Il giorno dell’innocenza è un thriller scritto da Michael Connelly, pubblicato in Italia il 14 novembre 2023, da Piemme e tradotto da Alfredo Colitto. E’ il settimo libro con protagonista Mickey Haller, l’avvocato fuori dagli schemi, dal passato difficile alle spalle, che prepara i processi dal sedile posteriore della sua Lincoln, un uomo pieno di difetti e fratellastro del detective Harry Bosch, arrivato ormai alla sua venticinquesima avventura.
Entrambi sono coinvolti in un caso di una condanna frettolosa da parte di un dipartimento di polizia deciso a ottenere una rapida giustizia per la morte di uno dei suoi. Scagionare Lucinda è una sfida quasi impossibile: ma questo non è mai stato, né mai sarà, un problema per loro.
“Il “lavoro nel pagliaio”, come lo chiamava Haller, era una cosa. Trovare l’innocente tra tanti condannati sembrava a Bosch un controllo dovuto su un sistema che, per esperienza, sapeva essere imperfetto. Ma lavorare per la difesa di un imputato per lui era tutta un’altra cosa.”
Trama
“Il giorno dell’innocenza”
Il Corcoran State Prison non è il tipo di carcere da cui si esce con le proprie gambe. Eppure per Jorge Ochoa, sepolto là dentro per un omicidio che non ha commesso, è arrivato quel momento: tra i flash dei fotografi, dopo quattordici anni, eccolo compiere il primo passo da uomo libero. E se è tornato nel regno dei vivi lo deve soltanto a una persona: Mickey Haller, divenuto l’avvocato più famoso di Los Angeles che è riuscito nell’impossibile.
Geniale e rocambolesco avvocato difensore Mickey Haller è tornato, occupandosi dei casi a lungo termine, dove le possibilità di vincere sono una su un milione. Dopo aver fatto uscire di prigione un uomo ingiustamente condannato, è inondato di suppliche da parte di persone incarcerate che affermano di essere innocenti.
Arruola il fratellastro, il detective in pensione della polizia di Los Angeles Harry Bosch, per esaminare le lettere, sapendo che la maggior parte delle affermazioni saranno false.
Bosch tira fuori un ago dal pagliaio: una donna in prigione per aver ucciso il suo ex marito, vice dello sceriffo, ma che continua a dichiararsi innocente. Bosch esamina il caso e vede elementi che non quadrano e un dipartimento dello sceriffo intento a portare rapidamente giustizia per l’omicidio di uno dei suoi.
Ora Haller deve affrontare una dura battaglia in tribunale, un Davide che combatte contro Golia per vendicare il suo cliente. Il percorso sia per l’avvocato che per l’investigatore è irto di pericoli da parte di coloro che non vogliono che il caso venga riaperto e non si fermeranno davanti a nulla pur di impedire al team Haller-Bosch di trovare la verità.
In suo soccorso arriva il fratellastro, l’ex detective Harry Bosch, con l’ingrato compito di scovare, in quella montagna di fogli coperti di grafie incerte ed errori grammaticali, un possibile caso vincente. E quando il detective s’imbatte nella lettera di Lucinda Sanz, in carcere per l’omicidio dell’ex marito poliziotto, qualcosa gli dice che è proprio il caso che cercava.
“Lei consegnò il fascicolo a Bosch, il quale l’aprì e cercò di non ascoltare la conversazione sul sedile posteriore, in cui Haller avrebbe esaminato con Lorna l’agenda dei suoi incontri in tribunale e altre questioni relative al caso che stava seguendo. Bosch cominciò dal rapporto che ricostruiva i fatti.”
Incipit
“Il giorno dell’innocenza”
La famiglia era riunita nel posto riservato ai visitatori. La madre e il fratello di Jorge Ochoa e io. La signora Ochoa era vestita come per andare in chiesa, un abito giallo pallido con polsini e colletto bianchi, il rosario avvolto intorno alle mani. Oscar Ochoa aveva il classico aspetto da cholo: jeans larghi e a vita bassa col risvolto, scarpe Dr. Martens nere, portafoglio con catena, maglietta bianca e Ray-Ban neri. Il collo era ricoperto di tatuaggi blu, con il suo soprannome tra i Vineland Boyz, “Double O”, in bella mostra.
E io, nel mio abito italiano, in prima fila davanti alle telecamere, l’aria solenne di chi rappresenta la legge.
Il sole stava calando e attraversava come un taglio la recinzione esterna della prigione, alta sei metri, illuminandoci tutti con i chiaroscuri di un dipinto di Caravaggio. Alzai lo sguardo verso la torre di guardia e attraverso il vetro fumé mi sembrò di scorgere le sagome di uomini armati di lunghi fucili.
Era un momento da ricordare. Il Corcoran non era un carcere da cui gli uomini uscivano spesso con le proprie gambe, ma una struttura per ergastolani che non avrebbero mai avuto la possibilità di chiedere la libertà vigilata. Si entrava, ma non si usciva più. Era lì che Charlie Manson era morto di vecchiaia. Ma molti detenuti non arrivavano alla vecchiaia. Gli omicidi al suo interno erano comuni. Jorge Ochoa si trovava a due porte d’acciaio di distanza dalla cella dove un detenuto era stato decapitato e smembrato, qualche anno prima. Il suo compagno di cella, dichiaratamente satanista, aveva poi infilato le orecchie e le dita su una cordicella, per farne una collana. Quello era il Corcoran State Prison.
Ma in qualche modo Jorge Ochoa era sopravvissuto quattordici anni lì dentro, per un omicidio che non aveva commesso. E adesso era arrivato il suo momento. La condanna all’ergastolo era stata annullata, dopo che il tribunale aveva stabilito la sua innocenza. Si stava preparando a risorgere, a tornare nella terra dei vivi. Eravamo venuti da Los Angeles con la mia Lincoln, seguiti da due furgoni dei media, per accoglierlo al cancello.
Alle 17, una serie di squilli riecheggiarono nella prigione, attirando la nostra attenzione. I cameramen dei due notiziari di Los Angeles si issarono l’attrezzatura sulle spalle, mentre i reporter preparavano i microfoni e si controllavano i capelli.
Una porta si aprì nella guardiola ai piedi della torre e ne uscì una guardia in uniforme. E, subito dietro, Jorge Ochoa.
«Dios mío» esclamò la signora Ochoa quando vide suo figlio. «Dios mío.»
Era un momento che credeva non sarebbe mai arrivato. Non lo credeva nessuno. Finché io non avevo accettato il caso.
La guardia aprì un cancello nella recinzione e Jorge poté attraversarlo. Notai che i vestiti che gli avevo comprato per il suo rilascio gli stavano a pennello. Polo nera e pantaloni chino marrone chiaro, Nike bianche. Non volevo che le telecamere lo associassero al fratello minore. Stavamo preparando una causa per ingiusta condanna, e non era mai troppo presto per far arrivare un messaggio ai potenziali giurati della contea di Los Angeles.
Jorge si diresse verso di noi camminando, e all’ultimo momento si mise a correre. Si chinò, abbracciò la madre, sollevandola e poi riportandola delicatamente a terra. Si tennero stretti per ben tre minuti, mentre le telecamere riprendevano da ogni angolazione le loro lacrime. Poi fu il momento di Double O: abbracci e virili pacche sulla schiena.
E infine arrivò il mio turno. Gli tesi la mano, ma Jorge mi strinse in un abbraccio.
«Signor Haller, non so cosa dire. Grazie.»
«Mi chiami Mickey.»
«Mi ha salvato, Mickey.»
«Bentornato nel mondo.»
Alle sue spalle, vidi le telecamere che riprendevano il nostro abbraccio. Ma in quel momento improvvisamente non m’importava più nulla di quel circo mediatico. Sentii che il vuoto che mi portavo dentro da tempo cominciava a chiudersi. Avevo resuscitato quell’uomo. E, così facendo, avevo provato una soddisfazione mai sperimentata prima, nel lavoro o nella vita.PARTE PRIMA
MARZO IL PAGLIAIO
1
Bosch aveva la lettera appoggiata sul volante. Notò che la stampa era leggibile e i margini chiari. Era in inglese, ma non in un inglese perfetto. C’erano errori di ortografia e alcune parole erano usate male. Non sono stata io e vorrei asummerla per ribilitarmi.
Ma fu l’ultima riga di quel paragrafo ad attirare la sua attenzione. L’avocatto mi disse che dovevo esprimermi colpevole, altrimenti mi darebbero l’ergastolo per aver ucciso un poliziotto.
Bosch girò la pagina per vedere se c’era qualcosa scritto sul retro. C’era un numero impresso in alto, il che significava che qualcuno dell’unità di intelligence di Chino aveva letto quella lettera prima di approvarla e spedirla.
Si schiarì la gola, ma con prudenza. Era già secca a causa dell’ultimo trattamento e non voleva peggiorare la situazione. Rilesse la lettera. Lui non mi piaceva, ma era il padre di mio figlio, non penserei mai di ucciderlo. È una menzogna.
Esitò, indeciso se mettere la lettera nella pila delle possibilità o in quella degli scarti. Prima che riuscisse a decidere, la portiera del passeggero si aprì e Haller salì a bordo, dopo aver preso la pila di lettere ancora non lette dal sedile e averle gettate sul cruscotto.
«Non hai ricevuto il mio messaggio?» chiese.
«Mi dispiace, non l’ho sentito» rispose Bosch.
Appoggiò la lettera sul cruscotto e mise in moto la Lincoln.
«Dove andiamo?»
«Al tribunale dell’aeroporto» disse Haller. «E sono in ritardo. Speravo che mi venissi a prendere all’ingresso.»
«Scusami.»
«Sì, be’, dillo al giudice, se arrivo in ritardo per l’udienza.»
Bosch ingranò la marcia e si allontanò dal marciapiede.