Ci vediamo un giorno di questi è il nuovo romanzo di Federica Bosco, pubblicato nel 2017. Un storia che racconta l’amore ma anche il dolore, racconta le mille sfaccettature dell’animo umano. Racconta l’amicizia più forte e più variegata, l’amicizia più fragile ma anche più duratura: quella tra donne.
“Scrivere questo romanzo mi è stato necessario per fare pace con un dolore che ancora non ha trovato la sua collocazione, e che mai la troverà, ma mi ha almeno dato la possibilità di scrivere la fine che avrei desiderato.”
A volte per far nascere un’amicizia senza fine basta un biscotto condiviso nel cortile della scuola. Così è stato per Ludovica e Caterina, che da quel giorno sono diventate come sorelle. Sorelle che non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra. Caterina è un vulcano di energia, non conosce cosa sia la paura. Per Ludovica la paura è una parola tatuata a fuoco nella sua vita e sul suo cuore. Nessuno spazio per il rischio, solo scelte sempre uguali. Anno dopo anno, mentre Caterina trascina Ludovica alle feste, lei cerca di introdurre un po’ di responsabilità nei giorni dell’amica dominati dal caos. Un’equazione perfetta. Un’unione senza ombre dall’infanzia alla maturità, attraverso l’adolescenza, fino a giungere a quel punto della vita in cui Ludovica si rende conto che la sua vita è impacchettata e precisa come un trolley della Ryanair, per evitare sorprese al check-in, un muro costruito meticolosamente che la protegge dagli urti della vita: lavoro in banca, fidanzato storico, niente figli, nel tentativo di arginare le onde. Eppure non esiste un muro così alto da proteggerci dalle curve del destino. Dalla vita che a volte fortifica, distrugge, cambia. E, inaspettatamente, travolge. Dopo un’esistenza passata da Ludovica a vivere della luce emanata dalla vitalità di Caterina, ora è quest’ultima che ha bisogno di lei. Ora è Caterina a chiederle il regalo più grande. Quello di slacciare le funi che saldano la barca al porto e lasciarsi andare al mare aperto, dove tutto è pericoloso, inatteso, imprevisto. Ma inevitabilmente sorprendente.
“Il cervello si adatta sempre, ricalcola il percorso per salvarsi la vita.
Mi muovevo sui binari che mi aveva indicato lui, e non cercavo una via d’uscita.
Diceva di amarmi e io sorridevo.”
Le recensioni sono molto positive, parlano di una bella storia, scritta bene che scivola velocemente, vivace e commovente, anche se la trama sembra scontata.
“Non lasciate passare un giorno nel rancore.
Oggi potrebbe davvero essere l’ultimo giorno che passiamo qui, fate in modo di essere in pace con tutti.
Fate in modo di aver salutato tutti.
Perché rimanere per il resto dei propri giorni a chiedersi «perché non mi hai detto niente» è una condanna troppo dura da sopportare.”
1.
È difficile pensare che al mondo ci fossero due persone più diverse di me e Cate.
Nemmeno a farlo apposta, non c’era quasi niente che ci accomunasse: lei aveva assoluta fiducia nel prossimo, io diffidavo anche della mia stessa ombra; lei brillava come un faro, io al massimo come una lucciola; lei era l’anima della festa, io la tappezzeria beige.
Eppure da quel giorno nel cortile della scuola, sedute sul muretto a guardare sconsolate le nostre merende, eravamo diventate inseparabili.
«Cosa c’è nel tuo panino?» mi aveva chiesto.
«Prosciutto…» avevo risposto afflitta, «come sempre.»
«Faresti a cambio con i miei biscotti al miglio senza zucchero?» mi aveva chiesto con la faccia scoraggiata. «Sai, li fa mia mamma.»
Le passai il mio panino e lei mi consegnò il suo sacchettino di carta con aria colpevole.
«Ti avverto… fanno davvero schifo!»
«Non ti preoccupare, tanto non ho fame», la rincuorai.
I suoi grandi occhi scuri si illuminarono mentre addentava il panino, felice.
«Però se mia mamma te lo chiede io non ho mai mangiato il prosciutto, okay?» mi pregò con la bocca piena. «Lei è macrobiotica e se sa che ho mangiato un animale mi fa fare la lavanda gastrica!»
Feci sì con la testa ignorando totalmente cosa fosse la macrobiotica, ma sentendomi intimamente orgogliosa di condividere un segreto con qualcuno.
Poi aprii il sacchetto, infilai dentro la mano, tirai fuori un biscotto e lo misi in bocca.
Subito una pasta gommosa e insipida mi si appiccicò ai denti.
«Fanno schifo davvero!» biascicai.
Scoppiammo a ridere sputacchiando.
Quello fu il momento esatto in cui diventammo amiche.
Non ne avevo molte a scuola.
A dire la verità non ne avevo nessuna.
Forse perché avevo i capelli rossi ed ero bianca come un fantasma, o solo perché non ero particolarmente interessante. In ogni caso, qualunque fosse la ragione, non facevo parte di nessun gruppo e nessuno mi invitava mai a una festa di compleanno o mi sceglieva per la formazione delle squadre di pallavolo, e rimanevo sempre l’ultima a essere chiamata, con un sospiro rassegnato, dal capitano di turno.
Cate era stata la prima a rivolgermi la parola spontaneamente e senza aggiungere un brusco «spostati!» o «fammi copiare!», che erano le frasi che sentivo più spesso da quando avevo varcato la soglia delle medie. E, per me, l’essere improvvisamente visibile agli occhi di qualcuno fu un’emozione assolutamente nuova.
Il 18 aprile 1987 cessai di essere un fantasma.