La somma dei giorni è un romanzo della scrittrice cilena Isabel Allende, pubblicato nel 2008, si presenta come un romanzo domestico, in cui la concezione di una grande famiglia viene vista come un toccasana ed una grande risorsa per abbattere ogni ostacolo della vita, la quale non può non essere vissuta se non affianco delle persone che si amano.
“La vita si fa camminando senza cartina e non c’è modo di tornare indietro.”
Il romanzo è scritto nuovamente sotto forma di diario rivolto alla figlia Paula, a cui la scrittrice narra tutte le vicende della sua famiglia, a partire proprio dalla morte della figlia fino al 2006. L’intenzione dell’autrice/protagonista è quella di poter riunire tutta la sua famiglia attorno a sè, creando così una vera e propria “tribù”, di cui Allende svolge un ruolo di “matriarca”, che non sempre, però, giova alla famiglia. Il secondo pilastro portante del romanzo è il rapporto di Allende con il suo secondo marito, Willie.
“Dovevo essere cittadina statunitense per potermi ricongiungere con te e con tuo fratello, così non mi rimase altra scelta che ingoiarmi l’orgoglio e suggerire a Willie l’idea del matrimonio. La sua non fu una reazione di gioia incontenibile, come forse avevo osato sperare, ma di paura: diversi amori falliti avevano spento le braci romantiche del suo cuore, ma alla fine ebbi la meglio. Be’, in realtà non fu difficile: gli diedi fino alle dodici del giorno successivo per decidere e cominciai a fare la valigia. Quindici minuti prima della scadenza, Willie accettò la mia mano pur senza riuscire a capire le ragioni della mia insistenza nel voler vivere vicino a Nico e a te; negli Stati Uniti i giovani abbandonano la casa paterna quando finiscono la scuola e tornano in visita solo a Natale o per il Giorno del Ringraziamento. Gli americani si stupiscono dell’abitudine cilena di convivere per sempre nel clan.
Sono gli anni che seguono la morte della figlia Paula e Isabel Allende adotta la forma del “diario” per fare la cronaca della famiglia, faticosamente riunita in California. I ricordi si intrecciano alle riflessioni sulla vita, sulla sua opera e sul mondo contemporaneo.
Sono gli anni che seguono la morte della figlia Paula e Isabel Allende adotta la forma del ‟diario” per fare la cronaca della famiglia, faticosamente riunita in California.
I ricordi si intrecciano alle riflessioni sulla vita, sulla sua opera e sul mondo contemporaneo. Due leitmotiv danno coesione all’insieme: la relazione amorosa con il secondo marito Willie e l’ansia di costituire e difendere una grande tribù familiare. Isabel tiene letteralmente insieme un clan variegatissimo e lo governa come una vera patriarca. Dopo La casa degli spiriti come dubitare di questa inclinazione?
E se talora la generosità travalica in esercizio di potere, in deliberato controllo delle altrui vite per modificarne il corso, è pur vero che da questo movimentato ritratto emergono gli indiscutibili pregi della famiglia allargata, come luogo dell’affetto e della comprensione. Se le avventure della tribù e della sua ‟regina” la fanno da padrone, non mancano le riflessioni sull’incombere del tempo, sulle debolezze di un carattere forte, sulla rivincita del buon senso, sulla capacità di cambiare e in ultima analisi, sul dono di sapersi prendere in giro che dovrebbero sempre accompagnarci nella fatica di vivere.
Si esce dalla lettura con la sensazione di aver attraversato una grande galleria di ritratti familiari, di aver vissuto una cronaca di affetti che ci riguarda da vicino. Con intelligenza e autoironia Isabel ci mostra le difficoltà di tenere insieme un clan variegatissimo e di dominarlo; mettendo a nudo le proprie inclinazioni, la scrittrice de La casa degli spiriti ci dice che l’eccessiva generosità rischia di sconfinare nell’invadenza.
La storia di Isabel Allende, il rapporto con il suo meraviglioso Paese, le vicende familiari e politiche, la morte di Paula, ma anche la genesi di tanti suoi successi da Il piano inclinato ad Afrodita, così come gli aneddoti legati all’uscita del film tratto da La casa degli Spiriti, riempiono le pagine di questo libro.
Tutto l’universo fiabesco, delicato e allo stesso tempo struggente, di questa grande donna dei nostri tempi, fa capolino in queste pagine, per una lettura che saprà segnare i nostri passi e svegliare i nostri sensi di fronte alla meraviglia del mondo.
Incipit di “La somma dei giorni”
Nella mia vita non mancano drammi, ne ho viste di tutti i colori e ho materiale in abbondanza per scrivere, eppure, quando arriva il 7 gennaio, sono comunque in ansia. Stanotte non ho potuto dormire, si è abbattuta su di noi una tempesta, il vento ruggiva tra le querce e colpiva le finestre di casa, apogeo del diluvio biblico delle ultime settimane. Alcuni quartieri della contea sono stati inondati, i pompieri non sono riusciti a far fronte a un disastro di tali proporzioni, la gente si è riversata in strada, con l’acqua alla vita, per mettere in salvo dalla marea ciò che poteva. I mobili fluttuavano per i viali principali e alcuni animali domestici, spaventati, attendevano i padroni sui tetti delle macchine semisommerse, mentre i reporter catturavano dagli elicotteri le immagini di questo inverno in California, che sembra l’uragano in Louisiana. In alcuni quartieri non è stato possibile circolare per un paio di giorni e, quando finalmente ha spiovuto e si è vista la gravità del disastro, sono dovute intervenire squadre di immigrati latinoamericani che si son messe al lavoro per aspirare l’acqua con le pompe e portare via le macerie a mano. La nostra casa appollaiata su una collina ci preserva dalle inondazioni, in compenso le sferzate del vento che riceve frontalmente sono così forti da piegare le palme e ogni tanto riescono a sradicare di netto gli alberi più orgogliosi, quelli che non chinano la testa.
A volte, nel culmine della tempesta, si alzano onde capricciose che sommergono
l’unica strada di accesso; allora, affascinati, osserviamo dall’alto lo spettacolo inusitato della baia infuriata. Mi piace il raccoglimento obbligato dell’inverno. Vivo nella contea di Marin, a nord di San Francisco, a venti minuti dal Golden Gate, tra colline dorate in estate e color smeraldo in inverno, sulla sponda occidentale dell’immensa baia. Nei giorni limpidi possiamo vedere in lontananza altri due ponti, i contorni imprecisi dei porti di Oakland e San Francisco, le pesanti navi da carico, centinaia di barche a vela e, come bianchi fazzoletti, i gabbiani. In maggio fanno la loro apparizione alcuni intrepidi appesi ad aquiloni multicolori, che scivolano veloci sull’acqua, turbando la quiete dei vecchietti asiatici che passano il pomeriggio a pescare tra gli scogli. Dall’Oceano Pacifico non si vede lo stretto accesso alla baia, che si risveglia avvolta nella nebbia, e i marinai di un tempo tiravano dritto senza immaginare lo splendore che si nasconde poco più all’interno. Ora questo accesso è coronato dallo slanciato Golden Gate, con le sue superbe torri rosse. Acqua, cielo, colline e bosco: questo è il mio paesaggio.
Non sono state le raffiche di vento da fine del mondo né la mitragliata di grandine sulle tegole a svegliarmi stanotte, quanto l’ansia dettata dall’inevitabile sopraggiungere dell’8 gennaio. Da venticinque anni comincio sempre a scrivere in questa data, più per superstizione che per disciplina: ho paura che, iniziando un giorno diverso, il libro possa essere un insuccesso, e che se lascio passare un 8 gennaio senza scrivere, non potrò più farlo per il resto dell’anno. Gennaio arriva dopo alcuni mesi in cui non scrivo, nei quali vivo proiettata all’esterno, nello scompiglio del mondo, viaggiando, promuovendo libri, tenendo conferenze, attorniata da gente, parlando troppo. Rumore e ancora rumore. Temo più che altro di diventare sorda, di non poter ascoltare il silenzio. Senza silenzio sono fritta.
2 commenti
Sembra interessante..Qualche commento di chi lo ha letto?
bellissimo come tutti i suoi romanzi…sembra di vivere assieme a lei per tutta la durata del libro che si “divora” e finisce troppo presto…