Certe fortune. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò, un romanzo giallo di Andrea Vitali, pubblicato nel 2019. Torna il maresciallo Ernesto Maccadò, personaggio che partecipa a molti romanzi precedenti, come nel Galeotto fu il collier, Quattro sberle benedette, Le belle Cece e A cantare fu il cane, per essere consacrato in Nome d’arte Doris Brilli.
Già alle prese con gli strani svenimenti della moglie Maristella, che fatica ad ambientarsi, il maresciallo deve anche destreggiarsi tra la monta taurina, la prossima inaugurazione del nuovo tiro a segno e un turista tedesco chiuso a chiave nel cesso del battello: quanto basta per impegnare a fondo la pazienza e la tenuta di nervi perfino di un santo.
“La bestia era… era…
Né il Piattola né la moglie riuscirono a trovare le parole giuste per descrivere la sorpresa.
Mai vista una bestia così insomma, così grossa e che emanava un senso di potenza pronta a esplodere.
«D’altronde si chiama Benito», riassunse il bergamasco con l’intento di spiegare tutto.
Milleduecento chili di peso, centosettanta centimetri al garrese.
Ma fosse stato solo quello!”
Trama del libro Certe fortune
Alle prime ore del 5 luglio 1928, come concordato, Gustavo Morcamazza, sensale di bestiame, si presenta a casa Piattola. Il Mario e la Marinata, marito e moglie, non avrebbero scommesso un centesimo sulla sua puntualità. Invece il Morcamazza è arrivato in quel di Ombriaco, frazione di Bellano, preciso come una disgrazia, portando sull’autocarro il toro promesso e due maiali, che non c’entrano niente ma già che era di strada…
Il toro serve alla Marinata, che da qualche anno ha messo in piedi un bel giro intorno alla monta taurina: lei noleggia il toro e poi lucra sulla monta delle vacche dei vicini e sulle precedenze, perché, si sa, le prime della lista sfruttano il meglio del seme. Ma con un toro così non ci sarebbero problemi di sorta. Se non lo si ferma a bastonate è capace di ingravidare anche i muri della stalla.
Almeno così lo spaccia il Morcamazza, che ha gioco facile, perché la bestia è imponente. Ma attenzione: se un animale del genere dovesse scappare, ce ne sarebbe per terrorizzare l’intero paese, chiamare i carabinieri, o solleticare il protagonismo del capo locale del Partito, tale Tartina, che certe occasioni per dimostrare di saper governare l’ordine pubblico meglio della benemerita le fiuta come un cane da tartufo. E infatti…
Incipit del libro Certe fortune
1.
L’autocarro FIAT 505, modificato per il trasporto di bestiame, giunse nella frazione bellanese di Ombriaco alle prime ore della mattina del 4 luglio 1928.
Lo guidava Gustavo Morcamazza, bergamasco di Ponteranica, mediatore di bestiame e proprietario dell’allevamento A l’inseupà – Tori da monta. Il carico consisteva in un toro e due maiali.
Sceso dal furgone si guardò in giro, cielo limpido, aria ancora fresca.
Fischiettando, e zoppicando un po’, si avviò alla volta della casa di Mario Piattola e moglie Marinata.
I due, seduti al tavolo di cucina, silenziosi, aspettavano. Il Morcamazza aveva garantito il giorno della consegna ma sull’orario era stato vago, temevano ritardi.
Quando ne udirono il fischiettare quasi si stupirono.
Possibile che fosse arrivato così presto?
Il bergamasco invece era già lì, in casa loro, in piedi e a capo del tavolo.
Sorrideva.
Un sorriso che gli appiattiva due ernie adipose che aveva su entrambe le guance e che si gonfiavano quando beveva, dando l’impressione che lì stoccasse il vino o altro liquido.
Dopo un istante di silenzio durante il quale sembrò che nessuno si decidesse a parlare lo fece lui.
«Una bestia così non l’avete mai vista», disse a mo’ di saluto, e pencolando il capo per sottolineare la sua uscita.
Intendeva il toro.
«Cosa mai sarà?» osservò Marinata Piattola, nel contempo menando una manata a una mosca che s’era impantanata in una macchia di unto della cerata.
Il Morcamazza respinse la presunta perplessità della donna con una scrollata di spalle, inutile sprecare fiato.
«Venite un po’ a dare un’occhiata», disse.
L’autocarro era parcheggiato poco più avanti, in uno slargo della strada. Scostò lui il tendone quel tanto per permettere ai due di sbirciare.
«Eh?» chiese poi il Morcamazza.
«Ma è senza corna», osservò la Marinata.
«Sì, è nato così, può capitare», rispose il bergamasco. «Per il resto però guardate un po’ che bestia che vi ho portato quest’anno. D’altronde con le corna cosa ci fate?»
I due risposero che era vero, per ben altro attributo un toro si faceva apprezzare. Poi dopo un’ulteriore occhiata rivolsero al Morcamazza uno sguardo ammirato.
La bestia era… era…
Né il Piattola né la moglie riuscirono a trovare le parole giuste per descrivere la sorpresa.
Mai vista una bestia così insomma, così grossa e che emanava un senso di potenza pronta a esplodere.
«D’altronde si chiama Benito», riassunse il bergamasco con l’intento di spiegare tutto.
Milleduecento chili di peso, centosettanta centimetri al garrese.
Ma fosse stato solo quello!
Bisognava bastonarglielo per farlo smettere, ridacchiò il Morcamazza, perché quando era in briscola, fosse dipeso da lui avrebbe fecondato qualunque cosa, vedove o i muri della stalla. Quando vedeva la vacca poi, in meno di un minuto era bello e pronto e vai col valzer…
«Figuratevi…» proseguì il bergamasco.
I due Piattola dovevano figurarsi che era talmente focoso che, anche quando era da solo, si dava da fare. Insomma, se si spiegava, si arrangiava da sé. L’ultima monta, una settimana prima, dalle parti di Selvino, l’aveva visto farsene trenta, poi basta.
Ma solo perché non ce n’erano più.
«Sarebbe capace di andare avanti anche da morto», scherzò ancora il bergamasco.
Però sarebbe stato meglio cominciare a sistemare il toro nella stalla così poi avrebbero avuto tutto il tempo di chiacchierare.
Aveva ancora due o tre cosine da dire e che riguardavano proprio il Benito.
«Ma i due maiali», chiese la Marinata, «cosa c’entrano?»