La donna dei fiori di carta è un romanzo dello scrittore Donato Carrisi, pubblicato nel 2012, un thriller delicato.
“Ci sono giorni in cui, al mattino, la nebbia copre tutto. Appare, e tutto torna a non esistere, o va alla deriva, disperso. Tutto.
La nebbia sopra alle cose. Dentro la nebbia la vita riposa.”
Il monte Fumo è una cattedrale di ghiaccio, teatro di una battaglia decisiva. Ma l’eco dei combattimenti non varca l’entrata della caverna in cui avviene un confronto fra due uomini. Uno è un prigioniero che all’alba sarà fucilato, a meno che non riveli nome e grado.
L’altro è un medico che ha solo una notte per convincerlo a parlare, ma che ancora non sa che ciò che sta per sentire è molto più di quanto ha chiesto e cambierà per sempre anche la sua esistenza. Perché le vite di questi due uomini che dovrebbero essere nemici, in realtà, sono legate. Sono appese a un filo sottile come il fumo che si leva dalle loro sigarette e dipendono dalle risposte a tre domande.
Chi è il prigioniero? Chi è Guzman? Chi era l’uomo che fumava sul Titanic?
Questa è la storia della verità nascosta nell’abisso di una leggenda.
Questa è la storia di un eroe insolito e della sua ossessione.
Questa storia ha attraversato il tempo e ingannato la morte, perché è destinata al cuore di una donna misteriosa.
Un thriller diverso dai precedenti, più calmo e senza grandi colpi di scena, ma che ugulamente ti incanta, un noir che sfiora la poesia, non sarà uno dei migliori libri di Carrisi, ma si legge con piacere, posso affermare che questo autore ha decisamente conquistato un posto speciale nella mia libreria.
Un’immensa cattedrale di ghiaccio.
Jacob Roumann osservava la montagna al riparo del muro di trincea. Era lì che seppellivano i morti, nel ghiacciaio perenne. La roccia era troppo dura per scavare delle fosse. Ma c’era un aspetto positivo. In quelle tombe di gelo, i corpi si sarebbero conservati intatti per milioni di anni.
Per sempre giovane, pensò mentre con una carezza chiudeva le palpebre al soldato che non era riuscito a salvare – che età poteva avere? Diciotto, diciannove
anni. Poi Jacob Roumann si voltò verso una bacinella di zinco e intinse nell’acqua le mani sporche di sangue. Da un paio d’ore le armi tacevano – quanto sarebbe durata?
Maledetto ghiaccio, disse fra sé.
Aveva sperato che il freddo rallentasse l’emorragia del ferito. Era stato inutile. Senza farmaci e con gli strumenti scarsi e usurati che aveva a disposizione non sarebbe stato possibile arrestare il dissanguamento. E anche se ci fosse riuscito, a che scopo? Quelli che guariva venivano rispediti in prima linea. Li rimetteva in piedi perché ammazzassero qualcuno o si facessero ammazzare – bell’impresa! In fin dei conti, anche lui lavorava al soldo di madre morte.
Sono il clown piazzato da Dio nel bel mezzo dell’Apocalisse, si diceva.
Ogni cosa intorno a lui mancava di senso logico. Tanto per cominciare, era primavera ma sembrava inverno.
La chiamavano Guerra Mondiale, ma in fondo era sempre la stessa merda.