studio Drake & Sweeney, la sua carriera di avvocato non ha mai conosciuto ostacoli. E’ un uomo che non ha tempo da perdere, non ha tempo di fermarsi, forse non ha neppure tempo di avere una coscienza. Un giorno però un barbone fa irruzione nello studio e, armato di pistola lo tiene in ostaggio. Non si sa cosa voglia, ma l’uccisione di quell’uomo da parte della polizia lascia Michael sconvolto. Chi era e cosa lo ha spinto a quel folle gesto? A poco a poco Michael scoprirà che esiste uno strano legame fra lo studio e quel barbone: un affare illecito e scandaloso. Passerà allora dall’altra parte abbandonando le proprie ambizioni per diventare un avvocato di strada pronto a dare battaglia e a compiere azioni di cui non si sarebbe mai creduto capace…
“Attingi forza da loro. Sono gente straordinaria. Molti sono nati senza un passato e senza un futuro, ma sono sopravvissuti. Inciampano e cadono, ma si rialzano sempre.”
Da segnalare che in Italia nel 2001, sulla scia del libro di Grisham, è nato un progetto di volontariato che porta lo stesso nome del libro. Il progetto Avvocato di strada, nato all’interno dell’Associazione Amici di Piazza Grande Onlus di Bologna, ha come obiettivo fondamentale la tutela dei diritti dei senza fissa dimora, che subiscono ogni giorno soprusi e prevaricazioni di ogni genere senza potersi difendere. Chi vive in strada, infatti, in poco tempo può accumulare problematiche legali che di fatto possono impedire il rientro in società delle persone che ne sono state espulse. Fondamentale in questi casi può dunque risultare l’aiuto gratuito di avvocati professionisti. Presso lo sportello legale le persone senza dimora che hanno biosogno di un aiuto legale, vengono ricevuti da avvocati e laureati in giurisprudenza che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale. Il progetto “Avvocato di strada” in breve tempo si è affermato per la sua utilità sociale, ed è riuscito ad esportare il proprio modello in molte altre città italiane, al fine di rendere più capillare l’aiuto a quante più persone possibili.
L’uomo con gli stivali di gomma entrò in ascensore dietro di me, ma io non lo vidi subito. Ne sentii l’odore, però, l’aspro odore di fumo e vino scadente e vita di strada senza sapone. C’eravamo solo noi nella cabina e quando finalmente gettai uno sguardo dalla sua parte vidi gli stivali, neri, sporchi e molto, troppo grandi. Un trench cencioso gli scendeva fino alle ginocchia. Sotto, vari strati di indumenti sudici lo infagottavano al punto
da farlo sembrare grosso, quasi corpulento. Ma non era certo pasciuto; a Washington, d’inverno, gli homeless indossavano praticamente tutto quello che avevano a disposizione.
Era di pelle nera, avanti negli anni. Capelli e barba erano brizzolati, incoltie non lavati da molti mesi. Guardava diritto davanti a sé attraverso le lenti di un paio di occhiali da sole, ignorandomi del tutto e spingendomi a domandarmi perché mai mi fossi messo a scrutarlo in quel modo.
Faceva a pugni con l’ambiente. Quello non era il suo palazzo, non era un luogo che lui potesse permettersi. Su tutti gli otto piani gli avvocati lavoravano per compensi orari che, anche dopo sette anni, a me sembravano un
sacrilegio.
Un barbone come tanti che cercava di sfuggire al freddo. Una situazione ricorrente nei quartieri centrali di Washington. Ma per casi del genere noi avevamo il nostro servizio di sicurezza.
Ci fermammo al sesto e soltanto allora mi accorsi che lui non aveva premuto alcun pulsante, non aveva selezionato un piano. Mi stava seguendo. Uscii in fretta dall’ascensore ed entrando nello splendido atrio di marmo della Drake & Sweeney mi guardai alle spalle per un attimo. Era ancora nella cabina, fissava il vuoto e continuava a ignorarmi.