Siddhartha è un breve romanzo dello scrittore tedesco Hermann Hesse, pubblicato nel 1922, considerato dallo stesso autore come un “poema indiano”. Siddharta, protagonista di quest’opera, non è il Buddha storico, Siddhartha Gautama, il quale compare nel libro come personaggio secondario sotto il nome di Gotama, ma un personaggio di fantasia che rappresenta uno dei tanti Buddha potenziali.
“Tutto sapevano i brahmani e i loro libri sacri, tutto, e perfino qualche cosa di più; di tutto s’erano occupati, della creazione del mondo, della natura del linguaggio, dei cibi, dell’inspirare e dell’espirare, della gerarchia dei cinque sensi, dei fatti degli dèi… cose infinite sapevano… Ma valeva la pena saper tutto questo, se non si sapeva l’Uno ed Unico, la cosa più importante di tutte, la sola cosa importante?”
Trama di “Siddhartha”
Il romanzo narra dell’avventura spirituale del giovane Siddharta. Chi è Siddhartha? E’ figlio di un bramino in cerca di qualcosa che soddisfi la sua voglia di sapere. Così lascia la casa del padre e intraprendere un viaggio insieme a Govinda, suo amico di vita, per raggiungere i Samana, asceti che fanno della meditazione e delle privazioni il loro stile di vita. Dopo anni con i Samana, Siddhartha non è soddisfato, non crede che le dottrine possano dare la verità assoluta che unisce il tutto, così lui e Govinda decidono di andare a trovare il Buddha Gotama. Qui anche dopo una confronto con il Buddha, Siddhartha, non riesce a trovare le risposte che cerca e decide di continuare il suo viaggio da solo alla ricerca della saggezza e dell’illuminazione, mentre Govinda decide di aggregarsi alla setta del Buddha.
“Che cosa sai fare, dunque?». «Io so pensare. So aspettare. So digiunare».”
Siddhartha passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta.
Questo libro fa parte di quei testi che è doveroso leggere, anche se gli effetti della sua lettura dipendono dal periodo della vita in cui si affronta questa lettura.
Un’ opera originale, profonda e gradevole, anche se a tratti è poco fluibile e si ha bisogno di uno sforzo di concentrazione, soprattutto nella parte iniziale, ma ne vale la pena. Non è una lettura adatta a tutti, è molto meditativo.
E’ uno di quei libri che sicuramente rileggerò, infatti l’ho collocato nella mia speciale piccola libreria che ho in camera da letto, dalla quale ogni tanto la sera prendo qualche libro e ne rileggo dei passi.
“Il padre posò la mano sulla spalla di Siddhartha.
«Andrai nella foresta,» disse «e diverrai un samana. Se nella foresta troverai la beatitudine, ritorna, e insegnami la beatitudine. Se troverai la delusione, ritorna: riprenderemo insieme a sacrificare agli dèi. Ora va’ a baciar tua madre, dille dove vai. Ma per me è tempo di andare al fiume e di compiere la prima abluzione».”
Dedico questo libro a tutti quelli pieni di domande. A chi è in cerca di qualcosa. A quelli che si sono arresi e hanno smesso di cercare risposte ed a quelli che hanno trovato il loro “qualcosa”.
Incipit di “Siddhartha”
IL FIGLIO DEL BRAHMANO
Nell’ombra della casa, sulle rive soleggiate del fiume presso le barche, nell’ombra del bosco di sal, all’ombra del fico crebbe Siddhartha, il bel figlio del brahmano, il giovane falco, insieme all’amico suo, Govinda, anch’egli figlio di brahmano. Sulla riva del fiume, nei bagni, nelle sacre abluzioni, nei sacrifici votivi il sole bruniva le sue spalle lucenti. Ombre attraversavano i suoi occhi neri nel boschetto di mango, durante i giochi infantili, al canto di sua madre, durante i santi sacrifici, alle lezioni di suo padre, così dotto, durante le conversazioni dei saggi. Già da tempo Siddhartha prendeva parte alle conversazioni dei saggi, si esercitava con Govinda nell’arte oratoria, nonché nell’esercizio delle facoltà di osservazione e nella pratica della concentrazione interiore. Già egli sapeva come si pronuncia impercettibilmente l’Om, la parola suprema, sapeva assorbirla in se stesso pronunciandola silenziosamente nell’atto di inspirare, sapeva emetterla silenziosamente nell’atto di espirare, con l’anima raccolta, la fronte raggiante dello splendore che emana da uno spirito luminoso. Già egli sapeva, nelle profondità del proprio essere, riconoscere l’Atman, indistruttibile, uno con la totalità del mondo.
Il cuore del padre balzava di gioia per quel figlio così studioso, così avido di sapere; era un grande sapiente, un sommo sacerdote quello che egli vedeva svilupparsi in lui: un principe fra i brahmani.
La gioia gonfiava il petto di sua madre quand’ella lo guardava, quando lo vedeva camminare, quando lo vedeva sedere e alzarsi: Siddhartha, così forte, così bello, che procedeva col suo passo snello, che la salutava con garbo così compito.
L’amore si agitava nel cuore delle giovani figlie dei brahmani, quando Siddhartha passava per le strade della città, con la sua fronte luminosa, con i suoi occhi regali, così slanciato e nobile nella persona.
Ma più di tutti lo amava l’amico suo Govinda, il figlio del brahmano. Amava gli occhi di Siddhartha e la sua cara voce, amava il suo passo e il garbo perfetto dei movimenti, amava tutto ciò che Siddhartha diceva e faceva, ma soprattutto ne amava lo spirito, i suoi alti, generosi pensieri, la sua volontà ardente, la vocazione sublime. Sapeva bene Govinda: questo non diventerà un brahmano come tanti, un pigro ministro di sacrifici, o un avido mercante d’incantesimi, un vano e vacuo retore, un sacerdote astuto e cattivo, e non sarà nemmeno una buona, sciocca pecora nel gregge dei molti. No, e anch’egli, Govinda, non voleva diventare tale, un brahmano come ce ne son migliaia. Voleva seguire Siddhartha, il prediletto, il magnifico. E se un giorno Siddhartha fosse diventato un dio, se fosse asceso un giorno nella gloria dei celesti, allora Govinda l’avrebbe seguito, come suo amico, suo compagno, suo servo, suo scudiero, sua ombra.
Così tutti amavano Siddhartha. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere.
Ma lui, Siddhartha, a se stesso non procurava piacere, non era di gioia a se stesso.
Citazioni del libro Siddhartha:
Tu apprendi agevolmente, o Siddhartha; ebbene, impara anche questo: l’amore si può mendicare, comprare, riceverlo in dono, si può trovarlo per caso sulla strada, ma non si può estorcere.
Una volta gli chiese: «Hai appreso anche tu dal fiume quel segreto: che il tempo non esiste?».
Un chiaro sorriso si diffuse sul volto di Vasudeva.
«Sì, Siddhartha» rispose. «Ma è questo ciò che tu vuoi dire: che il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato, neanche l’ombra dell’avvenire?»
Il sorriso del barcaiolo si fece luminoso; egli toccò con dolcezza il braccio di Siddhartha, e disse: «Ma su questo interroga il fiume, amico! Ascolta come ne ride! Dunque, tu credi proprio d’aver commesso le tue follie per risparmiarle a tuo figlio? E puoi forse proteggere tuo figlio dal samsara? In che modo? Con la dottrina, con la preghiera, con le esortazioni? Caro mio, hai dunque interamente dimenticato quella storia, quella istruttiva storia di Siddhartha, il figlio del brahmano, che un giorno tu mi raccontasti proprio qui, in questo stesso posto? Chi ha protetto il samana Siddhartha dal samsara, dal peccato, dall’avidità, dalla stoltezza? Forse l’hanno potuto proteggere la compunzione di suo padre, le esortazioni dei suoi maestri, la sua stessa dottrina, la sua stessa ansia di ricerca? Quale padre, quale maestro ha potuto evitargli di vivere egli stesso la sua vita, di lordarsi egli stesso con la vita, di caricarsi egli stesso la sua parte di colpe, di bere egli stesso l’amaro calice, di trovare egli stesso la sua via? Credi dunque, amico, che questa via qualcuno se la possa risparmiare? Forse il tuo figlioletto, perché tu gli vuoi bene, perché tu vorresti risparmiargli sofferenze, dolore, delusione? Ma anche se tu morissi per lui dieci volte, non potresti sollevarlo della più piccola particella del suo destino».
Vasudeva non aveva ancor mai pronunciato tante parole in una volta sola.
«Questa» disse giocherellando «è una pietra, e forse, entro un determinato tempo, sarà terra, e di terra diventerà pianta, o bestia, o uomo. Bene, un tempo io avrei detto: “Questa pietra è soltanto una pietra, non vale niente, appartiene al mondo di Maya: ma poiché forse nel ciclo delle rinascite può anche diventare uomo e spirito, per questo io attribuisco anche a lei un pregio”. Così avrei pensato un tempo. Ma oggi invece penso: questa pietra è pietra, ed è anche animale, è anche dio, è anche Buddha, io l’amo e la onoro non perché un giorno o l’altro potrebbe diventare questo o quello, ma perché essa è, ed è sempre stata, tutto; e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia come pietra, proprio questo fa sì che io l’ami, e veda un senso e un valore in ognuna delle sue venature e cavità, nel giallo, nel grigio, nella durezza, nel suono che emette quando la colpisco, nell’aridità o nell’umidità della sua superficie.
La tua pietra, il tuo albero, il tuo fiume… sono davvero realtà?».
«Anche questo» disse Siddhartha «non mi preoccupa molto. Siano o non siano le cose apparenza, sono apparenza anch’io, e quindi esse sono sempre miei simili. Questo è ciò che me le rende così care e rispettabili: sono miei simili. Per questo posso amarle. Ed eccoti ora una dottrina della quale riderai: l’amore, o Govinda, mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere il compito dei grandi filosofi. Ma a me importa solo di poter amare il mondo, di non disprezzarlo, di non odiare il mondo e me; a me importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri con amore, ammirazione e rispetto».
Se vuoi ACQUISTA il libro