Il vincitore del Premio Nobel alla Letteratura 2021 è Abdulrazak Gurnah. L’Accademia Reale Svedese l’ha scelto “per la sua appassionata e risoluta narrazione degli effetti del colonialismo e del destino dei rifugiati tra culture e continenti”. Proviamo a conoscerlo meglio, anche se la cosa migliore per farlo sarebbe leggere le sue opere.
“Per milioni di persone, poteva sentirlo dire con quella sua tremenda intensità, il trasloco è un momento di rovina e di fallimento, una sconfitta che non è più evitabile, una fuga disperata, che va di male in peggio, da casa a senzatetto, da cittadino al rifugiato, dal vivere una vita tollerabile o addirittura soddisfatta al vile orrore”.
da The Gift Ultima
Abdulrazak Gurnah è nato il 20 dicembre 1948, a Zanzibar, in Tanzania. Vive nel Regno Unito dove è arrivato nel 1968 come studente e per scappare dal sistema politico repressivo del tempo. Ha iniziato a scrivere a 21 anni mentre era in esilio in Inghilterra, la sua lingua d’origine è lo Swahili, ma l’inglese è diventa la sua lingua letteraria. E’ professore di letteratura post coloniale all’università del Kent, ha curato due volumi di saggi sulla scrittura africana e ha pubblicato diversi articoli su molti scrittori di a narrativa postcoloniale contemporanea. I temi ricorrenti nelle sue opere sono le questioni dei rifugiati, in particolare quello che riguarda l’Africa, i Caraibi e l’India. È stato eletto membro della Royal Society of Literature nel 2006.
Le sue opere:
Romanzi
1987 – Memory of Departure
1988 – Pilgrims Way
1990 – Dottie
1994 – Paradiso
1996 – Admiring Silence
2001 – Sulla riva del mare (pubblicato in Italia)
2005 – Il disertore (pubblicato in Italia)
2011 – The Last Gift
2017 – Gravel Heart
2020 – Afterlives
Racconti
2006 – My Mother Lived on a Farm in Africa
2016 – The Arriver’s Tale”, Refugee Tales
2019 – The Stateless Person’s Tale”, Refugee Tales III
Saggi
2011 – Abdulrazak Gurnah. “The Urge to Nowhere: Wicomb and Cosmopolitanism”
Questo saggio affronta un argomento importante, il cosmopolitismo, e lo mette in relazione con i viaggi e il provincialismo nella narrativa di Wicomb, attingendo a Fanon, Bhabha e Gilroy, e discutendo tre delle opere principali di Wicomb. Traccia un legame tra luogo e memoria, e come nell’opera di Wicomb quest’ultima sia oscurata dalla vergogna. Rileva una tensione produttiva nella scrittura di Wicomb tra il valore del viaggio e il valore del radicamento in un luogo, e ne propone la risoluzione nel privilegiare i momenti ambivalenti dell’esperienza.
Paradiso di Abdulrazak Gurnah (Garzanti)
Kenia, alla vigilia della prima guerra mondiale. Yusuf ha solo dodici anni quando suo padre lo affida allo Zio Aziz, un ricco mercante. Vicino a Mombasa, nella bottega di Aziz, il ragazzo scopre che non si tratta di suo zio, ma del suo padrone. Venduto per pagare i debiti del padre, è costretto a lavorare duramente. Poi un giorno Aziz decide di portarlo con sé per un lungo viaggio all’interno del continente africano. Yusuf conosce la morte e la violenza e impara le difficili regole di convivenza di un mondo sull’orlo del conflitto, dove musulmani, missionari cristiani e indiani coesistono in un fragile equilibrio. Al ritorno Yusuf è un altro: un giovane robusto e avvenente. È ancora schiavo, ma a dargli la libertà del cuore c’è l’amore, quello per la giovane ancella della padrona, Amina. Ma la ragazza cela un terribile segreto e, mentre il colonialismo europeo stringerà le sue maglie sul continente africano, Yusuf capirà il cammino che dovrà intraprendere.
“Rispetta te stesso e gli altri verranno a rispettarti. Questo è vero per tutti noi, ma soprattutto per le donne. Questo è il significato dell’onore”
Sulla riva del mare di Abdulrazak Gurnah (Garzanti)
E’ il pomeriggio del 23 novembre. All’aeroporto di Gatwick atterra Saleh Omar. Con sé porta solo una borsa, dentro la quale c’è una scatola con dell’incenso e poco altro. Aveva un negozio, una casa, una moglie, una figlia. Ora è solo un profugo in cerca d’asilo, la sua unica difesa è il silenzio. Lo stesso giorno Latif Mahmud, poeta e docente universitario che ha scelto l’esilio, medita nel suo appartamento londinese sulla sua famiglia e sul paese, che non rivede da tempo. Per i due uomini il paradiso che hanno dovuto abbandonare è lo stesso: Zanzibar, l’isola dell’Oceano Indiano spezzata da venti che portano con sé gli aromi di mille spezie, ma anche uno straordinario intreccio di culture e di storie.
“Parlo con le mappe. E a volte mi restituiscono qualcosa. Questo non è così strano come sembra, né è una cosa inaudita. Prima delle mappe, il mondo era illimitato. Erano le mappe a dargli forma ea farlo sembrare un territorio, come qualcosa che si poteva possedere, non solo devastare e depredare. Le mappe facevano sembrare afferrabili e placabili luoghi ai margini dell’immaginazione”
Il disertore di Abdulrazak Gurnah (Garzanti)
Hassanali è diretto verso la moschea, ma dal deserto emerge la sagoma di un inglese, che crolla esausto ai suoi piedi. Martin Pearce, viaggiatore, scrittore e studioso dell’Oriente, ha attraversato il deserto ed è allo stremo. Hassanali lo salva e lo porta nella casa dell’unico bianco della cittadina, un ufficiale. Quando Pearce torna a ringraziare Hassanali per averlo salvato, incontra anche sua sorella Rehana: resta immediatamente affascinato dal suo sguardo e in questa città ai margini dell’impero, affacciata sulla costa africana dell’Oceano Indiano, nasce una storia d’amore destinata a riverberarsi per tre generazioni.
“C’era una storia sulla prima comparsa dell’inglese. In realtà ce n’era più di una, ma con il tempo, passando di bocca in bocca, gli elementi delle varie storie si fusero in un unico racconto. In tutte le versioni, comunque, egli compariva all’alba, come il personaggio di un mito. In una versione, era come uno spettro e si muoveva così lentamente, in quella peculiare luce subacquea, che il suo avvicinamento risultava quasi impercettibile; egli avanzava a poco a poco come il destino. In un’altra, non si muoveva affatto, non tremava, non rabbrividiva, ed era spuntato così, all’improvviso, ai margini della cittadina, con gli occhi grigi luccicanti, restando in attesa che arrivasse qualcuno la cui ineludibile sorte fosse di trovare lui. Poi, quando questo qualcuno si presentò, lui gli scivolò incontro, per adempiere a un destino gravido di conseguenze allora del tutto imprevedibili. Qualcun altro sostenne di averlo sentito prima che visto; di avere udito, nell’ora più buia della notte, il suo grido implorante, bramoso, come quello di un animale leggendario. Benché non ci fosse alcun vero contrasto fra le varie storie, dato che in ognuna si sottolineava la stranezza della sua comparsa, su un fatto concordavano tutte: era stato Hassanali, il bottegaio, a trovarlo, o a essere trovato da lui.
La sorte regola ogni vicenda umana, e dunque fu così anche per la prima comparsa di quell’uomo, tuttavia la sorte non è identica al caso, e persino gli avvenimenti più inaspettati in realtà adempiono a un disegno. Quindi, la comparsa di quell’uomo ebbe tali conseguenze sul futuro, da far ritenere niente affatto casuale il fatto che fosse stato Hassanali a trovarlo.”