Il visitatore notturno è un romanzo thriller scritto da Jeffery Deaver, pubblicato il 14 settembre 2021, tradotto da Rosa Prencipe. La sedicesima nuova indagine di Lincoln Rhyme insieme ad Amelia Sachs, moglie e inseparabile collega. Come vi sentireste se una mattina svegliandovi in casa vostra vi accorgeste che qualcosa non va, che mentre dormivate qualcuno è entrato in casa, ha rovistato, ha mangiato e bevuto e, cosa più inquietante, è stato lì ad osservare il vostro sonno?
“L’attività del fabbro è una scienza, è meccanica e fisica. I perni si ritraggono perché siamo noi a spingerli. L’unica magia nel riuscirci – che sia la terza volta o la trentesima – è l’aver trovato l’esatto equilibrio tra i movimenti del tensore e del grimaldello.”
Trama del “Il visitatore notturno”
La paura può trasformare il risveglio nel peggiore degli incubi. È questo il tipo di angoscia di cui si nutre lo psicopatico che ha tolto il sonno agli abitanti di Manhattan. Scivola negli appartamenti nel cuore della notte, sposta qualche oggetto, osserva la vittima dormire. Poi se ne va. I segni del suo passaggio sono quasi impercettibili: nessuna violenza fisica, solo lievi manomissioni dello spazio con cui si appropria dell’intimità altrui, sconvolgendola. Si fa chiamare il Fabbro, ed è in grado di violare qualsiasi serratura. Scassinare, per lui, è arte e ragione di vita. Un’ossessione al servizio di un gioco perverso che la polizia di New York non sa decifrare. E per calarsi nelle profondità impastate di follia di una mente criminale, ancora una volta, non c’è nessuno come Lincoln Rhyme, chiamato a investigare insieme ad Amelia Sachs, moglie e inseparabile collega. Ma le indagini subiscono una battuta d’arresto quando Rhyme, finito sotto accusa per errori commessi in un caso precedente, viene sollevato dall’incarico con effetto immediato. Ci vorrà ben altro, tuttavia, per tenere lontano dall’azione il miglior criminologo sulla piazza. Una sequenza ininterrotta di colpi di scena e cambi di trama, una narrazione chirurgica e abbacinante degli abissi dell’animo umano ed il fabbro, il nuovo criminale creato dall’autore, accompagna il lettore nella ricerca del suo cibo: la paura.
“La ricognizione fa parte del metodo con cui preparo le mie Visite. Le pianifico sempre in anticipo.
Ci sono due vie per scassinare una serratura. L’approccio più grezzo prevede l’utilizzo di un grimaldello a pistola (basta infilare la punta nella serratura e premere il grilletto finché quella non si apre) o il ricorso alla tecnica del key bumping (metti nella toppa un’apposita chiave sagomata, detta «a urto», e la martelli con forza fino a far scattare la serratura). Nel secondo approccio si fa affidamento ai grimaldelli tradizionali. È una tecnica discreta, un metodo da artista.
Il mio metodo.
Anche per impostare l’effrazione e l’ingresso in un’abitazione ci sono due vie. Alcuni ladri improvvisano: si limitano a raggiungere il proprio obiettivo e vedere come va. Io non potrei mai procedere così. Le mie Visite prevedono una minuziosa preparazione. Voglio conoscere a fondo le misure di sicurezza dell’edificio, sapere dov’è la porta principale e quella di servizio, se ci sono telecamere negli androni, nei corridoi o all’esterno, se ci lavorano dei portieri, se c’è qualche punto di osservazione privilegiato o se lì intorno sono accampati dei barboni, che magari saranno anche fatti, ubriachi o svitati, ma possono avere comunque una memoria di ferro e descrivermi nei minimi dettagli alle forze dell’ordine. Piccola curiosità: di recente ho scoperto che anche i serial killer si dividono in due categorie, organizzati e disorganizzati.”
Le recensioni del “Il visitatore notturno”
Le recensioni sono per la maggior parte positive, però molti estimatori dell’autore non ritrovano il loro beniamino, non hanno apprezzato lo forzo di voler creare un romanzo diverso, distaccandosi leggermente dall’indagine analitica per quella più deduttiva, cercando di depistare il lettore con un incastro di eventi ben congeniale. Mentre sono i nuovi lettori di Deaver che hanno apprezzato di più questo romanzo, perché, una cosa è sicura, non manca certo l’adrenalina e la tensione che fa rimanere incollati alle pagine. L’autore, come fa spesso, affronta anche temi sociali ed in questo caso si sofferma sull’impatto che i social hanno sulla nostra vita, sulla condivisione, la sicurezza, il proliferare di complottisti e santoni. Sembra promettere bene, non resta che leggerlo.
Incipit del “Il visitatore notturno”
PRIMA PARTE
LA CHIAVE A TUBO
26 maggio, 8:001
Qualcosa non andava.
Solo che Annabelle Talese non riusciva proprio a capire cosa.
In parte, quella strana ansia – o confusione, o sensazione di un che di misterioso – poteva dipendere da un lieve hangover; insomma, dai postumi di una «sbronzetta», come le chiamava lei: giusto un bicchiere o due di troppo di sauvignon blanc. La sera prima era andata con Trish e Gab da Tito’s, un locale tra i più assurdi dell’Upper West Side di Manhattan, che offriva un mix di cucina serba e Tex-Mex. Come piatto forte, crocchette di formaggio fritte con fagioli e salsa. E vino a volontà.
Distesa sul fianco, Annabelle scostò i folti capelli biondi che le solleticavano gli occhi, domandandosi cosa ci fosse di sbagliato nella scena che aveva di fronte. Tanto per cominciare, la finestra era aperta di qualche centimetro e lasciava entrare la brezza di maggio, satura dell’odore di asfalto e gas di scarico delle vie di Manhattan. Non la apriva quasi mai. Perché l’aveva fatto la notte prima?
La ventisettenne – che in passato si era dilettata a fare la modella e adesso lavorava con soddisfazione dietro le quinte del mondo della moda – si mise a sedere, sistemandosi la t-shirt Hamilton tutta arrotolata e i boxer di seta. Quindi si ravviò i riccioli con le dita e mise le gambe giù dal letto, cercando le pantofole con i piedi. Non erano dove le aveva lasciate la notte precedente, sfilandole con un piccolo calcio prima di mettersi sotto le coperte.
Okay, cosa sta succedendo?
Annabelle non aveva disturbi ossessivo-compulsivi né particolari fobie, a parte una: quella per le strade di New York. Non poteva fare a meno di immaginare il tappeto di germi e altre innominabili bestioline che popolavano l’asfalto cittadino e che lei portava nell’appartamento ogni giorno, anche se riponeva sempre le scarpe in uno scatolone vicino alla porta e insisteva affinché gli amici facessero altrettanto. Non girava mai scalza per casa.
Al posto delle pantofole, steso sul pavimento c’era il vestitino a fiori che indossava la sera prima. L’orlo della gonna era sollevato quasi fino alla scollatura, come a mettere in mostra ciò che avrebbe dovuto coprire.
Un momento…
Aveva la vaga impressione di aver buttato il vestito nel cesto dei panni sporchi prima di prepararsi per la notte. Doveva mettere in discussione i propri ricordi? In effetti le pantofole non erano dove pensava di averle lasciate, e il vestito non si trovava nel cesto in cui pensava di averlo gettato. Forse Draco, il barista del locale che ci provava sempre, era stato un po’ più generoso del solito con i drink. Possibile che avesse bevuto più di quanto credeva?
Piano, ragazza. Fai mente locale.
Come tutte le mattine, la prima cosa da fare era controllare il telefono. Si voltò verso il comodino, ma lo smartphone non c’era. Annabelle non aveva una linea fissa, quindi il cellulare era il suo unico collegamento con il mondo. Lo teneva acceso anche di notte, sempre vicino a sé. Il caricabatterie era lì, attaccato alla presa, ma niente telefono.
Cristo, che sta succedendo?
A quel punto vide le pantofole di pelo rosa: erano rivolte verso la piccola sedia di legno che teneva dall’altra parte della stanza, ma che era stata spostata più vicina al letto. Sistemate una per lato di fianco alla sedia, erano disposte in modo al contempo sinistro e osceno: come fossero calzate da qualcuno messo a cavalcioni sulla sedia, a gambe divaricate.
Poi Annabelle notò qualcos’altro sul pavimento.
«No…» esclamò con voce strozzata.
Accanto alla sedia era poggiato un piatto, con sopra un biscotto morsicato.
Il cuore prese a martellarle nel petto, il respiro si fece affannoso. Qualcuno era stato lì, quella notte. Qualcuno che aveva armeggiato con i suoi indumenti e si era persino concesso un biscotto. A neanche due metri da lei!
Il telefono… Dov’è quel maledetto telefono?
Annabelle fece per raccogliere il vestito dal pavimento, poi si bloccò.
No!
Lui – perché era convinta che l’intruso fosse un uomo – l’aveva toccato.
Mioddio…
Corse all’armadio. Infilò un paio di jeans, una felpa della New York University e il primo paio di sneakers che trovò.
Fuori di qui, subito! I vicini, la polizia…
Ricacciò indietro le lacrime di terrore e fece per uscire dalla camera, ma notò un cassetto semiaperto. Quello in cui teneva la biancheria intima. Un lampo di colore attirò il suo sguardo. Si avvicinò adagio, aprì del tutto il cassetto e guardò all’interno. Le si mozzò il respiro e le lacrime ruppero gli argini. Sulle mutandine era poggiata la pagina di un quotidiano. Non uno di quelli che leggeva di solito: evidentemente l’aveva portata l’intruso. Sopra – scritte con il suo rossetto preferito, tonalità Fierce Pink – c’erano cinque parole:Resa dei conti.
Il FabbroAnnabelle si lanciò verso la porta d’ingresso, ma si fermò di colpo dopo pochi metri. Aveva notato tre cose.
Il ceppo portacoltelli sistemato sull’isola della piccola cucina aveva uno spazio vuoto, in alto a destra; quello per la lama più grande.
La porta del ripostiglio, affacciata sul corridoio, era aperta, mentre lei la teneva sempre chiusa. Un sensore sistemato sullo stipite accendeva in automatico la luce quando si apriva l’anta, eppure lo stanzino era al buio. Per uscire dall’appartamento, sarebbe dovuta passare proprio lì davanti.
E le due serrature a chiavistello della porta erano in posizione di bloccaggio. Il che – siccome l’intruso non aveva certo le chiavi di casa – poteva significare solo una cosa: lui era ancora lì.