Eva luna racconta sono dei racconti scritti da Isabel Allende, pubblicati nel 1992. Ventitré racconti, storie di passione e violenza, popolati da personaggi a tinte forti, in cui corre un filo sottile e misterioso.
“Ci sono storie di ogni genere. Alcune nascono quando vengono raccontate, la loro sostanza è il linguaggio, e prima che qualcuno le metta in parole sono appena un’emozione, un capriccio della mente, un’immagine o una intangibile reminiscenza. Altre si presentano complete, come mele, e si possono ripetere all’infinito senza rischiare di alterarne il senso. Ne esistono prese dalla realtà e lavorate dall’ispirazione, mentre altre nascono da un istante d’ispirazione e diventano realtà nell’essere narrate. E vi sono storie segrete che rimangono nascoste fra le ombre della memoria, sono come organismi viventi, ne spuntano le radici, tentacoli, si riempono di escrescenze e di parassiti e col tempo si trasformano in sostanza d’incubi. A volte per esorcizzare i dèmoni di un ricordo è necessario narrarlo come storia.”
La coppia riposa dopo l’amore, ed Eva Luna, già protagonista nell’omonimo romanzo dell’Allende, comincia a narrare, come Sheherazade nelle ‘Mille e una notte’, ventitré racconti memorabili, storie d’amore, avvicendamenti e delitti in cui corre un filo sottile e misterioso. Dopo la maestosa lentezza, che abbiamo conosciuto nei romanzi di Isabel Allende, ecco l’insorgere di un’imprevedibile e felice rapidità. Come se l’Autrice avesse troppe storie da raccontare, troppi romanzi da scrivere, troppi personaggi da animare a chiedesse soccorso a un suo personaggio, Eva Luna, anche lei narratrice, e narratrice che ha il dono di suscitare la commozione del lettore.
Una bimba solitaria si innamora dell’amante della madre e, nelle torride sieste della pensione in cui vive, inventa misteriose cerimonie che conducono entrambi sull’orlo di un profondo abisso. Da un sotterraneo abbandonato viene liberata una vecchia rimasta prigioniera per mezzo secolo, vittima di un caudillo geloso. Quando si ritrova all’aperto, nuda, i lunghi capelli bianchi che sfiorano terra, gli occhi ciechi per il buio di decenni, non ricorda neppure il proprio nome. Nel fragore di una battaglia, tra le fiamme e gli spari, un uomo violenta una ragazza e ne uccide il padre. Vivrà perseguito dal rimorso fino a tornare sul luogo del delitto, dove la donna lo aspetta per vendicarsi. Sono alcuni straordinari personaggi di questi racconti, narrati da Eva Luna, accanto ai quali incontriamo Rolf Carlé, il fotografo segnato dagli orrori della guerra, Riad Halibì, l’arabo dal cuore compassionevole, la Maestra Ines, il Benefattore e altri che i lettori di Eva Lunagià conoscono. Un sottile filo narrativo unisce queste storie d’amore e di violenza, dal tono sempre contenuto, quasi dimesso, in contrasto con la ricchezza delle immagini, l’esuberanza degli scenari e la stravaganza delle passioni che determinano i destini di una stralunata umanità.
Su ventitré racconti qualcuno non è proprio il massimo, comunque per i miei gusti il libro è promosso a pieni voti. L’ustrice dimostra la sua bravura anche nei racconti brevi.
Ti toglievi la fascia dalla vita, ti strappavi i sandali, gettavi in un angolo l’ampia gonna, era di cotone, mi sembra, e scioglievi il nodo che ti stringeva i capelli in una coda. Avevi la pelle d’oca e ridevi. Eravamo talmente vicini che non potevamo vederci, assorti entrambi in quel rito urgente, avvolti nel calore e nell’odore che emanavamo insieme. Mi aprivo il passo per le tue vie, le mie mani sulla tua vita protesa e le tue impazienti.
Sfuggivi, mi percorrevi, mi scalavi, mi avvolgevi con le tue gambe invincibili, mi dicevi mille volte vieni con le labbra sulle mie. Nell’attimo estremo avevamo un bagliore di completa solitudine, ciascuno perduto nel proprio abisso rovente, ma subito risorgevamo al di là del fuoco per scoprirci abbracciati nel disordine dei guanciali, sotto la zanzariera bianca. Ti scostavo i capelli per guardarti negli occhi. Talvolta ti sedevi accanto a me con le gambe raccolte e il tuo scialle di seta su una spalla, nel silenzio della notte che iniziava appena. Così ti ricordo, in quiete.
Tu pensi per parole, per te il linguaggio è un filo inesauribile che tessi come se la vita si facesse narrandola. Io penso per immagini congelate in una foto. Ma non impressa su una lastra, piuttosto come disegnata a penna, è un ricordo minuzioso e perfetto, dai volumi morbidi e dai colori caldi, rinascimentale, come un’intenzione colta su una carta porosa o su una tela. E un momento profetico, è tutta la nostra esistenza, tutto il vissuto e il da vivere, tutti i tempi simultanei, senza inizio né fine. Da una certa distanza guardo quel disegno, in cui ci sono anch’io. Sono spettatore e protagonista.
Sono nella penombra, velato dalla foschia di un tendaggio trasparente. So che sono io, ma sono anche questo stesso che osserva dall’esterno. Conosco ciò che sente l’uomo dipinto su quel letto disfatto, in una stanza dalle travi scure e dal soffitto da cattedrale, dove la scena appare come il frammento di un’antica cerimonia. Sono lì con te e anche qui, solo, in un altro tempo della coscienza.
Nel quadro la coppia riposa dopo aver fatto l’amore, la pelle di entrambi luccica, umida. L’uomo ha gli occhi chiusi, una mano sul proprio petto e l’altra sulla coscia di lei, in un’intima complicità. Per me questa visione è ricorrente e immutabile, nulla cambia, è sempre lo stesso sorriso placido dell’uomo, lo stesso languore della donna, le stesse pieghe delle lenzuola e gli stessi angoli bui della stanza, sempre la luce della lampada sfiora i seni e gli zigomi di lei con la stessa angolatura, e sempre lo scialle di seta e i capelli scuri cadono con identica delicatezza.
Ogni volta che penso a te ti vedo così, ci vedo così, fissati per sempre su quella tela, invulnerabili alla corrosione della cattiva memoria. Posso divagarmi a lungo su quella scena, fino a sentire che entro nello spazio del quadro e non sono più colui che osserva, ma l’uomo che giace accanto a quella donna. Allora si spezza la simmetrica quiete del dipinto e sento le nostre voci vicinissime.
“Raccontami una storia,” ti dico.
“Che storia vuoi?”
“Raccontami una storia che non hai mai raccontato a nessuno.”Rolf Carlé.