La morte è il mio mestiere è un romanzo thriller di Michael Connelly, pubblicato da Piemme nel mese di ottobre 2020. E’ la terza avventura con protagonista il giornalista Jack McEvoy, che ritorna dopo quasi dieci anni dal famoso “Il Poeta” e dal successivo “L’uomo di paglia”. La vita tranquilla di Jack McEvoy viene stravolta quando una donna, con cui ha avuto un’avventura, viene uccisa, e Jack si trova improvvisamente al centro delle indagini della polizia .
“Per molto tempo, in passato, avevo detto che la morte era il mio mestiere. Adesso sapevo che lo era ancora.”
Per Jack McEvoy la cronaca nera è stato il mestiere di una vita. Ha raccontato le storie più cupe, inseguito i killer più sfuggenti, fino a ritrovarsi lui stesso faccia a faccia con la morte. Il fiuto da reporter ce l’ha nel sangue, anche se ormai va a caccia di storie di ben altro genere. Ma la morte, a quanto pare, non ha chiuso i conti con lui.
Quando una donna con cui McEvoy ha trascorso una notte sola, dopo averla conosciuta in un bar un anno prima, viene ritrovata senza vita, il giornalista finisce suo malgrado tra i principali sospettati di quel crimine particolarmente brutale. A quel punto, tornare a indagare – a dispetto dei moniti della polizia e del suo editore – è per lui non soltanto un istinto, ma una necessità. Ben presto, arriva a una scoperta agghiacciante che collega quell’omicidio ad altre morti misteriose in tutto il Paese: uno stalker dà la caccia alle donne, selezionandole sulla base dei loro dati genetici. McEvoy capisce di trovarsi di fronte a una mente criminale diversa da qualunque altra mai incontrata: qualcuno che conosce le sue vittime meglio di quanto loro conoscano se stesse.
Attraverso una ricerca nei meandri più oscuri del web e con l’aiuto di una vecchia conoscenza – l’ex agente dell’FBI Rachel Walling -, McEvoy intraprende una folle corsa contro il tempo. Perché il killer ha già scelto il suo prossimo obiettivo ed è pronto a colpire ancora.
“Il giornalismo, in genere, consiste solo nel raccontare situazioni ed eventi di interesse pubblico. È raro che conduca alla caduta di un politico corrotto, al cambiamento di una legge o all’arresto di un violentatore. Quando questo succede, però, la soddisfazione è immensa.”
Le recensioni sono molto positive per questo romanzo di poco più di 350 pagine, soprattutto per i temi trattati, si parla di giornalismo ed etica, di trattamenti di dati personali, di dark web, di DNA. Adoro lo stile di scrittura di Connelly, sono perdutamente innamorata del personaggio di Harry Bosch e credo che inizierò l’anno nuovo con la conoscenza del giornalista Jack McEvoy. Come sempre dobbiamo necessariamente leggere per dare una nostra opinione.
“Per la prima volta da molto tempo avevo una storia che mi agitava il sangue. Ed era bello ritrovare quella sensazione.”
Prologo
La macchina di quell’uomo le piaceva. Era la prima volta che saliva su un’auto elettrica. Mentre attraversavano la notte, sentiva solo il rumore del vento.
«Così silenziosa» disse.
Solo due parole, e le aveva biascicate. Il terzo Cosmopolitan le aveva intorpidito la lingua.
«Ti arriva addosso senza farsi sentire» disse l’uomo al volante. «Questo è certo.»
La guardò e sorrise. Lei pensò che l’occhiata divertita fosse dovuta al fatto che aveva farfugliato.
Poi lui indicò fuori dal parabrezza. «Eccoci. Secondo te dove lo trovo un parcheggio?»
«Puoi metterla dietro la mia auto» rispose lei. «Ho due posti in garage ma sono… uno dietro l’altro. Totem, si dice?»
«Tandem?»
«Ah sì, giusto. Tandem.»
Rise del proprio errore, una risata che non riusciva a fermare. Di nuovo per via del Cosmopolitan. Che era andato a sommarsi alle gocce a base di chissà quali erbe che aveva comprato in farmacia e che aveva preso prima di chiamare un Uber, quella sera.
L’uomo abbassò il finestrino e l’aria frizzante della notte invase il confortevole abitacolo della macchina.
«Riesci a ricordare la combinazione?» le chiese.
Tina raddrizzò la schiena, guardandosi intorno. Vide che erano già davanti alla porta del garage del suo appartamento. Qualcosa non quadrava. Non ricordava di avergli indicato esattamente dove abitava.
«La combinazione?» ripeté lui.
Il tastierino era sul muro, accanto al finestrino del conducente. Lei si rese conto che ricordava la combinazione per aprire il garage, ma non riusciva a rammentare il nome dell’uomo che si era portata a casa.
«4, 6, 8, 2, 5.»
Mentre lui inseriva i numeri, Tina si sforzò di non scoppiare di nuovo a ridere. Ad alcuni uomini non piaceva affatto.
Entrarono in garage e gli indicò il punto in cui parcheggiare, dietro la sua Mini. Poco dopo erano in ascensore, lei premette il bottone giusto e si appoggiò a lui per sostenersi. L’uomo le passò un braccio intorno alle spalle.
«Hai un soprannome?» chiese Tina.
«Cosa vuoi dire?»
«Come ti chiamano gli amici? Così, per scherzare.»
Lui scosse la testa. «Mi chiamano solo con il mio nome» rispose.
Nulla di fatto. Tina lasciò perdere. Poteva scoprire dopo come si chiamava, ma in realtà non pensava che ne avrebbe avuto bisogno. Non ci sarebbe stato un “dopo”. Non c’era quasi mai.
L’ascensore si aprì al terzo piano e uscirono in corridoio. L’appartamento era due porte più in là.
Il sesso fu bello ma non straordinario. L’unica cosa insolita fu che lui non protestò quando lei gli chiese di indossare il preservativo. Ne aveva anche portato uno, complimenti. Ma Tina pensava ancora che sarebbe stata solo una storia di una notte. La ricerca di quella cosa indescrivibile capace di riempire il vuoto dentro di lei sarebbe andata avanti.
Dopo aver gettato il preservativo in bagno, lui tornò a letto. Tina sperava che tirasse fuori una scusa, tipo che doveva alzarsi presto al mattino, che sua moglie lo aspettava a casa, una cosa qualsiasi. Lui invece voleva stare lì con lei e abbracciarla. La fece voltare con la schiena contro il suo petto. Si era fatto la barba e lei sentiva i corti peli pungerle la pelle.
«Sai…»
Non proseguì. L’uomo ruotò nel letto e lei si trovò stesa di schiena sopra di lui. Il suo petto era ruvido come carta vetrata. Piegò un braccio a V, poi con l’altro braccio le spinse il collo dentro quella trappola. Strinse forte e Tina sentì che non passava più l’aria. Non riusciva a urlare per chiamare aiuto. Non aveva abbastanza aria per produrre alcun suono. Lottò, ma aveva le gambe aggrovigliate nelle lenzuola, e lui era troppo forte. Le sembrava di avere il collo in una morsa di ferro.
Ai bordi della sua visione cominciò a scendere un’ombra. Lui sollevò la testa dal letto e le avvicinò la bocca all’orecchio.
«Gli “amici” mi chiamano l’Averla» sussurrò.