Vento da est è un romanzo di Stefania Bertola, pubblicato il 6 giugno 2023, da Einaudi. Brigida, filosofa disoccupata, accetta di badare alle piante e ai gatti di uno sconosciuto. Ma l’appartamento è pieno di personaggi affascinanti, segreti e una lampada Tiffany preziosa. Brigida farà di tutto per rimediare ai pasticci e forse trovare l’amore.
“Niente, mio cugino Damiano deve stare tre mesi in Estonia, e non vuole lasciare casa sua vuota. Ha un terrazzo con molte piante, un gatto o due, e gli serve qualcuno che si piazzi lí e tenga tutto a posto, che però non fumi, non rubi e non organizzi orge. Ho pensato subito a te.
Mi risento lievemente. Okay, non fumo e non rubo, ma cosa le fa pensare che non potrei organizzare qualche orgia?”
Trama del libro “Vento da est”
Brigida è laureata in Filosofia, quindi stabilmente disoccupata. Quando le chiedono di occuparsi per qualche mese della casa di Damiano Galanti, raffinato designer di hotel nelle Repubbliche Baltiche, a Brigida sembra di aver trovato il lavoretto ideale.
E lei è una che di lavoretti se ne intende, perché dopo la laurea in Filosofia ne ha fatti parecchi: runner per i set cinematografici, barista, dog-sitter, baby-sitter, badante part-time di un’anziana signora con la fissa per la moda, donna delle pulizie in un’impresa chiamata Bolle di Sapone. Per una come Brigida, abituata a prendere quello che viene senza pensare troppo al domani, improvvisarsi casa-sitter è un gioco da ragazzi.
Ma all’ultimo piano di quell’elegante palazzo del centro c’è un viavai continuo di uomini affascinanti, donne dai mille segreti, zie prepotenti. E fin dall’inizio, le cose si rivelano più difficili del previsto: l’appartamento in cui si trasferisce sembra una bella adescatrice pronta a sedurre chiunque si avvicini.
Agenti immobiliari con cui basta distrarsi un attimo e si finisce a letto, attrici senza scrupoli che vogliono organizzare spettacoli privati in salotto, parenti ricattatori, bambini parcheggiati lí fino a data da destinarsi.
E poi ci sono due gatti che non devono scappare per nessuna ragione al mondo, un terrazzo da innaffiare e far fiorire, le improvvisate dell’ex moglie e della Fidanzata Complicata del padrone di casa, e soprattutto bisogna stare attentissimi a una preziosa lampada Tiffany dal valore inestimabile in bella vista sul comodino che può rompersi solo a guardarla.
“Ecco, mi toccherà ricomprare un abat-jour, penso, scocciata ma non disperata. È una di quelle lampade colorate, tipo Tiffany, un modello che mi piace un sacco, ne abbiamo anche noi una in cucina, con il paralume grande della luce centrale, e ogni tanto le guardo su Amazon perché prima o poi vorrei prendermene una per casa mia. Certo, quelle belle costano, piú di cento euro… “
Ostinata e leggera come una Mary Poppins dei nostri tempi, Brigida farà di tutto per rimediare a mille pasticci, quelli dell’appartamento, dei gatti e del cuore.
Brigida si barcamena come può, fa cautamente amicizia con le piante e nei ritagli di tempo potrebbe anche trovare l’amore, se solo non fosse così impegnata a risolvere una montagna di guai.
“«Casa mia», forse è una definizione un po’ abbondante. È la mansarda dei miei, ma siccome ha un ingresso indipendente, un angolo cottura e un bagno, mi ci sono trasferita in pompa magna subito dopo la laurea, fingendo di andare a stare per conto mio. In realtà ho continuato a scendere a cena almeno tre volte alla settimana, a lavare la mia roba nella lavatrice di mia mamma e a usare il loro wi-fi, ma avevo raggiunto il mio vero scopo, cioè portarmi i fidanzati a casa come e quando volevo.”
Le poche recensioni sono tutte positive per questo romanzo di Stefania Bertola, ambientato in un quartiere di Torino e tutto concentrato in un palazzo.
Incipit del libro “Vento da est”
1.
Il QuadrilateroMi chiamo Brigida, ho ventotto anni e faccio lavoretti. Sono laureata in Filosofia, purtroppo. Ho commesso questo errore colossale dieci anni fa, e ancora ne pago le conseguenze. Mi sono iscritta a Filosofia per uno slancio altruistico nei confronti della materia. Gli studi liceali mi avevano lasciata con l’impressione che per la filosofia i tempi belli fossero passati da un pezzo, che fosse una di quelle discipline che vivacchiano, illuminate solo dal riverbero della passata gloria.
Mi sembrava che le idee proprio da sballo, quelle che avevano cambiato l’umanità, le avessero già avute tutte gente come Platone o Kant, mentre di recente i filosofi si fossero un po’ imballati, concentrandosi sui sentimenti e sulla coppia: in pratica, una versione con parole piú difficili della posta del cuore. La filosofia meritava di meglio e di piú, pensavo. Un pensiero molto piú forte, o ancora piú debole. Cosí mi sono detta: Okay Brigida, iscriviti e vedi un po’ di rivitalizzare il campo. Trova una spiegazione nuova per il mistero dell’esistenza.
Ma niente.
Non ho avuto una sola idea dotata di un certo spessore teorico. Ho studiato, ho dato gli esami, mi sono laureata con una tesi su Alexandre Koyré, e per tutto il tempo il mio pensiero filosofico è rimasto inerte. Intanto, attorno a me c’era il coro greco che intonava: «Non troverai mai lavoro, non troverai mai lavoro, la laurea in Filosofia non serve a niente».Composizione del coro greco:
Mia mamma, Alberta, agente immobiliare. Mio papà, Giampiero, titolare di un negozio di scarpe. Mio fratello, Lorenzo, studente di Economia e Management. Nonna Zoe, pensionata ex impiegata all’anagrafe. Nonna Teresa, casalinga, zia Luigina, e mia cugina Rossella. Questo era diciamo il bordone fisso, ma si aggiungevano di volta in volta altri membri della famiglia, tipo i nonni maschi (che però se potevano cercavano di stare fuori dalle beghe), i miei amici, gli amici dei miei, un paio di fidanzati. Avevano tutti perfettamente ragione.
Una sola voce si staccava da questo coro e mi incoraggiava a esplorare i sentieri della mente in cerca di un pensiero forte: quella di mia zia Rosalba, l’attrice. Per forza: in una famiglia cosí ben squadrata, io ero l’unica che uscisse un po’ dagli schemi, quegli stessi schemi da cui lei era scappata a quindici anni.
Ma lasciamo perdere zia Rosalba e torniamo alla mia carriera di precaria, iniziata cinque anni fa, quando ho capito che l’alternativa erano le supplenze alle superiori se mai fossero arrivate, oppure lavori non qualificati.
E vai con i lavori non qualificati!
Che hanno di buono questo: uno tira l’altro. Cioè, metti che cominci come dog-sitter e poi la signora chiede se per caso faresti anche le pulizie e ti presenta a sua cugina che ha un bar e fai la barista per due mesi solo che finisco tutte le notti alle quattro e allora mollo, ma intanto ho conosciuto un tipo che lavora per una casa di produzione e visto che ho la patente e guido bene mi sparo un po’ di mesi come runner durante le riprese di un film, cioè vado a prendere gli attori e le attrici e li porto sul set, e poi un’amica del regista, un’avvocata, mi chiede se posso fare da baby-sitter ai suoi figli tutti i pomeriggi dalle due e mezza alle sette e mezza perché la sua è tornata in Irlanda. E lí è stata la svolta: su «Baby-sitter» ci ho messo un punto fermo. I bambini mi piacciono piú dei cani.
Anche se per quei bambini in particolare, i figli dell’avvocata, non andavo matta. Femminuccia sette anni isterica, maschietto cinque anni già prepotente e rompicoglioni. Tocca dire, però, che i genitori si sono messi con grande impegno ad allevarli male fin dalla culla: la madre stravede per il maschietto semplicemente perché assomiglia al nonno, cioè a suo padre, e lasciamo perdere Edipo che se no non ne usciamo, e lo loda per qualsiasi cagata faccia, tipo la settimana scorsa che mi ha detto: – Guarda, Brigida, che meraviglioso disegno ha fatto Ubaldo! – e mi mostra una riga blu frastagliata che attraversa un foglio.
– Uhm… sí… bello… cosa sarebbe? – chiedo cercando di mettere ammirazione nella domanda.
– Un orso polare che attacca una renna di Babbo Natale! Fantastico no? Cosí vero!
Se Ubaldo avesse diciotto mesi come disegno non sarebbe male, ma ormai ha cinque anni. A cinque anni puoi affrescare la Cappella Sistina, tipo.
Magdalena invece, la bambina, non fa che strillare e piangere, piangere e strillare. Quando sta con me, dopo un po’ si rilassa, soprattutto se tiro fuori dalla borsa il mio beauty e le dico: – Forza, fatti bella.
Comunque, un sistema di vita con Ubaldo e Magdalena l’avrei organizzato, se non che dopo due anni d’amore e d’accordo la settimana prossima se ne vanno. Il padre è un politico, è diventato europarlamentare e si trasferiscono tutti a Bruxelles, perché anche l’avvocata ha trovato lavoro lí. E io? Cosa ne sarà di me?– E io? Cosa ne sarà di me? – chiedo a Maria Soave, l’avvocata, mentre la aiuto a mettere negli scatoloni bambole e trattori.
Lei si gira trionfante, e sembra esattamente quello che è: una bionda non naturale che va in palestra tre volte alla settimana, e ha saputo scegliere il fondotinta giusto per il suo tipo di pelle. Una donna che ha sempre una soluzione pronta per ogni problema, e se poi la soluzione non risolve, pazienza, lei è già tre isolati piú avanti.
– Ti ho trovato un lavoro fantastico! Aspettavo a dirtelo perché volevo essere sicura, stamattina Damiano mi ha confermato!
– Contratto a tempo indeterminato? – chiedo, senza troppo sperarci.
– Eh? Ma dài! Non scherzare. Tre mesi. Da inizio febbraio a fine aprile, piú o meno. Eh? Mica male. Mille netti al mese.
– Per fare cosa?
– Una sciocchezza! – trilla Maria Soave, e sta per buttare nel sacco nero dell’immondizia una bambola di un materiale tipo ceramica, col cranio scoperchiato.
– Ferma! Quella è Rachele! La preferita di Magda!
Mi guarda incredula. Si tratta di una bambola che le ho dato io. Mia nonna Teresa l’aveva presa coi punti del Pam, un milione di anni fa: attaccavi i bollini sulla tessera e ogni volta che ne completavi una ti davano una bambola venuta dal passato, con vestitini dell’Ottocento e capelli acconciati anticamente su una testolina frangibile. Nonna le aveva collezionate per me, la piú piccola delle sue nipoti: si chiamavano Jessica, Rachele, Laura, Olimpia… e ancora le ho tutte, meno Rachele, che in un giorno di pioggia avevo portato a Magdalena. Lei l’aveva subito nominata sua bambola preferita al mondo, e tale è rimasta anche dopo che Ubaldo l’ha usata per cercare di rompere una noce. Solo un bambino veramente malefico può pensare di spaccare una noce con una bambola di ceramica, ma Ubaldo lo è.
– Questo catorcio? – Maria Soave tiene Rachele per un braccio, e il suo sguardo si perde nell’interno del cranio scoperchiato.
– Ti giuro. Non buttargliela. Quando sarà tutta sola a Bruxelles, avrà bisogno di Rachele. Ma dimmi di questo lavoro.
– Niente, mio cugino Damiano deve stare tre mesi in Estonia, e non vuole lasciare casa sua vuota. Ha un terrazzo con molte piante, un gatto o due, e gli serve qualcuno che si piazzi lí e tenga tutto a posto, che però non fumi, non rubi e non organizzi orge. Ho pensato subito a te.
Mi risento lievemente. Okay, non fumo e non rubo, ma cosa le fa pensare che non potrei organizzare qualche orgia?
– E dov’è questa casa? – le chiedo.
– Da qualche parte nel Quadrilatero… Che dici, il puzzle dei Mostri Sugosi lo porto?
– Buttalo, – è il mio spassionato consiglio.