Il Premio Bagutta, il più antico premio letterario italiano, come di consueto, l’ultima domenica del mese di gennaio è stato proclamato il vincitore della 98esima edizione. La giuria, presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti, ha eletto vincitore Gianni Biondillo con il libro “Quello che noi non siamo“, la storia degli architetti milanesi sotto il fascismo (Guanda).
Il premio per l’opera prima è stato assegnato a Giulia Scomazzon con “La paura ferisce come un coltello arrugginito” (Nottetempo), una rievocazione storica agli Anni di piombo, attraverso la storia di una giovane coppia siciliana.
La giuria, presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti, segretario Andrea Kerbaker era composta da Marco Amerighi, Rosellina Archinto, Eva Cantarella, Elio Franzini, Umberto Galimberti, Davide Mosca, Elena Pontiggia, Enzo Restagno, Mario Santagostini, Roberta Scorranese, Alessandra Tedesco, Valeria Vantaggi e Orio Vergani.
Il premio verrà consegnato il 4 febbraio durante la tradizionale cena a inviti, nella sede di via De Grassi messa a disposizione da Francesco Micheli, storico sostenitore del Bagutta.
I vincitori del Premio Bagutta 2024
Gianni Biondillo con il libro “Quello che noi non siamo“, la storia degli architetti milanesi sotto il fascismo (Guanda).
Ci fu una generazione di architetti che credette nel fascismo perché si illudeva fosse una rivoluzione, come quella artistica che propugnavano: il razionalismo. Combatterono una guerra ad armi impari contro l’accademismo, centralista e romano, senza rendersi conto che mentre Mussolini li ammansiva, li lodava, in realtà sosteneva un’architettura retorica ben più consona alle sue megalomanie.
Milano fu la fucina di queste tensioni artistiche che guardavano all’Europa come a una liberazione dall’asfissiante passatismo provinciale del resto della nazione. Venivano da tutta Italia: irredentisti istriani come Pagano, maestri comacini come Terragni, napoletani inquieti come Persico. E poi tutti gli altri, figli del Politecnico: Figini, Pollini, Bottoni, Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers…
Nelle trattorie, nei salotti, alle vernici, incrociavano poeti, galleristi, critici, artisti, e di anno in anno l’adesione al regime si faceva sempre più labile, sempre più critica. Ci pensò la Storia a fare il resto: dalle leggi razziali alla disfatta di Russia, fino al cataclisma dell’8 settembre 1943.
La’utore racconta, in un romanzo corale, la storia di uomini e donne che presero coscienza del crollo delle false ideologie e che decisero di schierarsi nel nome della Resistenza e della libertà, spesso pagandone le conseguenze: carcerazioni, torture, campi di concentramento. Il ritratto profondo di un’epoca, che ci somiglia più di quanto vogliamo ammettere.
Gianni Biondillo, nato a Milano nel 1966, è un architetto, autore e insegnante del corso “Elementi di psicogeografia e narrazione del territorio” presso l’Accademia di Architettura di Mendrisio, facente parte dell’Università della Svizzera italiana. Non avendo mai ottenuto la patente, si sposta a piedi per la città di Milano da sempre. È noto per aver ambientato le indagini dell’ispettore Ferraro, il celebre protagonista dei suoi romanzi gialli, nelle strade della città, i quali sono stati tradotti in diverse nazioni europee. Il suo primo lavoro, intitolato “Per cosa si uccide”, è stato pubblicato nel 2004. Nel corso degli anni, Biondillo ha ampliato la sua produzione letteraria, scrivendo saggi, romanzi e racconti che spaziano tra narrativa di genere, architettura, psicogeografia, viaggi, eros, paternità e letteratura per l’infanzia. È membro della redazione di Nazione Indiana, contribuisce alla scrittura per il cinema e la televisione, e collabora regolarmente con giornali e riviste nazionali.
Se vuoi ACQUISTA il libro
Giulia Scomazzon con “La paura ferisce come un coltello arrugginito” (Nottetempo).
In questo memoir lucido e intenso, Giulia Scomazzon vuole superare la paura per cercare la verità sulla madre Roberta, morta giovanissima nel 1994. Giulia allora aveva sette anni, e per lungo tempo le venne nascosta la causa del decesso di Roberta.
Perché la società condannava con la vergogna e lo stigma: Roberta era infatti morta di AIDS, aveva contratto la malattia nel periodo limitato in cui aveva fatto uso di droga. Ancora oggi viene negata una memoria dignitosa e compassionevole a migliaia di persone che furono, spesso solo per un periodo della loro vita, “tossicodipendenti” e morirono di quella malattia all’epoca incurabile.
La figlia Giulia, con coraggio ostinato, lavora sulla memoria individuale e collettiva per ricostruire un’immagine vera e completa della madre, la Roberta affettuosa e gentile che lavorava in fabbrica e preparava torte, la Roberta che si ammalava sempre di più. Nel farlo interroga il padre, Andrea, che per molti anni ha cercato a suo modo di proteggerla, di tenerla distante da un passato doloroso.
Giulia Scomazzon è nata a Vicenza nel 1987, dopo aver ottenuto la laurea triennale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Trieste, ha proseguito i suoi percorsi accademici all’Università IULM di Milano. Qui ha completato il dottorato in Letterature e media nel 2019. Attualmente, collabora attivamente con le attività didattiche e di ricerca della sezione Cinema all’interno del Dipartimento di Comunicazione, arti e media della stessa università. Nel 2021, ha pubblicato un saggio dal titolo “Crimine, colpa e testimonianza” sul tema del “true crime”, distribuito dalla casa editrice Mimesis.
Se vuoi ACQUISTA il libro
Storia del Premio Bagutta
All’interno della trattoria toscana gestita da Alberto Pepori in via Bagutta a Milano, nacque l’idea di istituire un premio letterario.
La trattoria, che attirò l’attenzione dello scrittore Riccardo Bacchelli e del suo elzevirista e critico cinematografico Adolfo Franci, divenne presto il luogo prediletto di numerosi amici. Questi amici, abituati a riunirsi per cenare insieme e discutere di libri, concepirono l’idea di creare un premio letterario nella serata dell’11 novembre 1926, la notte di San Martino. Gli undici presenti decisero di autoeleggersi come giuria.
Il forte desiderio di mantenere l’indipendenza li spinse a sospendere il premio tra il 1937 e il 1946, temendo influenze da parte del regime, dal momento che alcuni dei giurati erano sostenitori di tale regime.
L’atto di fondazione del premio, redatto su un foglio di carta da Adolfo Franci (noto come la “carta gialla”), fu immediatamente scritto e affisso su una parete del locale. L’annuncio ufficiale venne diffuso attraverso La Fiera Letteraria.