Un bello scherzo. I casi del maresciallo Ernesto Maccadò, un romanzo di Andrea Vitali, pubblicato il 3 giugno 2021, da Garzanti. Una nuova sfida al maresciallo Maccadò. Se pensava che a Bellano si potesse vivere tranquilli, ora avrà di che ricredersi e scoprire come negli animi più miti e sottomessi si nasconda spesso la tempra degli eroi.
“Che cazzo serviva essere caporale della Milizia nonché segretario del Fascio locale se nessuno si prendeva la briga di avvisarlo di un fatto del genere! E per quale motivo? Il Crispini poi? Ma che cazzo aveva combinato? Roba da non credere, era forse impazzito?”
Sembrerebbe impossibile, perché la posizione è invidiabile, ma anche al caffè dell’imbarcadero di Bellano capita che per una giornata intera entri solo qualche sparuto cliente. Come martedì 5 marzo 1935.
Per tirare sera l’oste Gnazio Termoli deve inventarsele tutte, fino a lavare e rilavare bicchieri già puliti. E poi sbadigliare all’ingresso del bar deserto. Eppure questa è una data che non potrà dimenticare, né lui né l’intero paese. Al calare delle prime ombre, infatti, al molo attracca una motonave della Milizia confinaria da cui scendono tre uomini completamente vestiti di nero. Uno davanti e gli altri due dietro.
Modi spicci e poche parole che incutono terrore. Muti e impietriti, il Gnazio e i pochi altri testimoni assistono a una scena che ha dell’incredibile. Dopo alcuni minuti i tre militi, infilatisi nell’intrico delle contrade, riappaiono al molo. Sempre in formazione, ma adesso tra loro, sorretto per le ascelle e trascinato come un peso morto, c’è il povero maestro Fiorentino Crispini. Caricatolo brutalmente a bordo, l’imbarcazione riprende il largo in direzione di Como. E il Gnazio?
Come tutti sanno, meglio farsi i fatti propri, fingere di non aver visto nulla e morta lì. Ma in questo caso… Il maestro Crispini… Come è possibile? A ripensarci, da qualche tempo il maestro non sembrava più lui. Aveva mancato più volte, per esempio, il proverbiale appuntamento con il suo marsalino, che il Gnazio gli serviva ogni mattina. Però, da lì a immaginare che possa aver meritato un arresto del genere ce ne passa. Unica soluzione: affidare la patata bollente ai carabinieri.
Se la veda il maresciallo Ernesto Maccadò con quelli della Milizia. Capisca insomma cosa è successo e, se ci riesce, riporti a casa il Crispini. Un giallo con al centro i sogni di grandezza di un aspirante poeta e la gloria che bussa alla porta sbagliata.
“Nessuna pazzia. O forse sì. Quella lieve però, che fa volare l’animo umano sulle ali della poesia.
Con l’inizio del nuovo anno Fiorentino Crispini aveva preso il volo, tanto rapito dal pensiero di un’impresa che per tre giorni, forse quattro, nemmeno lui stesso avrebbe saputo dirlo con precisione, aveva tralasciato una sorta di rito che solo di rado aveva mancato di celebrare e con il quale era uso salutare l’inizio di un nuovo giorno. Quale che fosse la stagione, la condizione del tempo, la temperatura, si piazzava davanti all’ingresso del caffè dell’Imbarcadero un quarto d’ora prima dell’apertura. Quel tempo gli serviva per sentirsi parte del panorama che lo circondava, quasi abbandonarsi a esso per assorbirne gli umori che, sperava, un giorno o l’altro l’avrebbero portato a scrivere certe poesie che ancora aleggiavano nel segreto del suo animo o, addirittura, un romanzo, ambizioso traguardo di cui una delle due stufe di casa aveva già bruciato più di un incipit. Finita poi la contemplazione, quando il proprietario del locale apriva, il Crispini entrava e si faceva servire, ormai senza nemmeno più chiederlo, un marsalino con il quale corroborare lo spirito e affrontare la giornata.”
Le recensioni sono positive per quest’altra storia del maresciallo Maccadò, soprattutto per chi conosce ed ama lo stile particolare dell’autore. Con una scrittura, come sempre, leggera ritroviamo personaggi fuori dal comune, che spesso rasentano il paradossale, ma a noi Vitali ci piace anche per questo e per regalaci dei gialli divertenti.
1.
Serata sciocca quella di martedì 5 marzo 1935, degna conclusione di una giornata altrettanto sciocca.
Gnazio Termoli, proprietario del caffè dell’Imbarcadero, definiva così i giorni di scarso traffico nel suo locale. Inutile chiedergli perché usasse quel termine, non avrebbe saputo dirlo, solo che gli sembrava il più idoneo a descrivere quelle ore trascorse ad attendere clienti. Passava il tempo a oziare, a ripassare bicchieri puliti, sistemare bottiglie già in ordine oppure, appoggiato coi gomiti al banco, a lottare per tenere aperte le palpebre che sembravano invece voler ubbidire al richiamo di una calamita.
Giornata sciocca quindi e già dal primo mattino, quando il maestro Fiorentino Crispini non s’era bevuto il marsalino. L’aveva visto andare verso l’edicola di piazza Grossi, prendere il giornale, aprirlo lì dov’era e poi, con un gesto rapido, come se avesse letto chissà che, ripartire deciso in direzione di casa.
Nemmeno il maresciallo Maccadò era sceso come suo solito per bere il secondo caffè. Il Gnazio l’aveva sgamato da tempo, aveva capito che il maresciallo aspettava che altri si sorbissero i primi caffè del mattino, obiettivamente scadenti, prima di ordinare il suo. Ma se allo scoccare dell’ora canonica del Maccadò, al caffè erano entrati solo il battellotto Strozzi, grappa, e il pescatore Varvarini, mandorlata, due bicchieri, ciao maresciallo!
Giornata sciocca, c’era niente da fare, ogni tanto capitava ed era un peccato. Non solo per l’incasso, ma anche per come sarebbe finita. Perché alla lunga quell’aspettare che si facesse sera con la noia che montava di minuto in minuto lo rendeva nervoso. Quando poi tornava a casa bastava un niente per farlo scattare e con la moglie Damina veniva fuori la guerra. Era sufficiente che la minestra o quel che c’era nel piatto fosse sciapo o troppo saporito, ogni scusa era buona per scaricare il nervoso. La Damina, poi, mica faceva il materasso, più volte glielo aveva detto: se non gli andava bene come cucinava c’era sempre il Cavallo Bianco. E lui a rispondere che dopo una giornata di lavoro almeno una cena decente era il minimo che riteneva di meritare. E lei a ribattere che se gli serviva un fazzoletto per asciugare il sudore l’avrebbe trovato in uno dei cassetti del comò. E avanti così per un po’, dopodiché musi e silenzi per un paio di giorni o anche tre.
In tarda mattinata il Gnazio aveva sperato che qualcosa si stesse muovendo quando aveva visto il podestà Mongatti giungere in piazza insieme col segretario comunale e un altro paio di soggetti che non conosceva. Si erano fermati al centro, proprio nei pressi del monumento a Tommaso Grossi. Erano rimasti lì un po’, girandogli intorno, guardandolo, indicandolo, parlando tra loro.
Per quello che aveva da fare il Gnazio, curioso, avrebbe potuto uscire e avvicinarsi per capire cosa stavano progettando. Avrebbe appreso che in occasione della ripubblicazione dell’opus maius del concittadino poeta e romanziere, il Marco Visconti, l’amministrazione comunale aveva stabilito un impegno di spesa affinché il monumento venisse ripulito per bene onde tornare al biancore originario e soprattutto mondato dalle cacche dei piccioni che sul vertice del capo sembravano aver trovato il loro ideale luogo comodo.
Invece era rimasto lì, dietro la vetrata dell’ingresso, le mani dietro la schiena, fino a che quelli, terminato il conciliabolo, avevano ripreso la strada per il palazzo municipale.
Dal primo pomeriggio in avanti la situazione era vieppiù peggiorata, complice il tempo. Alla mattina serena si era pian piano sostituito un cielo pigro, sempre più grigiastro, come se anche lui fosse afflitto dalla noia. Una stracca via di mezzo che faceva voglia di gridare, a chi poi?, di decidersi a piovere se era quello che doveva essere oppure togliersi dalle balle e lasciare di nuovo spazio all’azzurro del mattino. Quel mèz e mèz era pari al dormiveglia che incombeva sul Gnazio e, con tutta probabilità, anche sulla clientela latitante.
Qualcuno era entrato nel corso del pomeriggio, d’accordo. Ma cosa cazzo ci faceva, quando ormai scoccavano le sei, con un totale di quattro caffè, un karkadè, dieci bicchieri di vino bianco, sei di rosso e un Campari, che tra l’altro s’era bevuto lui? Roba da chiudere in anticipo e andare a casa a litigare con la Damina. Cosa che il Gnazio aveva pensato di poter anche fare subito dopo la partenza del battello che in quel momento, in discesa da Colico, stava puntando verso lo scalo di Bellano. Marinai e comandante, vista la comodità del suo locale, in genere non perdevano l’occasione per bagnare il becco.
Attese quindi, senza immaginare che di lì a poco avrebbe assistito a un evento tanto inimmaginabile che tra le altre cose avrebbe disinnescato ogni ipotesi di litigio con la moglie.