Lidia Poët è stata la prima avvocata italiana e pioniera per l’emancipazione femminile, resa in questi giorni popolare dalla serie televisiva Netflix, interpretata da Matilda De Angelis, trovate la recensione della serie tv nel post “La legge di Lidia Poët“.
Lidia Poët è stata tra le prime donne a conseguire la laurea in giurisprudenza e ad essere ammessa a esercitare la professione. Ha dedicato la sua vita alla lotta per l’emancipazione femminile, combattendo per i diritti delle persone svantaggiate, soprattutto dalla difesa dei diritti delle donne e dalla promozione della loro parità di opportunità nella società. Inoltre, fu tra le sostenitrici del suffragio universale.
Fino all’inizio del XX secolo in Italia era generalmente considerato impossibile per una donna diventare avvocato. Si credeva infatti che le donne, a causa del loro abbigliamento, della loro instabilità emotiva e della loro posizione sociale subordinata rispetto agli uomini, non avrebbero potuto amministrare la giustizia né svolgere un ruolo che richiedeva credibilità e rigore. Nonostante ciò, Lidia Poët, una giovane torinese, decise di laurearsi in giurisprudenza e di dedicare la sua vita ad una professione fino a quel momento riservata solo agli uomini.
A 140 anni dalla sua nomina e dalla sua vicenda, Lidia Poët continua ad insegnarci l’importanza di lottare per le proprie cause e di comprendere che la vera giustizia va ben oltre le leggi scritte. La sua vita e il suo lavoro rappresentano un’ispirazione per tutti coloro che cercano di superare le barriere sociali e di perseguire la loro passione.
Lidia: Una vita dedicata allo studio e all’istruzione di alto livello
Lidia viene al mondo il 26 agosto 1855 a Perrero, un piccolo villaggio della valle Germanasca, situato in provincia di Torino. È l’ultima di sette figli, nata da genitori valdesi, proprietari terrieri che hanno a cuore l’istruzione dei loro figli. Fin da giovane, Lidia viene incoraggiata dai genitori a studiare e a conseguire un’istruzione di alto livello. A tal fine, lascia la casa di famiglia per trasferirsi da suo fratello Enrico a Pinerolo, dove frequenta la scuola normale.
All’età di 17 anni, Lidia rimane orfana di suo padre, ma grazie al sostegno della madre, continua a perseguire i suoi obiettivi di studio. Mostra un particolare interesse per le materie umanistiche e per le lingue straniere, padroneggiando l’italiano, il francese, il tedesco e l’inglese, oltre ad avere studiato autonomamente il greco e il latino. Poco dopo aver conseguito il diploma di insegnante, Lidia riesce a ottenere anche la maturità classica.
A differenza della maggior parte delle sue coetanee, Lidia decide di continuare gli studi. Nonostante i pregiudizi dell’epoca, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, dove si distingue per le sue eccellenti prestazioni. A ventisei anni, Lidia è una delle prime donne a laurearsi in giurisprudenza, presentando una tesi sulla condizione della donna nella società, in cui tratta anche del diritto di voto. Dopo aver svolto il praticantato a Pinerolo presso lo studio del senatore Cesare Bertea, Lidia supera l’esame di abilitazione all’avvocatura. Nel 1883, la sua richiesta di iscrizione all’albo viene approvata dall’Ordine degli avvocati di Torino, con otto voti a favore e solo quattro contrari, rendendola così la prima avvocata italiana, all’età di ventotto anni.
La vicenda dell’avvocata Lidia, viene seguita dalla stampa, tra cui anche la rivista femminile La donna, nel suo percorso professionale. Tuttavia, contemporaneamente, si diffondono testi e articoli contrari alla sua attività forense: infatti, il procuratore generale della corte d’appello di Torino impugna la sua nomina e ne chiede l’annullamento. Le motivazioni addotte risalgono a un pronunciamento dell’11 novembre 1883, in cui si sostiene che l’avvocatura sia un’attività “esercitabile soltanto da maschi”, mentre le donne “non dovrebbero immischiarsi”, in quanto sarebbe “disdicevole e brutto” vederle partecipare alle udienze pubbliche e trattare argomenti che “non si addicono alle donne oneste”.
Inoltre, viene menzionata l’incompatibilità estetica tra la toga e gli abbigliamenti considerati “strani e bizzarri” delle donne, che potrebbero distrarre i presenti dalle questioni in discussione. La dissertazione si conclude con una nota di avvertimento, invitando le donne a non considerare un progresso il competere con gli uomini e diventare loro “uguali anziché compagne”. La questione viene portata alla Cassazione, che accoglie le istanze della corte d’appello, basandosi sul principio della infrimitas sexus: di conseguenza, Lidia non potrà esercitare la professione forense nelle aule di giustizia, in quanto donna, categoria cui la legge precludeva tale possibilità.
Teorie contrarie all’emancipazione femminile nella professione legale
Negli anni successivi, il dibattito si infiammò e uscì dalle aule forensi per raggiungere le piazze e i circoli culturali. Qui si aggiunsero altre teorie contrarie all’emancipazione femminile nella professione legale. La prima di queste teorie si basava su argomenti medici: a causa del ciclo mestruale, si sosteneva che una donna non avrebbe l’oggettività e la serenità necessarie per assistere adeguatamente i propri clienti almeno una volta al mese.
Il secondo impedimento era di natura giuridica: secondo quanto stabilito dal Codice della famiglia istituito nel 1865, le donne non potevano essere ammesse ai pubblici uffici, né godere di autonomia economica. Lo stesso valeva per la possibilità di spostarsi in autonomia e frequentare luoghi normalmente preclusi al genere femminile. Questi fattori avrebbero pesantemente condizionato una donna avvocato, compromettendone l’affidabilità ed efficacia professionale e danneggiando così i suoi clienti.
Ci si potrebbe chiedere perché consentire a una donna di conseguire una laurea se poi il lavoro per cui si è studiato non potrà essere svolto. Tuttavia, la motivazione è semplice: l’istruzione era permessa, ma solo per fornire una cultura generale utile per trovare un marito e garantirsi una buona posizione sociale. Sebbene l’essere istruite fosse considerato un valore aggiunto per contrarre un buon matrimonio, non lo era per esercitare una professione. Nonostante il dibattito acceso sull’argomento, Lidia non si lascia scoraggiare e continua a collaborare nello studio legale del fratello, nonostante non abbia la facoltà di partecipare alle udienze in tribunale o firmare atti processuali.
L’attivismo di Lidia nel movimento femminista italiano del XX secolo
All’inizio del XX secolo, le prime mobilitazioni femminili prendono vita e Lidia partecipa attivamente al primo Congresso delle donne italiane tenutosi a Roma nel 1908. In tale occasione, promuove l’inclusione nel programma di temi come il suffragio universale, l’emigrazione e l’istruzione. Riguardo a quest’ultimo tema, si farà portavoce al Consiglio Internazionale delle donne, organizzato nel 1914 sempre nella capitale. Lidia si concentra sull’assistenza morale e legale ai minori in Italia, giudicando inappropriati i sistemi coercitivi e punitivi come prigioni e riformatori. L’avvocata ritiene che l’educazione scolastica sia uno strumento per garantire un futuro ai giovani e un adeguato sostegno alle famiglie italiane.
Oltre alla promozione dei diritti dei detenuti, Lidia si dedica anche alla difesa dei minori, sostenendo la necessità di proteggerli. Nel 1883 partecipa al primo Congresso Penitenziario internazionale, dove sostiene l’importanza della riabilitazione rispetto ad approcci punitivi inefficaci. Lidia crede che l’educazione e il lavoro siano fondamentali per il riscatto sociale e morale dei carcerati, proponendo corsi e iniziative di formazione per restituire loro dignità e farli entrare in contatto con la realtà al di fuori delle mura carcerarie. Grazie al suo impegno, Lidia diventa una figura di riferimento a livello internazionale nella promozione di un moderno sistema penitenziario.
In Italia e in Europa, la Prima guerra mondiale ha rappresentato un evento che ha messo profondamente in discussione le fondamenta sociali dell’epoca. La partenza degli uomini per il fronte ha lasciato alle donne la responsabilità di badare agli affari e alla famiglia. Lidia ha vissuto in prima persona questo cambiamento e ha deciso di partecipare attivamente alla guerra offrendosi volontaria tra le fila della Croce Rossa. Il suo impegno è stato premiato con una medaglia al termine del conflitto.
Questo evento ha iniziato ad influenzare le norme sociali dell’epoca. Nel 1919, è stata avanzata una proposta di legge per regolarizzare il diritto al lavoro delle donne, che di fatto era diventato appannaggio naturale delle donne. Il 17 luglio dello stesso anno, la legge numero 1176 “norme circa la capacità giuridica della donna” è stata approvata e ha introdotto il diritto delle donne a tutti gli impieghi pubblici, esclusi quelli legati alla magistratura, alla politica o all’ambito militare.
Anche se i movimenti femministi dei primi anni del XX secolo avrebbero contestato una legge del genere, la situazione postbellica richiedeva un’azione decisa per ripristinare l’ordine in un mondo sconvolto dalla guerra. Tuttavia, la legge da sola non avrebbe potuto garantire la tanto agognata parità di genere. Nonostante ciò, le donne avevano acquisito una prima effettiva emancipazione diventando ormai indispensabili al benessere della famiglia, ma ancora non potevano raggiungere posizioni di rilievo nella società.
Nonostante queste difficoltà, Lidia riuscì a vincere la propria battaglia e iscriversi all’Albo degli avvocati di Torino. Decisa a servire gli altri, Lidia non si sposò e non ebbe figli. Dopo una vita dedicata al servizio degli altri, morì il 25 febbraio 1949 a Diano Marina, dove trascorse gli ultimi anni. Fu sepolta a Perrero, nella valle che le diede le origini. Sulla sua tomba nel cimitero locale dedicato a San Martino, l’epigrafe la commemorava come “prima avvocatessa d’Italia”, ricordando l’esempio che ha saputo dare alle donne del suo tempo aprendo loro la strada verso una parità di genere ancora lontana ma forse finalmente possibile.
Tre libri che parlano della vita di Lidia Poet
Lidia Poët. Vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile di Cristina Ricci.
Una laurea in Giurisprudenza, il praticantato e l’iscrizione all’Albo. Torino, 1883: Lidia Poët si vede negata la possibilità di praticare la professione forense in quanto donna. La sua storia, invece di finire, inizia qui. Per tutta la vita impiega le sue competenze ed energie per sostenere gli ideali in cui crede: partecipa a congressi penitenziari internazionali, interviene a congressi femministi, è presidente del Comitato pro voto donne, si occupa di assistenza ai minori e ai profughi di guerra. Viaggia in tutta Europa e il suo nome risuona nei salotti parigini, è stimata a tal punto che il presidente francese Félix Faure le conferisce l’ambìto titolo d’Officier d’Académie. Questo libro, frutto di una minuziosa ricerca, riporta alla luce la storia di una figura fondamentale per l’emancipazione femminile. Trovate altre notizie sul sito www.lidiapoet.it
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Lidia Poët. Una donna moderna. Dalla toga negata al cammino femminile nelle professioni giuridiche di Clara Bounous.
“Lidia Poët. Una donna moderna” è un dettagliato saggio dedicato alla condizione femminile nell’ambito delle professioni forensi. Parte dalla storia e dalla significativa esperienza di Lidia Poët, la prima donna laureata in Giurisprudenza e iscritta all’Albo degli Avvocati, per giungere poi al contesto italiano e in particolare all’attuale realtà forense, presa come campione. Muovendosi sul filo della storia, il volume propone dapprima il tortuoso ma risolutivo cammino compiuto da Lidia, poi si evolve in un percorso di analisi che scaturisce in gran parte da un’indagine sul campo e si sviluppa attraverso statistiche e dati condivisi nei vari siti correlati sui temi della Giustizia. La ricerca individua gli ostacoli, le differenze di genere nei vari ruoli e le dinamiche relazionali presenti nelle assemblee rappresentative e nelle aule di tribunale, che si frappongono ancora all’attuazione di una reale e completa parità fra i sessi. Il tutto nel ricordo e nella memoria di Lidia Poët, le cui vicissitudini sono una pietra miliare in materia. ACQUISTA
Lidia Poët. La prima avvocata di Ilaria Iannuzzi.
Il 17 giugno 1881 Lidia Poët, davanti a un’immensa folla plaudente, si laurea in Legge all’Università di Torino. Ha ventisei anni, intelligenza e coraggio da vendere, ed è determinata ad arrivare dove nessun’altra era ancora mai riuscita: diventare avvocata. Due anni dopo termina la pratica, sostiene brillantemente gli esami per l’iscrizione all’Albo, qualcuno nel Consiglio dell’Ordine storce il naso, ma la maggioranza la sostiene. Ce l’ha fatta, è lei la prima avvocata d’Italia. Ma la conquista sarà effimera: il Procuratore del Re impugna l’iscrizione davanti alla Corte d’appello di Torino, che dichiara che le donne non possono esercitare l’avvocatura. Lidia si prepara al ricorso in Cassazione, mentre l’intero Regno attende col fiato sospeso la sentenza definitiva. Tutti i giornali, i giuristi, le femministe, i politici durante quei mesi non parlano d’altro: chi è a favore, chi è contro, chi precorre i tempi e chi rimane ancorato al passato. Ne emerge una polifonia di voci, l’affresco di un’epoca fervida e contraddittoria e, soprattutto, il ritratto di una donna straordinaria, che con la sua tenacia e il suo ingegno ha dischiuso la strada a tutte le colleghe del futuro. ACQUISTA