Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto è un romanzo di Paulo Coelho pubblicato nel 1994.
“L’amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo. L’amore può condurci all’inferno o al paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo. È necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell’albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli. È necessario ricercare l’amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza. Perché nel momento in cui partiamo in cerca dell’amore, anche l’amore muove per venirci incontro. E ci salva.”
Il libro narra, nella forma di un diario che percorre l’arco di una settimana, la storia di Pilar, una giovane ragazza di Soria. Svolge una vita come tante, immersa nello studio e nella speranza di costruirsi un avvenire sicuro con un buon lavoro e un marito che non l’abbandoni mai. La sua vita cambia quando riceve la lettera di un suo vecchio amore d’infanzia, che la invita ad assistere a una conferenza che lui terrà a Madrid, a poca distanza dal suo paese natale. Ora lui è uomo famoso, in contatto con Dio e capace di compiere miracoli.
“Nessun giorno è uguale all’altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle.”
Dopo l’incontro con il suo vecchio amico, Pilar, inizierà a percorrere un cammino che la porterà a scoprire il volto femminile di Dio, l’importanza di ascoltare il bambino che ha dentro di sè, di ‘fare dei passi folli’, di iniziare a essere di nuovo partecipe di ciò che accade nel mondo. Ma soprattutto scopre ‘l’importanza dell’abbandono’, cioè l’importanza del vero amore che è ‘un totale atto di abbandono come spiega l’autore nella nota iniziale del libro.
Grazie al suo vecchio compagno di giochi, Pilar smetterà di lottare contro il suo cuore e riscoprirà insieme all’amore anche la fede. Sogna ora una vita al suo fianco, nell’aiuto dell’esercizio del suo dono speciale; dono che però lui deciderà di abbandonare per amore della giovane. Ora spetta a Pilar far recuperare al giovane il suo ‘sogno’ grazie alla lettura delle pagine che lei scrive presa dallo sconforto di questa sua rinuncia. Insieme percorreranno un cammino che li aiuterà a costruire il loro sogno.
“Tutti i giorni, con il sole Dio ci concede un momento in cui è possibile cambiare ciò che ci rende infelici. L’istante magico, quel momento in cui un “sì” o un “no” può cambiare tutta la nostra esistenza. Tutti i giorni fingiamo di non percepire questo momento, ci diciamo che non esiste, che l’oggi è uguale a ieri e identico a domani. Ma chi presta attenzione al proprio giorno, scopre l’istante magico: un istante che può nascondersi nel momento in cui, la mattina, infiliamo la chiave nella toppa, nell’istante di silenzio subito dopo la cena, nelle mille e una cosa che ci sembrano uguali. Questo momento esiste: un momento in cui tutta la forza delle stelle ci pervade e ci consente di fare miracoli.”
In ogni storia d’amore c’è qualcosa che avvicina i protagonisti all’eternità, ai misteri del divino, all’essenza della vita: in un sorriso, in una carezza, in uno sguardo o in una frase magari lasciata a metà, gli amanti sanno sempre cogliere i segnali che il cuore invia loro per dirigerne il cammino lungo il sentiero della perfezione. Ma che accade quando, nell’adolescenza, un grande amore viene sacrificato alla timidezza, allorchè le parole si rifiutano di salire alle labbra e il futuro si perde nei colori autunnali di una quercia che domina una piazza?
Cosa si prova quando, dopo undici anni, si ritrova l’innamorato e si scopre che sta percorrendo la via della santità ed è in grado di compiere miracoli?
Per Pilar, il sogno di un’esistenza al fianco dell’amato sembra dissolversi nelle gelide acque del fiume Piedra, ma talvolta anche i gorghi, le cascate e i ciottoli di un torrente possono reinventare il destino e far comprendere che “amare” significa comunicare con l’altro e scoprire in lui una particella di Dio.
Incipit del libro “Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto”
Mi sono seduta e ho pianto. Narra la leggenda che tutto ciò che cade nell’acqua di questo fiume, le foglie, gli insetti, le piume degli uccelli, si trasforma nelle pietre del suo letto. Ah, se solo potessi strapparmi il cuore dal petto e lanciarlo nella corrente, allora non ci sarebbero più dolore né nostalgia né ricordi.
Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto. Il freddo dell’inverno mi ha fatto sentire le lacrime sul viso: lacrime calde che si sono confuse con le acque gelate che scorrono davanti a me. In qualche punto, il fiume si unisce con un altro, poi con un altro ancora, finché, lontano dai miei occhi e dal mio cuore, tutte le acque si confondono con il mare. Che le mie lacrime scorrano lontano, perché il mio amore non sappia mai che un giorno ho pianto per lui.
Che le mie lacrime scivolino via, e solo allora dimenticherò il fiume Piedra, il monastero, la chiesa sui Pirenei, la bruma, i cammini che abbiamo percorso insieme.
Dimenticherò le strade, le montagne e i campi dei miei sogni: sogni che mi appartenevano e che io non conoscevo.
Ricordo il mio istante magico, quel momento in cui un – sì – o un – no – può cambiare tutta la nostra esistenza. Sembra che sia accaduto tanto tempo fa, eppure è solo da una settimana che ho ritrovato il mio amato e l’ho perduto.
Sulle sponde del fiume Piedra, ho scritto questa storia. Le mie mani erano gelate, le gambe intorpidite dalla posizione, e io avevo bisogno di fermarmi spesso.
Forse l’amore ci fa invecchiare anzitempo e ci rende giovani quando la gioventù è passata. Ma come non rammentare quei momenti? Perciò ho scritto, per trasformare la tristezza in nostalgia, la solitudine in ricordi. Perché, dopo aver raccontato a me stessa questa storia, io la potessi lanciare nel fiume Piedra. Era questo l’insegnamento della donna che mi ha accolto. Allora, per ricordare le parole di una santa, – le acque avrebbero potuto spegnere ciò che il fuoco ha scritto -.
Tutte le storie d’amore sono uguali.
Avevamo trascorso insieme l’infanzia e l’adolescenza. Lui se n’era andato, come tutti i giovani se ne vanno dalle piccole città. Aveva detto che voleva conoscere il mondo, che i suoi sogni si proiettavano al di là delle campagne di Soria.
Per alcuni anni non ne ebbi notizia. Di tanto in tanto ricevevo una lettera, e questo era tutto, perché lui non è mai più tornato fra i boschi e sulle strade della nostra infanzia. Quando terminai gli studi, mi trasferii a Saragozza. E scoprii che aveva ragione: Soria era una città piccola e il suo unico poeta famoso aveva detto che solo camminando si può percorrere un sentiero. Entrai all’università e mi fidanzai. Cominciai a studiare per un concorso che forse non avrebbe mai proclamato un vincitore. Lavorai come commessa, mi pagai gli studi, fui bocciata al concorso, lasciai il mio fidanzato.
Le sue lettere, allora, cominciarono ad arrivare più frequentemente e, vedendo i francobolli di paesi diversi, io provavo un po’ d’invidia. Lui era l’amico più vecchio che sapeva tutto, che girava il mondo, che si lasciava crescere le ali, mentre io cercavo di mettere radici.
Inaspettatamente le sue lettere cominciarono a parlare di Dio: provenivano sempre dallo stesso paese, la Francia. In una di esse, mi disse che desiderava entrare in seminario e dedicare la sua vita alla preghiera. Gli risposi chiedendogli di aspettare, di vivere ancora la sua libertà, prima di impegnarsi in qualcosa di tanto serio.
Quando rilessi la mia lettera, decisi di stracciarla: chi ero per parlare di libertà e di impegno? Queste cose le conosceva lui, non certo io.
Un giorno seppi che stava tenendo un ciclo di conferenze. Ne fui sorpresa perché mi sembrava troppo giovane per insegnare qualcosa agli altri. Ma, due settimane fa, mi ha mandato un biglietto per dirmi che avrebbe parlato per un gruppo ristretto di persone a Madrid. E ci teneva che fossi presente.
Ho viaggiato per quattro ore, da Saragozza a Madrid, perché volevo rivederlo. Volevo ascoltarlo. Volevo sedermi con lui in un bar, ricordare i tempi in cui giocavamo insieme e credevamo che il mondo fosse troppo grande per essere attraversato.