La recente serie di Netflix intitolata “La legge di Lidia Poët”, rilasciata il 15 febbraio, racconta in forma romanzata la vita di Lidia Poët, la prima donna ad essere stata accettata nell’Ordine degli Avvocati in Italia. La produzione, realizzata da Groenlandia, si concentra sulla storia di emancipazione di questa donna che viveva alla fine del diciannovesimo secolo e che cercava di far valere il suo diritto di esercitare la professione legale e di essere autonoma nelle sue scelte. La serie, che presenta un formato ibrido tra crime e investigazione, segue la trama principale della protagonista ma presenta anche una serie di casi giudiziari da risolvere in parallelo.
La legge di Lidia Poët: le critiche, che condivido
La serie è diventata oggetto di un acceso dibattito, con numerose critiche che si sono susseguite nei giorni successivi. C’è chi ha ritenuto che la serie avesse perso un’occasione per fare meglio, mentre altri hanno invece elogiato la sua realizzazione. Nonostante la serie abbia riscosso un notevole successo di pubblico, diventando addirittura la terza più vista sulla piattaforma, la serie è stata duramente attaccata dalla famiglia stessa di Lidia Poët.
Come accaduto con la serie televisiva “Leonardo” trasmessa su Rai1, anche questa nuova serie è stata promossa come una narrazione accurata della vita del personaggio principale. Tuttavia, in entrambi i casi si è trattato di una pubblicità ingannevole poiché le serie si basano solo in modo vagamente riconducibile alla biografia dei protagonisti, con l’obiettivo di creare un prodotto televisivo coinvolgente e pieno di mistero.
Devo ammettere che ho trovato queste miniserie ben realizzate e piacevoli da guardare, apprezzando la qualità della regia, della fotografia e dei costumi. Tuttavia, non ho apprezzato l’uso del nome e della vita di personaggi reali. Sarebbe stato preferibile se i protagonisti fossero stati completamente di fantasia, aggiungendo allo stesso tempo elementi storici e legali per arricchire la trama.
Non ritengo giusto manipolare la biografia di un personaggio storico e introdurre eventi inventati, con l’ulteriore aggravante di una pubblicità ingannevole che suggerisce che la storia raccontata sia basata su fatti realmente accaduti. Anche cambiando i nomi, avrebbero potuto comunque affermare che la storia era ispirata a questi personaggi storici importanti.
Cristina Ricci, autrice di Lidia Poët. Vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile (ed. Graphot, 2022), afferma che “L’unica parte storica è la lettura della sentenza della Cassazione del 1884 che la radiò dall’albo perché con la sua bellezza avrebbe potuto distogliere il giudice dall’applicazione corretta della legge. Il resto è una fiction”.
La legge di Lidia Poët: trama e protagonisti
La legge di Lidia Poët è una serie tv italiana creata per Netflix da Guido Iuculano e Davide Orsini, con Matilda De Angelis che indossa i panni della protagonista Lidia Poët, la prima donna in Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati. La serie di compone di sei episodi.
Nella Torino del 1800, una sentenza della locale Corte d’Appello dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’Albo degli Avvocati, impedendole così di esercitare la professione solo perché donna. Senza un quattrino ma piena di orgoglio, Lidia trova un lavoro presso lo studio legale del fratello Enrico (Pier Luigi Pasino), mentre prepara il ricorso per ribaltare le conclusioni della Corte. Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Nel frattempo, Jacopo (Eduardo Scarpetta), un misterioso giornalista e il cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti di una Torino magniloquente. Il resto del cast include Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill nei ruoli di Teresa Barberis e Marianna Poët, rispettivamente la moglie e la figlia di Enrico, e Dario Aita in quello di Andrea Caracciolo.
La legge di Lidia Poët: per me è un “SI” deciso
La vicenda si svolge a Torino nel 1883, ha come protagonista Lidia, una donna avvocato e detective improvvisata. In ogni episodio, Lidia deve risolvere un caso, ma ha difficoltà ad essere riconosciuta come avvocato nei tribunali e persino a casa sua. Suo fratello Enrico, che è un avvocato di successo con uno studio legale proprio, non appoggia la sua scelta di carriera e preferirebbe che si conformasse alle aspettative della società come moglie obbediente e sottomessa, come sua moglie Teresa, che condivide il punto di vista di suo marito e si oppone al desiderio di indipendenza di Lidia. Le due donne si scontrano spesso, soprattutto quando si tratta di gestire Marianna, la ribelle figlia di Enrico e Teresa che ammira molto la zia Lidia.
In casa di Enrico e Teresa vive anche il fratello di Lidia, Jacopo Baberis, un giornalista della Gazzetta Piemontese che pubblica un articolo duro contro Lidia e le sue aspirazioni. Inizialmente, i due sono in conflitto, ma poi finiscono per unirsi nelle indagini. L’unico uomo che sostiene Lidia è il commerciante Andrea, suo miglior amico e amante occasionale. Una storia familiare, un intreccio amoroso, piccoli misteri da risolvere, ma soprattutto un desiderio di affermazione, autodeterminazione e rivalsa, volti all’ottenimento di diritti per sé e per tutte le donne.
“Se Dio ti avesse voluto avvocato non ti avrebbe fatto donna”
Come ho già detto questa serie non è una biografia e non si avvicina neppure alla vera storia di Lidia Poet, che troverete nel post “Lidia Poët. La prima avvocata italiana”, pubblicato qualche settimana fa. Però nel complesso mi è piaciuta molto. Lo stile è moderno e anacronistico, mi ha ricordato un po’ il genere narrativo steampunk, un po’ Enola Holmes. Ho amato la fotografia, i costumi e la scenografia, mi ha appassionata e tenuta incollata alla tv senza appesantire, ho apprezzato molto anche la recitazione di Matilda De Angelis e mi ha piacevolmente sorpresa quella di Pier Luigi Pasino, che interpreta il fratello Enrico. Non sarà la serie dell’anno, ma l’importante è che mi abbia divertito.
Il finale aperto ci lascia pensare ad una seconda stagione, che al momento non è ancora confermata.
Questa serie, secondo me, dimostra che la produzione italiana può creare una narrazione vincente per il mercato globale senza dover ricorrere a cliché come la mafia e la criminalità, rappresenta un futuro di speranza per un contenuto di alta qualità e originalità delle serie italiane.