Più forte della paura è un romanzo di Marc levy, pubblicato in Italia il 19 marzo nel 2015, traduzione di Giulio Lupieri. Tra depistaggi, agguati e amici infidi, siamo trascinati in una nuova indagine che da Manhattan si sposta in Norvegia e al Polo Nord, scortandoci negli asfissianti corridoi dei palazzi del potere, luoghi oscuri e cinici, dove la sola legge che conta è ancora quella del più forte.
In questo romanzo ritroviamo i personaggi di Se potessi tornare indietro.
“Il coraggio è soltanto un sentimento più forte della paura.”
Suzie Baker è una giovane donna con un’ossessione: vuole riabilitare a tutti i costi il nome dell’amatissima nonna, coraggiosa e incauta moglie di un senatore democratico degli Stati Uniti, accusata di alto tradimento negli anni della Guerra fredda e per questo fatta ammazzare dall’establishment. Cosa si nasconde dietro il suo assassinio? La risposta è custodita in alcuni documenti seppelliti nella carcassa di un aereo precipitato fra i ghiacci del Monte Bianco.
Suzie li troverà, ma per poterli decifrare dovrà coinvolgere in questo gioco azzardato il giornalista del “New York Times” Andrew Stilman. Se intuisce di avere per le mani uno scoop, il reporter non si ferma davanti a niente, tanto più adesso: l’amata moglie Valérie lo ha lasciato, e la bottiglia è la sua tentazione costante. Così, insieme, Suzie e Andrew ricomporranno i pezzi di una torbida vicenda, ritrovandosi invischiati in una pericolosa avventura costellata di zone d’ombra, faccia a faccia con un nemico subdolo, in un mondo dove niente è come sembra.
“Due anime rotte che si ritrovano a fare un viaggio alla ricerca della verità cercando di fuggire dal dolore che li insegue.”
Le recensioni sono quasi tutte positive, ma gli amanti del genere thriller potrebbero sbiancare, bisogna leggere questo romanzo con la consapevolezza di leggere un giallo leggero mischiato al genere rosa.
Prologo
Aeroporto di Bombay, 23 gennaio 1966, ore tre del mattino. Gli ultimi passeggeri del volo Air India 101 attraversano la pista e salgono la scaletta del Boeing 707. Nella sala d’imbarco vuota due uomini sono in piedi, fianco a fianco, davanti alla vetrata.
«Che cosa c’è in quella busta?»
«Preferisco che lei non lo sappia.»
«A chi devo consegnarla?»
«Quando l’aereo farà scalo a Ginevra, andrà a bere al banco del bar, dove sarà avvicinato da un uomo che le offrirà un gin tonic.»
«Io non bevo alcol, signore.»
«Allora si accontenterà di guardare il bicchiere. Il suo interlocutore si presenterà con il nome di Arnold Knopf. Il resto sta alla sua discrezione, e so di potermi fidare.»
«Non mi piace che lei si serva di me per i suoi piccoli affari.»
«Cosa le fa credere che si tratti di un piccolo affare, mio caro Adesh?»
Non c’era traccia di amabilità nel tono di George Ashton.
«D’accordo, ma dopo questo viaggio non le dovrò più nulla, è l’ultima volta che usa la valigia diplomatica indiana a fini personali.»
«Sarò io a decidere quando non mi dovrà più nulla. E giusto perché si sappia regolare, non c’è niente di personale in ciò che le chiedo. Adesso però veda di non perdere l’aereo. Passerò dei guai, se ritarderò ancora la partenza. E approfitti del volo per riposarsi un po’, ha l’aria stanca. Tra pochi giorni siederà alla conferenza delle Nazioni Unite a New York. Può considerarsi fortunato, io non ne posso più del vostro cibo: certe notti sogno uno di quei favolosi hot dog che fanno a Madison. Ne mangi uno alla mia salute.»
«Non mangio carne di maiale, signore.»
«Lei mi esaspera, Adesh! Le auguro comunque buon viaggio.»* * *
Adesh Shamal non incontrò mai il suo contatto al bar dell’aeroporto di Ginevra. Dopo aver fatto scalo a Delhi e poi a Beirut, l’aereo era ridecollato alle tre del mattino. Uno dei due strumenti di radionavigazione era difettoso.
Alle 06:58 e 54 secondi il comandante di bordo ricevette dal centro di controllo regionale di Ginevra l’autorizzazione a scendere al livello di volo 190 dopo il passaggio sul Monte Bianco.
Alle 07:00 e 43 secondi il comandante D’Souza comunicò di aver superato la montagna e iniziato la discesa verso Ginevra. Il controllore gli rispose che la sua posizione era errata e che si trovava ancora a cinque miglia dal Monte Bianco. Il comandante D’Souza confermò di aver ricevuto il messaggio alle 07:01 e 06 secondi.
Alle 07:02 e 00 secondi del mattino del 24 gennaio 1966 l’eco radar del volo Air India 101 registrò per un minuto una posizione fissa, poi scomparve dagli schermi.
Il Boeing 707 soprannominato Kanchenjunga si era schiantato contro lo sperone della Tournette, a 4670 metri di altitudine. Nessuno degli undici membri dell’equipaggio e dei centosei passeggeri sopravvisse all’impatto.
Sedici anni dopo il tragico incidente del Malabar Princess, un altro aereo della compagnia Air India era precipitato sul Monte Bianco, nello stesso identico punto.