Zanna Bianca è uno dei più famosi romanzi dello scrittore statunitense Jack London. Fu pubblicato la prima volta a puntate tra il maggio e l’ottobre del 1906, può essere considerato uno dei classici della letteratura per ragazzi. Il libro racconta la vita di un lupo con un quarto di sangue di cane, che nasce nel territorio canadese dello Yukon alla fine del XIX secolo, la sua ambientazione è ricavata dalle esperienze avute da London nel Klondike, come cercatore d’oro.
“Una volta si svegliò e vide davanti a pochi passi passi un grande lupo grigio, uno dei più grossi del branco; e mentre lo guardava, la belva si stirò pigramente, gli sbadigliò in faccia e lo guardò con una espressione di possesso, come se in realtà egli fosse un pasto sicuro da consumare a suo tempo.”
Il romanzo è ambientato nell’America settentrionale, tra l’Alaska ed il Canada.
Nella prima parte, si raccontano le vicende di due cercatori d’oro nel Klondike, Henry e Bill, tentano di tornare a casa con una slitta trainata da sei cani, i quali spariscono perché attirati da una lupa. I due si trovano in difficoltà e devono fronteggiare un branco di lupi, tra cui anche “la lupa”, un incrocio con un cane che metterà al mondo Zanna Bianca. Bill e quattro cani vengono uccisi e divorati dai lupi, mentre Henry rimasto solo e circondato dai lupi si ritrova sul punto di morire quando viene salvato da un’altra spedizione che corre in suo aiuto.
“La paura! Quell’eredità della vita selvaggia a cui nessun animale può sfuggire.”
Nella seconda parte del libro, viene descritto il momento della caccia alle alci da parte dei lupi e quello dei combattimenti tra i maschi per il corteggiamento della lupa alfa, di nome Kiche, che nella prima parte viene semplicemente presentata come “la lupa”. A spuntarla sarà Guercio, un lupo cieco da un occhio per gli innumerevoli combattimenti, che diventerà il compagno di Kiche. La lupa dà alla luce sei cuccioli, ma solo uno di essi sopravvive alle avverse condizioni climatiche, Zanna Bianca.
“La vita viveva della vita. Vi erano quelli che divoravano e quelli che erano divorati. La legge era: “Divorare o essere divorati”.
Nella terza parte Zanna Bianca diventa il protagonista assoluto del romanzo, sopravvive ai suoi fratelli in una grotta dello Yukon, sopra un torrente, lontano da ovunque.
Durante una delle sue esplorazioni, il piccolo lupo sfortunatamente incontra una comitiva di cinque indiani, capitanati da Castoro Grigio che si impossessa sia del lupacchiotto che della madre.
Castoro Grigio ribattezza quest’ultimo con il nome di Zanna Bianca, perché il piccolo possiede delle zanne bianchissime data la sua giovanissima età. A quel punto Zanna Bianca diventa utile per i lavori da svolgersi nelle foreste dell’Alaska, da parte degli indiani, ma è disprezzato e maltrattato da tutti gli altri cani del campo indiano, che vedono in lui solo un lupo, soprattutto da il caposlitta Lip-Lip, un husky.
Cresce così emarginato e selvaggio, ma sviluppa anche doti di forza, velocità e resistenza sopra la media.
Mith-Sah, figlio di Castoro Grigio, lo addestra a diventare un perfetto cane da slitta e Zanna Bianca si vendica così di Lip-Lip, uccidendolo e proclamandosi capobranco.
“Possedere un dio vuol dire servire, e Zanna Bianca serviva per dovere e per paura, ma non per amore. Non sapeva cosa fosse l’amore; non ne avena nessuna esperienza”
Nella quarta parte Castoro Grigio porta il suo cane a Fort Yukon, per cederlo a uno dei cercatori d’oro, un certo Smith il Bello inganna l’indiano facendolo ubriacare e si appropria di Zanna Bianca con l’obiettivo di trasformare il lupo in un perfetto cane da combattimento, tanto da torturarlo ferocemente per incattivirlo e vincere ogni scommessa.
Zanna Bianca si rivela un eccellente combattente e sconfigge tutti gli avversari.
Un giorno però, il potente bulldog Cherokee resiste ai suoi attacchi e, abbattendolo a terra, inizia a soffocarlo con la mascella, interviene allora Weedon Scott, un incontro che gli cambierà la vita.
Nella quinta parte riuscirà Zanna Bianca a dimenticare la violenza degli uomini e degli animali e scoprire l’affetto e i buoni sentimenti?
“Weedon Scott si era assunto il compito di redimere Zanna Bianca, o piuttosto di redimere l’umanità dal male che aveva fatto a Zanna Bianca. Era per una questione di principio e per uno scrupolo di coscienza. Sentiva che il male fatto al lupo era un debito contratto dall’uomo e che doveva essere pagato.”
Un romanzo che affascina e porta il lettore in mondi lontani, trovo geniale il fatto di raccontare la storia attraverso gli occhi del lupo. Se si escludono alcune parti un po’ prolisse che potrebbero annoiare il lettore, è un romanzo di avventura, ricco di azione, eroismo, dolcezza e colpi di scena, non si può non amare questo lupo-cane orgoglioso, forte, generoso e capace di vero amore.
Lo reputo un capolavoro da leggere da ragazzi, e da rileggere da adulti, ci insegna a non considerare mai le cose da un punto di vista solo personale, ma cercare sempre le cause e le ragioni dell’agire degli altri.
La scura foresta di abeti si stendeva sulle due rive del fiume ghiacciato. Recentemente il vento aveva strappato agli alberi il loro bianco mantello di brina; e gli alberi, neri e sinistri, sembrava si appoggiassero l’uno all’altro, nella luce morente. Un silenzio di tomba regnava sul paesaggio: e il paesaggio stesso era desolato, senza vita, senza movimento, così squallido e gelido da sembrare permeato di un qualcosa di più triste della stessa tristezza. Vi regnava quasi un accento di riso, un ghigno ben più terribile di ogni tristezza, un riso tetro come il sorriso della sfinge, un riso freddo come il gelo, in cui si sentiva aleggiare la truce minaccia dell’ineluttabilità. Era la saggezza imperiosa dell’eternità che irrideva alla futilità della vita e agli sforzi dell’umanità. Era il “Wild”, il selvaggio “Wild” della Terra del Nord, dal cuore di ghiaccio.
Ma in quella regione, sfidando il gelo, c’era la vita. Lungo il fiume ghiacciato scendeva a fatica una muta di cani lupi. Il loro pelo irsuto era coperto di brina. Ad ogni respiro, il vapore che usciva come un getto dalle loro bocche gelava subito e si posava, sotto forma di cristalli di ghiaccio, sulle loro pellicce. I cani erano bardati con finimenti di cuoio ed erano attaccati ad una slitta con tirelle pure di cuoio. La slitta non aveva pattini ed era fatta di robusta corteccia di betulla; aderiva alla neve con tutta la sua superficie.
La parte anteriore della slitta era sollevata e come ripiegata su se stessa, per cacciare sotto e ai fianchi la neve fresca, come se si trattasse di un’onda marina. Sulla slitta vi era una cassa oblunga, lunga e stretta, saldamente legata. Vi erano anche altre cose, delle coperte, una scure, una caffettiera e una padella; ma la cosa che più spiccava ed occupava maggiore spazio era la cassa oblunga.
Davanti ai cani vi era un uomo, che calzava delle larghe racchette da neve. Dietro alla slitta si affaticava un altro uomo. E sulla slitta, nella cassa, giaceva un terzo uomo per cui ogni fatica era cessata, un uomo che il “Wild” aveva soggiogato ed abbattuto, fino a togliergli per sempre la possibilità di muoversi e di lottare. Il “Wild” non ama il movimento. La vita è un’offesa per lui, perché la vita è movimento; e il “Wild” mira ognora a distruggere il movimento. Gela le acque, per impedire la loro corsa verso il mare; succhia la linfa dagli alberi, finché il gelo raggiunge il loro cuore. Ma il “Wild” incrudelisce soprattutto, nel modo più feroce e terribile, contro l’uomo, per schiacciarlo e soggiogarlo: l’uomo, in cui la vita scorre più irrequieta, l’uomo, ribelle alla legge che stabilisce che ogni movimento deve alla fine cessare.
Ciononostante, con coraggio indomito, uno davanti, l’altro dietro alla slitta, i due uomini che ancora non erano morti proseguivano nella loro fatica. Erano vestiti di pellicce e di morbide pelli conciate.
Avevano le sopracciglia, le guance, le labbra coperte di ghiaccioli, formatisi dal condensarsi del loro respiro, così che non si potevano distinguere i loro volti. Sembravano maschere spettrali, impresari di pompe funebri, che, in un mondo spettrale, seguissero il funerale di qualche fantasma. Ma sotto quell’apparenza erano uomini, che penetravano in quella regione desolata, beffarda e silenziosa, microbi dallo spirito avventuroso che si slanciavano in un’avventura colossale, e che volevano battersi contro un mondo potente, contro un mondo straniero, ostile e tragicamente immobile come gli abissi dello spazio.
Camminavano senza parlare, per non sprecare il fiato, necessario al faticoso lavoro. Ovunque era silenzio, un silenzio così intenso ed opprimente, che sembrava materializzarsi in qualcosa di tangibile.
Opprimeva le loro menti alla maniera con cui l’acqua grava, con tutto il suo volume, sul palombaro. Li schiacciava col peso di una vastità infinita; li opprimeva fin nei più remoti recessi delle loro menti, spremendone, come si spreme il succo da un grappolo d’uva, tutti i falsi ardori, le esaltazioni e le eccessive presunzioni dell’animo umano. Ed essi non potevano non sentirsi dei piccoli esseri, polvere, atomi, che si muovevano goffamente e scioccamente in mezzo al gioco equilibrato degli elementi ciechi e delle forze cosmiche.
Un’ora trascorse, e poi un’altra ancora. Già svaniva la pallida luce della breve giornata senza sole, quando nell’aria tranquilla si innalzò un debole grido lontano. Sorse improvviso, crebbe sino a raggiungere la nota più alta, che tenne per un poco, una nota forzata e palpitante, e poi lentamente morì. Avrebbe potuto essere il lamento di un’anima smarrita, se non fosse stato impregnato di una certa triste ferocia, di un ardore impaziente e affamato. L’uomo che camminava davanti ai cani girò la testa, ad incontrare con lo sguardo gli occhi dell’uomo che seguiva la slitta. Poi, al di sopra della cassa oblunga, si scambiarono un cenno d’intesa.
Un secondo grido si innalzò, un grido acuto, che trafisse come un ago il silenzio. I due uomini ne scoprirono la provenienza. Il suono sorgeva dietro a loro, in qualche punto della candida distesa che avevano appena attraversato. Si levò un terzo grido di risposta, sempre dietro a loro, alla sinistra del secondo grido.
2 commenti
da piccola non l’ho letto…
ma sto recuperando molti classici ultimamente, e farò lo stesso con questo.
Anche io sto recuperando, mi sono persa tantissimo in passato e purtroppo sono una lettrice lenta, ho una lista infinita 🙂