La gentilezza dell’acero è una raccolta di poesie di Alessandro Quattrone, pubblicata da Passigli, nel 2018.
Il suo canto entra piano piano, con gentilezza, nel nostro quotidiano e riesce a coprire il rumore di una società in corsa, con un tono pacato ci accompagna attraverso le contraddizioni, le fragilità, i nostri limiti e le gioie, anche quelle effimere ed illusorie. Piacevolmente colpita dalla lettura di queste poesie condivido con voi qualche briciola:
Prima che arrivi il treno
si prova a dire qualcosa di profondo,
qualcosa di necessario e puro,
guardando intanto i ciottoli gelati
tra i binari arresi al destino.
C’è chi sorride di antica sapienza
e chi parla con l’intento di essere
infine un uomo che non chiede nulla
e non aspetta altro che lo spostamento
d’aria del treno che verrà.
***
Si va di fretta, si è in ritardo, si arriva
affannati al luogo dove già da qualche minuto
dovrebbe essere iniziato il discorso
atteso da così tanto tempo,
ma c’è una strana desolazione
all’ingresso, e pigramente il custode
chiarisce che purtroppo non è oggi
il giorno dell’incontro,
non è oggi che saremo lieti,
ci siamo sbagliati, era ieri,
era ieri che avremmo dovuto esserlo.
***
Il continuo vagare nel traffico
per le vie della grande città
di sabato pomeriggio, quando è tutto
una frenesia di acquisti e distrazioni,
la ricerca ossessiva di un parcheggio
libero, che ci liberi dal tempo
e dall’angoscia di non avere un posto
riservato nell’universo,
l’oltraggiosa indifferenza delle strade
al nostro bisogno di sosta,
fanno di un appuntamento una vendetta
che nessun nemico ha mai meditato.
***
Se volgi altrove lo sguardo,
le cose si lasciano andare
alla loro esistenza malata,
ma se torni a guardarle, se ammiri
comunque il loro languore,
allora si riprendono, respirano,
allora ti benedicono e ti acclamano –
te, signore del poco e del nulla.
***
La mano percorre troppo in fretta
la distanza fra il silenzio e il gesto,
e quindi se ne pente.
Si ferma ad espiare la sua colpa
restando come un ragno riflessivo
su un tavolo in penombra.
Anche il cielo aspira a farsi terra,
collina brulicante di colori,
non sopporta più la distanza
dalle mani, dai passi degli uomini,
vorrebbe tanto avere linee
e lasciare agli occhi
la nostalgia della trasparenza.
“… Tutta l’opera di questo poeta appartato e schivo, che si muove per segni minimi di realtà e di visione, è come raccolta in un’incertezza prolungata, quasi sospesa (…) fra ‘vertigine ed equilibrio’, immersione estatica nei suoni del mondo e improvviso ritrarsene come per una sorta di pudore. A volte, pare di sentire la lezione della poesia sbarbariana, dominata anch’essa -com’è noto – dal motivo degli occhi e dello sguardo, dalla perlustrazione ossessiva e desolata di un mondo-deserto (e ‘deserto’ è termine che ricorre ben tre volte nella nuova raccolta di Quattrone, e in contesti sempre significativi) che si fa metafora della condizione umana, e che genera una sorta di sottile spaesamento, un senso di dolorosa aridità ed estraneità alla vita. Ma il confronto deve fermarsi qui, perché nella poesia di Quattrone non predomina il disincanto, o quel sentimento di desolata perdizione che percorre tutta la poesia di Sbarbaro. Al contrario, il poeta sente che nella vita naturale, nel ciclico trascorrere delle stagioni, è come una forma biologica e celata di sapienza che s’impone al nostro animo con la forza limpida dell’evidenza…”.
(Dalla prefazione di Giancarlo Pontiggia)
Alessandro Quattrone, nato a Reggio Calabria, nel 1958, è un poeta, traduttore, scrittore e professore di italiano e latino.
Ha esordito nel 1984 con la raccolta Interrogare la pioggia, finalista al Premio Viareggio 1984 nella sezione “Opera prima”, con il successivo Passeggiate e inseguimenti ha vinto il Premio Internazionale Eugenio Montale nel 1994. Dopo quasi venti anni dal precedente Rifugi Provvisori, ha pubblicato una nuova raccolta di poesie, dal titolo Prove di Lontananza, terzo classificato nel Premio Internazionale “Mario Luzi” del 2014. Ha trovato una piena maturità espressiva con L’ombra di chi passa (2015).