4321 di Paul Auster è un romanzo corposo, pubblicato nel 2017 da Einaudi, tradotto da Cristiana Mennella. A volte per raccontare una vita non basta una sola storia. Questo è il romanzo di tutte le vite di Archie Ferguson, quella che ha avuto e quelle che avrebbe potuto avere.
“Sto dicendo che non saprai mai se hai fatto la scelta sbagliata. Avresti bisogno di conoscere tutti i fatti in anticipo, e l’unico modo per disporre di tutti i fatti è essere in due posti nello stesso momento, ma è impossibile.”
Trama del libro “4321”
Il 3 marzo 1947, a Newark, nasce il primo e unico figlio di Rose e Stanley: Archie Ferguson. Da questo punto si dipanano quattro sentieri, le quattro vite possibili, eppure reali, di Archie. Campione dello sport o inquieto giornalista, attivista o scrittore vagabondo, le sue traiettorie sono diverse.
Cosa sarebbe stato della nostra vita se invece di quella scelta ne avessimo fatta un’altra? Che persone saremmo oggi se quel giorno non avessimo perso il treno, se avessimo risposto al saluto di quella ragazza, se ci fossimo iscritti a quell’altra scuola, se…
Ogni vita nasconde, e protegge, dentro di sé tutte le altre che non si sono realizzate, che sono rimaste solo potenziali. E cosí ogni individuo conserva al suo interno, come clandestini su una nave di notte, le ombre di tutte le altre persone che sarebbe potuto diventare.
“Sí, tutto era possibile, le cose andavano in un modo ma ciò non toglieva che potessero andare in un altro. Tutto poteva essere diverso.”
La letteratura, e il romanzo in particolare, ha da sempre esplorato la «vita virtuale»: non la vita dei computer, ma i destini alternativi a quelli che il caso o la storia hanno deciso, quasi che attraverso la lettura si riesca a fare esperienza di esistenze alternative.
Fin dalla nascita Archie imbocca quattro sentieri diversi che porteranno a vite diverse e singolarmente simili, con elementi che ritornano ogni volta in una veste diversa: tutti gli Archie, ad esempio, subiranno l’incantesimo della splendida Amy. Ma c’è molto altro in 4 3 2 1: c’è la la storia e c’è tutta l’opera di Paul Auster, come un grande bilancio della maturità, e ci sono tutti i maestri che l’hanno ispirato, c’è il fato e la fatalità, c’è la morte e il desiderio.
“la sensazione costante che i bivi e le parallele delle strade prese e non prese fossero tutti percorsi dalle stesse persone nello stesso momento, le persone visibili e le persone ombra, che il mondo effettivo fosse solo una piccola parte di mondo, poiché la realtà consisteva anche in quello che sarebbe potuto succedere ma non era successo, che una strada non fosse né meglio né peggio di un’altra, ma il tormento di vivere in un solo corpo stava nel fatto che dovevi essere sempre su una strada soltanto, anche se avresti potuto essere su un’altra, in viaggio verso un posto completamente diverso.”
Recensione
Auster espone le quattro potenziali esistenze di Archie in simultanea, trattandole quasi come quattro tomi distinti in un unico libro. La narrazione prende avvio con il racconto dell’arrivo in America di colui destinato a creare la famiglia Ferguson. Successivamente, si dipana attraverso la storia della crescita di suo figlio Stanley, il suo incontro con Rose Adler e la venuta al mondo di quello che diventerà il loro unico figlio, Archie. E’ questa è la parte che resta ferma, mentre gli altri capitoli si dividono per fasi di crescita del protagonista seguendo la successione degli eventi nel corso di ogni versione della sua vita, che sono quattro.
La struttura del libro è complicata e sinceramente mi ha stancata, richiede un notevole sforzo per non perdere il filo. Avevo iniziato il libro leggendolo secondo la proposta dell’autore, con le fasi della vita del protagonista che si susseguono, ma dopo tre lunghissimi capitoli ho provato un senso di smarrimento, non capivo più cosa stavo leggendo, così, dopo averlo abbandonato per tutta l’estate, l’ho ripreso leggendo una vita alla volta, questo ha facilitato la lettura, ma ho dovuto fare i conti con la memoria che mi ha costretto a fare avanti e indietro tra le pagine cercando di sopperire alla confusione che si è spesso impossessata di me, ho faticato a ricordare a quale Ferguson fosse accaduto cosa e perché.
I personaggi sono molti, alcuni sono presenti sono in un’unica vita di Fergurson, altri invece li ritroviamo in tutte le versioni della sua vita. Il protagonista è alla ricerca di un senso della propria identità, ma anche di un’identità collettiva, storica. E noi siamo lì, lo abbiamo visto nascere, crescere, sbagliare e ci si affeziona ad Archie.
Il libro quindi risulta complesso, ricco e disordinato, non ho amato il capitoli lunghissimi e la struttura, ma ho apprezzato molto la scrittura, diretta e acuta, capace di mescolare stili letterari. Ho amato molto anche il contesto storico e la grande importanza che gli è stata dedicata. Ci catapulta in un periodo storico tanto mitizzato da film e libri, quello che va dal boom economico ai movimenti studenteschi, agli hippie: la guerra fredda, l’ascesa e l’assassinio di JFK, la leva per il Vietnam, Martin Luther King, gli scontri razziali, il massacro di My Lai, la sparatoria della Kent State, insomma veniamo immersi nei tumulti del ’68.
Un altro punto a favore è la numerosa serie di riferimenti letterari, scrittori preferiti e anche brani di opere, che arricchisce sempre il lettore, almeno per me è così. Il finale poi è un’altra piacevole sorpresa e chiude perfettamente e coerentemente la storia. 939 pagine, un po’ di fatica, ma ben spesa.
Spesso i nostri “se” e “ma”, che sopraggiungono soprattutto nei momenti difficili della nostra vita, non calcolano quasi mai che magari sarebbe anche potuto andare peggio.
Citazioni preferite
“Il mondo è solido per un periodo, poi una mattina esce il sole e comincia a sciogliersi.”
“Tu non vuoi cambiare il mondo, Archie, tu vuoi capirlo per trovare il modo di riuscire a viverci”
“Il fascino dei giornali era del tutto diverso dal fascino dei libri. I libri erano solidi e permanenti, i giornali fragili ed effimeri, prodotti usa e getta che venivano buttati via non appena erano stati letti, per essere sostituiti la mattina dopo, ogni mattina un giornale fresco per il nuovo giorno. I libri procedevano dall’inizio alla fine in linea retta, mentre i giornali erano sempre in vari posti contemporaneamente, un guazzabuglio di simultaneità e contraddizione, storie multiple che convivevano sulla stessa pagina, ognuna specchio di una faccia diversa del mondo, ognuna espressione di un’idea o di un fatto completamente slegato da quello accanto, una guerra a destra, una corsa coi sacchi a sinistra, un edificio in fiamme in alto, un raduno di girl scout in basso, cose grandi e cose piccole mescolate fra loro, tragedie a pagina 1 e inezie a pagina 4, allagamenti invernali e indagini della polizia, scoperte scientifiche e ricette per dolci, morti e nascite, consigli ai cuori infranti e parole crociate, passaggi da touchdown e dibattiti al Congresso, cicloni e sinfonie, scioperi del sindacato e voli transatlantici in mongolfiera, il giornale del mattino contava inevitabilmente ciascuno di questi fatti tra le sue colonne di inchiostro nero sbaffato, e ogni mattina Ferguson esultava davanti a quel calderone, perché il mondo era cosí, secondo lui, ribolliva come un calderone, con dentro milioni di cose diverse che succedevano nello stesso momento.”
“Ferguson si era sempre sentito dire da tutti che la vita somigliava a un libro, una storia che cominciava a pagina 1 e andava avanti finché l’eroe non moriva a pagina 204 o 926, ma ora che il futuro immaginato per se stesso stava cambiando, stava cambiando anche la sua interpretazione del tempo. Il tempo, si rese conto, andava sia avanti sia indietro, e siccome nei libri le storie potevano solo andare avanti, la metafora del libro non stava in piedi. Al limite, la vita era piú simile alla struttura di un rotocalco, con i fatti salienti, come per esempio lo scoppio di una guerra o una strage di malavitosi in prima pagina, e le notizie meno importanti nelle pagine successive, ma anche l’ultima pagina conteneva un pezzo forte, la notizia principale dal futile ma irresistibile mondo dello sport, e gli articoli di sport si leggevano quasi sempre all’indietro, sfogliando il giornale da sinistra a destra anziché da destra a sinistra come si faceva con gli articoli in prima pagina, procedevi al contrario come se stessi arrancando su un testo in ebraico o in giapponese, e avanzavi imperterrito fino al centro del giornale, e una volta approdato nella terra di nessuno della piccola pubblicità, che non meritava una lettura sempre che non cercassi lezioni di trombone o una bicicletta usata, saltavi quelle pagine finché non finivi nel territorio centrale delle inserzioni cinematografiche, le recensioni teatrali, la rubrica di consigli di Ann Landers e gli editoriali, e a quel punto, se avevi iniziato a leggere dal retro (come Ferguson, il patito di sport, faceva di solito), potevi proseguire dritto fino alla prima pagina. Il tempo si muoveva in due direzioni perché ogni passo nel futuro si portava dietro un ricordo del passato, e anche se non aveva ancora compiuto quindici anni, Ferguson aveva accumulato abbastanza ricordi per sapere che il mondo intorno a lui veniva plasmato di continuo dal suo mondo interiore, cosí come ogni altra persona plasmava con i ricordi la propria esperienza del mondo, e anche se tutte le persone erano collegate dallo spazio comune che occupavano, i loro viaggi nel tempo erano tutti diversi, ragion per cui ognuno viveva in un mondo diverso. La domanda era: Qual era il mondo abitato da Ferguson in quel momento, e in che modo era cambiato quel mondo?”
“La stessa opera veniva percepita in maniera diversa da occhi diversi, cuori diversi, cervelli diversi. Non si trattava piú di essere baciato o preso a cazzotti, ma di essere baciato e preso a cazzotti allo stesso tempo, perché il gioco funzionava cosí, si rese conto Ferguson, e se in futuro voleva continuare a mostrare il suo racconto ad altre persone, doveva prepararsi a prendere i cazzotti con la stessa frequenza con cui veniva baciato, o a prendere dieci cazzotti per ogni bacio, o anche cento cazzotti e zero baci.”
“Fino a quel momento ero il classico babbeo americano. Credevo nel progresso e nella ricerca di un domani migliore. Avevamo sconfitto la poliomelite, no? Poi avremmo sconfitto anche il razzismo.”
Incipit del libro “4321”
1.0
Secondo la leggenda di famiglia, il nonno di Ferguson partí a piedi da Minsk, sua città natale, con cento rubli cuciti nella fodera della giacca, viaggiò a ovest fino ad Amburgo passando per Varsavia e Berlino, comprò il biglietto per una nave chiamata Empress of China che attraversò l’Atlantico in mezzo a violente tempeste invernali ed entrò nel porto di New York il primo giorno del ventesimo secolo. Mentre aspettava di essere interrogato da un funzionario dell’immigrazione a Ellis Island, il nonno di Ferguson attaccò discorso con un altro ebreo russo. Quello gli disse: Scordati il nome Reznikoff. Qui non te ne fai niente. Per la tua nuova vita in America ti serve un nome americano, uno che suona bene in americano. Poiché nel 1900 l’inglese era ancora una lingua straniera per lui, Isaac Reznikoff chiese suggerimento al piú esperto e maturo compatriota. Di’ che ti chiami Rockefeller, fece quello. Cosí vai sul sicuro. Passò un’ora, poi un’altra ora, e quando si accomodò per rispondere alle domande del funzionario, il diciannovenne Reznikoff aveva già dimenticato il nome che gli era stato suggerito da quell’uomo. Nome?, chiese il funzionario. Battendosi la fronte indispettito, lo stanco immigrato se ne uscí in yiddish, Ikh hob fargessen (Non me lo ricordo piú)! E fu cosí che Isaac Reznikoff cominciò la sua nuova vita in America come Ichabod Ferguson.
Questo gli creò parecchie difficoltà, soprattutto all’inizio, ma anche quando non fu piú l’inizio, nulla andò come aveva immaginato nel suo paese d’adozione. È vero che riuscí a trovare moglie poco dopo aver compiuto ventisei anni, ed è anche vero che sua moglie Fanny, nata Grossman, gli partorí tre maschi sani e robusti, ma la vita in America continuò a essere una lotta per il nonno di Ferguson, dal giorno in cui scese dalla nave fino alla notte del 7 marzo 1923, quando andò incontro a una morte precoce e inattesa all’età di quarantadue anni, ucciso a colpi d’arma da fuoco a Chicago, durante una rapina nel magazzino di pelletteria dove lo avevano assunto come metronotte.
Di lui non sopravvive nessuna foto, ma a detta di tutti era un omone con la schiena forte e le mani enormi, senza istruzione, senza una qualifica, la quintessenza del rozzo immigrato. Nel suo primo pomeriggio a New York s’imbatté in un ambulante che vendeva le mele piú rosse, piú tonde e perfette che avesse mai visto. Incapace di resistere, ne comprò una e l’addentò con ingordigia. Al posto della dolcezza che già pregustava, sentí uno strano sapore amaro. Peggio, la mela era di una morbidezza rivoltante, e appena affondò i denti nella buccia, l’interno del frutto gli colò sul cappotto, una cascata di liquido rossastro punteggiato da una miriade di semi, simili a pallini di piombo. Fu questo il suo primo assaggio del Nuovo Mondo, il suo primo, indimenticabile incontro con un pomodoro del New Jersey.
Non un Rockefeller, dunque, ma un gagliardo lavoratore, un gigante ebreo con un nome assurdo e i piedi sempre in movimento che cercò fortuna a Manhattan e Brooklyn, a Baltimora e Charleston, a Duluth e Chicago, impiegato in varie mansioni, scaricatore di porto, marinaio semplice su una nave cisterna nei Grandi Laghi, addetto agli animali in un circo itinerante, operaio alla catena di montaggio in una fabbrica di lattine, camionista, scavatore, metronotte. Malgrado tutti i suoi sforzi, non guadagnò mai piú di qualche spicciolo, perciò l’unica cosa che il povero Ike Ferguson lasciò in eredità alla moglie e i tre figli furono le storie che raccontava sulle sue avventure vagabonde di gioventú. Alla lunga le storie forse valgono quanto i soldi, ma nell’immediato hanno le loro ovvie limitazioni.
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