Il quinto testimone è un romanzo dello scrittore statunitense Michael Connelly, pubblicato in Italia nel 2014, il quarto con protagonista l’avvocato Mickey Haller.
“Ho sempre avuto il sospetto che gli agenti assegnati al ricevimento venissero scelti dai loro superiori per la loro vaghezza e disinformazione. se avete dei dubbi entrate in una qualsiasi stazione di polizia e dite al poliziotto che vi accoglie che vorreste presentare un reclamo contro un funzionario di polizia. Verificate quanto ci metterà a trovare il modulo giusto. Gli addetti al ricevimento di solito sono giovani, imbranati e involontariamente ignoranti, oppure anziani, pervicaci e abilissimi a fingere di non sapere.”
Sono tempi duri per Mickey Haller. La crisi picchia sodo e, nonostante i crimini non siano diminuiti, pare che nessuno, nemmeno i delinquenti più incalliti, possa più permettersi un avvocato.
E così, per far quadrare il bilancio, non gli resta che imboccare un’altra strada in un settore che purtroppo, sempre a causa della crisi, ha avuto una vera e propria esplosione, quello dei pignoramenti delle abitazioni. Sembra che la gente, infatti, oltre a non avere i soldi per pagare un avvocato, non abbia neanche quelli per restituire le rate del mutuo contratto con le banche per l’acquisto della casa.
Quello di Lisa Trammel è il primo caso di cui Mickey Haller si occupa e anche se finora è riuscito a evitare che la banca le sequestri la casa, lo stress e la sensazione di aver subito un’ingiustizia l’hanno profondamente segnata. Comunque Lisa non è una donna facile. Combattiva, ficcanaso, è stata persino diffidata dall’avvicinarsi all’istituto di credito che minaccia di lasciarla senza un tetto sopra la testa.
Le cose si complicano, e di molto, quando viene accusata di aver ucciso Mitchell Bondurant, il dirigente che segue la sua pratica.
Per Mickey significa tornare a quello che ha sempre fatto, cioè occuparsi di diritto penale, ma se pensava che difendere Lisa fosse una passeggiata, si sbagliava di grosso.
Non solo scoprirà delle verità sconvolgenti sulla sua cliente, ma, al momento del verdetto, prenderà delle decisioni che capovolgeranno radicalmente la sua vita.
Le recensioni sono tutte positive, Connelly non delude nemmeno questa volta.
Le parole magiche
1La signora Pena, seduta accanto a me sul sedile posteriore, si girò a guardarmi e alzò le mani in un gesto implorante. Poi iniziò a parlare. Aveva un accento molto marcato, ma nonostante questo aveva deciso di rivolgermi il suo appello finale in inglese.
«Mi aiuta, vero, signor Mickey?»
Guardai Rojas che, sul sedile anteriore, era voltato verso di noi, anche se questa volta non avevo bisogno della sua traduzione. Poi alzai lo sguardo sopra la spalla della signora Pena e attraverso il finestrino vidi la casa che cercava disperatamente di non perdere. Era una villetta di un rosa sbiadito, con due camere da letto e un giardinetto delimitato da una recinzione di rete metallica. I gradini che portavano all’ingresso erano coperti di graffiti, indecifrabili a parte il numero 13, che non faceva parte dell’indirizzo, ma equivaleva a una dichiarazione d’amore.
I miei occhi tornarono a posarsi su di lei. Aveva quarantaquattro anni e, nonostante l’aria sfinita, era piuttosto attraente. Viveva da sola con tre figli adolescenti e non pagava la rata del mutuo da nove mesi. La banca le aveva pignorato la casa e stava per metterla in vendita.
L’asta si sarebbe svolta di lì a tre giorni. Poco importava che l’immobile avesse un valore molto modesto e fosse situato in una zona di Los Angeles South dove la criminalità dilagava, qualcuno l’avrebbe comprata e la signora da proprietaria sarebbe diventata affittuaria, sempre che l’acquirente non l’avesse buttata fuori. Per anni aveva fatto affidamento sulla principale gang ispanica di Los Angeles, la Florencia 13. Ma i tempi erano cambiati e nessuna gang poteva risolvere un problema come il suo. Per questo aveva bisogno di un avvocato e, più precisamente, aveva bisogno di me.
«Dille che farò del mio meglio» spiegai a Rojas. «Sono quasi sicuro che riuscirò a bloccare l’asta e a contestare la validità del pignoramento. Almeno servirà a rallentare il procedimento e ci darà il tempo di elaborare un piano a lungo termine per aiutarla a rimettersi in piedi.»
Annuii, mentre Rojas traduceva. Avevo cominciato a utilizzarlo come autista e traduttore da quando avevo acquistato degli spazi pubblicitari sui canali radio in lingua spagnola.
Sentii il telefono cellulare che mi vibrava in tasca. Dalla brevità della vibrazione capii che si trattava di un messaggio; di solito le telefonate erano più insistenti. Decisi di ignorarlo. Quando Rojas terminò di tradurre, ripresi rapidamente a parlare, precedendo la mia potenziale cliente.
«Deve capire che questa non è una soluzione radicale. Posso prendere tempo e cercare di trattare con la banca. Ma non posso prometterle che riuscirà a tenersi la casa, anche perché al momento l’ha già persa. Farò di tutto per fargliela riavere, ma non può evitare di affrontare la banca.»
Rojas tradusse, accompagnando le parole con ampi gesti delle mani. La verità era che la donna avrebbe dovuto andarsene. Bisognava solo capire fino a che punto voleva che mi spingessi. Se invocavo la bancarotta personale avrei avuto a disposizione un altro anno prima del pignoramento. Comunque aveva ancora un po’ di tempo prima di decidere.
«Dille anche che io devo essere pagato per il mio lavoro. Mille dollari subito e il resto con cadenza mensile.»
«Vorrà sapere qual è il totale e per quanto tempo dovrà continuare a pagare.»
Tornai a guardare la casa. Mi aveva invitato a entrare, ma io avevo preferito che il nostro colloquio si svolgesse in macchina. Quella era una zona dove le sparatorie erano all’ordine del giorno, ma la mia Lincoln era un’auto corazzata. L’avevo comprata usata dalla vedova di un membro del cartello di Sinaloa che era stato assassinato. Le portiere erano rinforzate e i finestrini, formati da tre strati sovrapposti di vetro laminato, erano a prova di proiettile, cosa che non si poteva dire delle finestre della villetta rosa. La lezione che avevo imparato dall’uomo di Sinaloa era che non si scende mai dalla propria auto a meno di non esservi costretti.