La più grande bufala di tutti i tempi accadde il 30 ottobre, alla vigilia di Halloween, nel 1938. Quella sera la CBS decise di mandare in onda alla radio “La guerra dei mondi“, romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, adattato e interpretato da Orson Welles per la trasmissione Mercury Theatre on the Air, programma settimanale in cui venivano proposte letture di romanzi celebri. La storia narrata in forma di cronaca e interpretata in modo realistico gettò nel terrore una gran parte del popolo statunitense che credette realmente che stesse avvenendo un’invasione di extraterrestri.
“Signore e signori, è la cosa più terribile alla quale abbia mai assistito… Aspettate un momento! Qualcuno sta cercando di affacciarsi alla sommità… Qualcuno… o qualcosa. Nell’oscurità vedo scintillare due dischi luminosi… sono occhi? Potrebbe essere un volto. Potrebbe essere (…)
Signore e signori, devo riferirvi qualcosa di molto grave. Sembra incredibile, ma le osservazioni scientifiche e l’evidenza stessa dei fatti inducono a credere che gli strani esseri atterrati stanotte nella fattoria del New Jersey non siano che l’avanguardia di un’armata di invasione proveniente da Marte. La battaglia che ha avuto luogo stanotte a Grovers Mill si è conclusa con una delle più strabilianti disfatte subite da un esercito nei tempi moderni (…) “
Sembra che oggi viviamo nell’era della post-verità, l’espressione fa riferimento a quei contesti in cui fatti oggettivi e verificabili hanno meno importanza rispetto all’interpretazione emotiva e personale riuscendo anche a influenzare l’opinione pubblica. Credo che questo fenomeno non sia frutto esclusivo dei nostri tempi, ci sono molti casi nella storia che ne danno conferma, però è indiscutibile che la sua diffusione determinata dal progresso tecnicologico, dalla globalizzazione ha rivelato, negli ultimi anni, tutta la sua nocività. Con internet si accede con più facilità a fonti sbagliate e si sta assistendo al proliferare di fake news su qualsiasi argomento: dalla politica alla cucina, dalla scienza al fai da te.
E’ anche l’era del giornalismo partecipativo, ma che velocemente si sta trasformando in giornalismo personale, molto più soddisfacente per l’ego narcisista, che una volta si accontentava delle chiacchiere da bar che fortunatamente al massimo potevano influenzare il quartiere. Mentre oggi la rete fa da megafono a informazioni non verificate, imprecise o spesso inventate di sana pianta.
Quello che noto e che trovo di una gravità assoluta è l’adeguarsi del giornalismo professionale a questa situazione invece di combatterla. Infatti sempre più spesso giornali e Tg raccontano fatti appresi dai social senza controllare la veridicità e solo in rari casi ammettono l’errore.
Da che mondo è mondo la speranza di guadagno supera la professionalità e anche il giornalismo non è da meno diventando complice del fenomeno degli “articoli acchiappaclick” o “Click Bait”, sono articoli spesso inutili e inconcludenti con titoli accattivanti e sensazionalistici che fanno leva sull’aspetto emozionale e portano l’utente ad aprire il link o peggio a condividere da chi solitamente legge solo il titolo. Un comportamento che posso aspettarmi da un blog/sito qualunque, ma trovo inaccettabile da chi fa giornalismo professionale.
Un altro fenomeno in grande aumento sono i blog/siti travestiti da testate giornalistiche, i blog non hanno l’obbligo di fornire le fonti, poiché nascono come diari personali, come un luogo virtuale dove condividere le proprie opinioni, le proprie passioni, infatti il contenuto testuale è chiamato “post” e non “articolo”.
Esiste ancora il buon vecchio giornalismo, che sia cartaceo o digitale, ed è quello che esplicitamente ti informa se un articolo è una news o un’opinione, o un’analisi, ed è quello che verifica i fatti e indica le fonti, e quando questo non è possibile viene specificato nell’articolo.
Noi cosa possiamo fare per contrastare questi fenomeni nocivi? Possiamo scegliere. Sembra stupido dover rammentare all’utente che fluisce nella rete di leggere l’intero articolo/post e non solo il titolo, di controllare la veridicità della notizia prima di condividerla e sembra ancora più assurdo dover precisare che commentare una notizia, diffonderla tra gli amici, attirando tanti followers, non fa di noi dei giornalisti.
Anche questo post su questo blog non è un articolo giornalistico, ma la condivisione di un mio pensiero, che resta tutto da verificare.