Il sogno di Sooley di John Grisham, pubblicato il 4 maggio 2021 da Mondadori. Il primo romanzo dell’autore sul basket, sport da lui molto amato e da cui prende spunto per raccontare la storia commovente e appassionante di una giovane vita e il sogno di diventare un campione, di risollevarsi dalla povertà, dalla violenza, dalla guerra etnica.
«Ho un ragazzo che mi piace un sacco. Samuel Sooleymon, ha solo diciassette anni e cresce a vista d’occhio» attaccò Ecko.
«L’ho visto giovedì contro l’Ucraina. Non ha giocato benissimo» osservò Britt.
«È ancora acerbo, gli serve un anno supplementare di scuola qui, ma finora non ha avuto fortuna.»
Samuel Sooleymon ha diciassette anni e un’unica grande passione: il basket. Vive con la famiglia in un villaggio del Sudan Meridionale, paese dilaniato dalla guerra civile e dalla carestia. Agile, scattante e velocissimo, Samuel è ancora un atleta acerbo e inesperto quando viene notato da un coach che gli offre l’occasione di una vita: partire per gli Stati Uniti con altri ragazzi come lui per partecipare a un importante torneo che potrebbe aprirgli le porte di una carriera sportiva sfolgorante. Samuel non si è mai allontanato da casa, ma il sogno di diventare un campione è la molla che lo spinge a lasciare tutto e iniziare la sua avventura. Ed è proprio quando muove i primi passi nell’ambiente ultracompetitivo dell’agonismo sportivo che lo raggiunge una terribile notizia: la guerra civile non ha risparmiato il suo villaggio e la vita di suo padre, mentre sua madre e i suoi due fratelli sono stati accolti in un campo profughi.
Sooley, come ormai tutti lo chiamano, vorrebbe tornare in Sudan, però non può farlo. È disperato, ma possiede qualcosa che nessun altro atleta ha: la fiera determinazione di farcela, di passare le selezioni, di vincere per poter portare in salvo il prima possibile la sua famiglia in America. Decide di allenarsi senza un attimo di tregua. Ha un anno di tempo per diventare il simbolo del riscatto e l’orgoglio del suo paese. Riuscirà a entrare nella leggenda?
“Corse in cucina e trovò Samuel che sfoggiava una maglietta da allenamento del Sudan del Sud con l’aria di chi è padrone del mondo. «Mi hanno preso, mamma!» esclamò mentre abbracciava la madre e la sollevava da terra. Lei ricambiò l’abbraccio e scoppiò a piangere mentre Angelina sfrecciava in giro per casa in cerca di qualcun altro a cui raccontarlo. Non trovando nessuno, corse per strada a dare l’incredibile notizia e dopo pochi secondi i vicini seppero che il loro sogno si era realizzato: Samuel Sooleymon stava per andare a giocare a basket in America!
Entro un’ora si materializzò un secondo festeggiamento, quando il villaggio intero si radunò davanti a casa di Samuel e lo salutò con grandi applausi mentre lui usciva ad accogliere James e Chol di ritorno da scuola. I vicini portarono arachidi bollite, snack al sesamo, tè alla cannella e mandazi, un popolare dolcetto fritto.
Samuel mostrò con orgoglio la sua nuova arma, un pallone Spalding modello NBA Street Ball, e spiegò che era in gomma rinforzata, fatta apposta per giocare all’aperto. Lo lanciò a James che lo passò a un amico, e ben presto il nuovo pallone sfavillante zigzagò tra la folla: i ragazzi più grandi se lo passavano, lo tenevano in mano per ammirarlo e lo cedevano. Una radio cominciò a trasmettere musica, mentre la giornata si allungava e calavano le prime ombre della sera.
Al tramonto il giorno più glorioso della storia di Lotta stava per terminare, e le speranze che il futuro riservasse momenti ancora più entusiasmanti erano moltissime. Il figlio del villaggio era destinato a partire.”
Grisham è il re del legal thriller, ma questa volta ci porta fuori dalle aule dei tribunali e ci racconta una storia di sport, ma non solo, una storia di riscatto e resistenza. Le recensioni sono abbastanza positive, è consigliatissimo agli appassionati di Basket, alcuni, che non amano questo sport, hanno lamentato le troppe descrizioni delle partite, ma per la maggior parte dei lettori la storia e ben scritta, e i brevi capitoli rendono ancora più fluida la lettura, che ci regala anche tante emozioni e riflessioni.
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Ad aprile, quando Samuel Sooleymon fu invitato ai provini per la nazionale, aveva diciassette anni, era alto quasi un metro e novanta ed era considerato un playmaker promettente, noto per la sua velocità e l’elevazione, ma anche per i passaggi imprecisi e il tiro mediocre.
A luglio, quando la squadra partì da Juba, la capitale del Sudan del Sud, alla volta dell’America, Samuel era alto uno e novantatré, continuava a essere veloce ma più inaffidabile che mai nel gestire la palla e altrettanto impreciso nel tiro da tre punti. Non faceva caso al suo scatto di crescita, piuttosto comune per un adolescente, ma era consapevole che le sue logore scarpe da basket erano diventate strette e il suo unico paio di pantaloni ormai gli arrivava ben al di sopra delle caviglie.
Ad aprile, però, quando lo avevano convocato, a casa sua c’erano stati grandi festeggiamenti. Samuel viveva a Lotta, uno sperduto villaggio nei dintorni di Rumbek, una città di trentamila abitanti. A Lotta aveva trascorso tutta la vita, e oltre a giocare a basket e a calcio non aveva fatto molto altro. Sua madre Beatrice era una casalinga non istruita, come tutte le donne del villaggio. Suo padre Ayak faceva il maestro in una baracca senza pareti costruita dai missionari decenni prima. Quando non maneggiava il pallone da basket nei campi di terra del villaggio, Samuel si prendeva cura dell’orto di famiglia insieme ai fratelli minori e vendeva verdura sul ciglio della strada.
Per il momento, la situazione al villaggio era buona e abbastanza stabile. Da due anni era cominciata l’ennesima brutale guerra civile che non accennava a concludersi e, anche se la vita quotidiana era sempre precaria, la gente riusciva a cavarsela e a sperare in un futuro migliore. I bambini vivevano per strada, sempre intenti a inseguire o a calciare un pallone, e le partite offrivano un diversivo gradito.
Dall’età di tredici anni, Samuel era il miglior giocatore di basket del villaggio. Come ogni altro ragazzino sognava di giocare nella squadra di un college americano e ovviamente nell’NBA, in cui militavano alcuni campioni sudanesi del Sud che in patria erano venerati come divinità.
Quando si diffuse la voce della sua convocazione, i vicini cominciarono a radunarsi davanti alla sua casupola con il tetto ricoperto di paglia. Tutti volevano festeggiare la notizia mozzafiato. Alcune donne portarono caraffe di tè speziato alla cannella con zenzero e brocche di succo di tamarindo, altre vassoi di biscotti glassati e dolcini di arachidi. Era il momento più importante della storia recente del villaggio, e Samuel ricevette abbracci e congratulazioni. I più piccoli volevano semplicemente toccarlo, sicuri di essere in presenza di un nuovo eroe nazionale.
Lui si godette quel momento, ma cercò di avvertire tutti che era solo stato invitato a un provino. Entrare nella squadra Under 18 sarebbe stato difficile, perché i giocatori in gamba erano parecchi, soprattutto a Juba, c’erano campionati ben organizzati e le partite si giocavano su campi piastrellati o persino di legno. A Lotta, come in altri villaggi e aree rurali, le partite vere e proprie si disputavano soprattutto all’esterno, sul cemento o sulla terra. Spiegò che soltanto dieci giocatori sarebbero stati selezionati per il viaggio in America, dove avrebbero raggiunto altri cinque giocatori, tutti del Sudan del Sud ma residenti negli Stati Uniti. A quel punto la squadra avrebbe giocato tornei-esibizione in posti come Orlando e Las Vegas al cospetto di centinaia di osservatori inviati dalle università. Magari anche qualcuno dell’NBA.
La prospettiva di veder giocare Samuel in America rese ancora più emozionante quell’occasione, e le cautele del ragazzo vennero ignorate. Stava per partire. Lo avevano visto crescere sui campi del villaggio e sapevano che era abbastanza bravo da riuscire a entrare in qualsiasi squadra e portare con sé i loro sogni. I festeggiamenti durarono fino a sera, e quando Beatrice li decretò conclusi Samuel andò a letto, controvoglia. Dormire però era impossibile. Rimase seduto per un’ora sulla branda della minuscola camera da letto che condivideva con i due fratelli minori, Chol e James, e cominciò a parlare piano con loro, emozionato. Sopra le brande era appeso un grosso poster di Niollo, il più grande giocatore del Sudan del Sud, che si librava oltre il ferro del canestro e schiacciava, con la divisa dei Boston Celtics, che spesso Samuel fantasticava di indossare.
Il mattino seguente si alzò presto e andò a raccogliere le uova delle galline della famiglia, il suo primo lavoretto della giornata. Dopo una veloce colazione uscì per andare a scuola con lo zaino e il pallone da basket. James e Chol lo seguirono al campo del quartiere, dove Samuel fece qualche tiro e i fratelli andarono a recuperargli la palla. Altri ragazzi si unirono a loro, e il suono familiare dei palloni che rimbalzavano e delle battute amichevoli riecheggiò nel mattino sonnolento.
Alle otto i ragazzi, riluttanti, smisero di giocare e i tre fratelli andarono a scuola. Samuel era all’ultimo anno delle superiori e nel giro di un mese si sarebbe diplomato. Si considerava fortunato. Meno della metà dei suoi coetanei – soltanto maschi, naturalmente – concludeva le superiori, e solo una minuscola parte poteva sognare di andare all’università. Per le ragazze non c’erano corsi.
Mentre palleggiava verso la scuola, i suoi sogni vagavano verso college lontani.