Documenti, prego è un breve romanzo di Andrea Vitali, pubblicato il 14 maggio 2019, che tratteggia con maestria personaggi formidabili, comici e drammatici. Conservando, anche nei momenti piú oscuri, il suo sguardo accogliente nei confronti dell’estrema vulnerabilità della specie umana. L’esistenza di un uomo qualunque trasformata in un incubo indecifrabile. Una realtà, o un delirio.
“Il baffetto lasciò trascorrere qualche secondo. Si passò una mano sul mento, chiuse e riaprí gli occhi.
Io ammisi che non era un comportamento corretto parcheggiare in quello spazio, ma vista l’ora, vista l’enorme disponibilità di posti, non ci avevamo fatto caso e comunque, conclusi, ce ne saremmo andati subito.
Il baffetto accennò di aver capito, sembrò accettare la mia spiegazione.
– Documenti, prego, – disse invece.”
È notte. Su un’autostrada del Nord Italia industriale corre una macchina con a bordo tre funzionari di una ditta commerciale. Tornano a casa da un viaggio di lavoro, sono stanchi, nulla di strano che decidano di fermarsi in un autogrill per bere un caffè e comprare le sigarette; una breve sosta prima dell’ultimo sforzo. Ma in quella stazione di servizio, sotto gli occhi indifferenti dei camionisti assonnati e delle ragazze del bar, il destino aspetta uno di loro. Una leggerezza e una banale dimenticanza lo faranno precipitare nelle maglie di un meccanismo giudiziario impeccabile nella forma, efficiente nei metodi, implacabile nelle conseguenze.
“Ripensai al sogno che mi aveva rovinato la notte. Avevo dimenticato qualcosa. Cercai di concentrarmi. Non ci fu niente da fare, ma alla fine mi dissi che non me ne fregava niente. I sogni sono cosí, svaniscono all’alba anche se dell’alba vera e propria non c’era ancora traccia.”
Uno
Lavoravo per una ditta che vendeva all’ingrosso ogni genere di consumo, ero appassionato di rock e vestivo quasi sempre di scuro. Da un paio di anni ero diventato responsabile del settore alimentare, una posizione in virtú della quale mi toccava sovente andare in giro. Era necessario per trovare nuovi clienti e concludere contratti vantaggiosi per la società e per me; in caso di successo mi spettava una percentuale. Non lo dico per vantarmi, ma me la cavavo abbastanza bene.
Ero entrato in azienda come semplice agente dopo una specie di concorso. Per prima cosa avevo compilato un questionario: che scuole avevo fatto, le mie ambizioni, gli sport che praticavo; avevo anche dovuto dichiarare le vaccinazioni. Poi avevo parlato con un tale, uno psicologo, forse. Ricordo che mi domandò quali fossero i miei autori preferiti. Quelli che non mi fanno perdere tempo per comprendere ciò che vogliono dire, risposi, quelli che non si sbrodolano addosso. L’incontro non durò piú di dieci minuti, venni assunto. La mia carriera cominciò cosí.
Un gradino dopo l’altro ero avanzato.
Riuscivo convincente e non tiravo mai fregature.La mia casa aveva un pezzetto di giardino davanti, il garage su un lato. Ci abitavo con mia moglie e mio figlio. Una villetta fra le tante sorte, l’una accanto all’altra, su un terreno che una volta era periferia: una città satellite ormai, con sale cinematografiche, teatro, supermercati, campi di calcetto e tennis. Eravamo stati tra i primi a comprare in quella zona. Allora lí sopra il cielo era ancora azzurro. Poi, giorno dopo giorno, acquisí un colore grigio e non lo perse piú.
Quando ci stabilimmo nel quartiere si potevano vedere le stelle e le luci intermittenti degli aerei che passavano; a un certo punto cominciammo a sentirne solo il rumore.
Mio figlio mi chiedeva dove fossero diretti, e io immaginavo le destinazioni. C’erano nomi di località esotiche che lo facevano ridere. Adesso non ricordo, ma forse qualcuno lo inventavo.Stavo tornando a casa.