Appuntamento fatale è un thriller di James Patterson, in collaborazione con lo scrittore David Ellis, pubblicato in Italia il 9 luglio 2024, da TRE60, traduzione di Massimo Gardella. Un weekend tra sole ragazze si trasforma in un disastro per quattro amiche che scoprono che ciò che accade a Monte Carlo non rimane certo a Monte Carlo. Una notte… e tutto cambia.
«Alzi la mano chi è ancora innamorata di suo marito. Onestamente, però.»
Trama del libro Appuntamento fatale
Monte Carlo. Abbie Elliot e le sue tre migliori amiche, Winnie, Serena e Bryah, sono appena scese da un jet privato per fare il loro ingresso nel più lussuoso ed esclusivo hotel in cui abbiano mai soggiornato. La loro elegantissima suite si affaccia sul golfo di Monte Carlo e per quattro giorni, senza figli né mariti, saranno libere di godersi il sole a bordo piscina, ristoranti di lusso, locali alla moda e casinò scintillanti.
Finché una sera, trascorsa a bere fiumi di champagne e a divertirsi alla follia, tutte e quattro decidono di seguire i compagni di quella notte a bordo di uno yacht privato. Ma quando la mattina le amiche si svegliano, si accorgono subito che qualcosa è andato storto. Sotto la minaccia di un gruppo di poliziotti, vengono arrestate con l’accusa di aver ucciso due degli uomini conosciuti la sera prima. Uno di loro, scoprono, era un personaggio politico di spicco…
Che cosa è successo quella maledettissima notte? Qualcuno voleva incastrarle? Il rischio è quello di marcire in prigione, e per scongiurare il massimo della pena alle ragazze viene offerta la possibilità di confessare. Abbie però non ci sta: vuole scoprire tutta la verità, anche a costo di sprofondare in un incubo lunghissimo dal quale non sa se uscirà viva o morta…
“Un’esperienza come questa ti cambia. Ti senti sbriciolato in mille pezzi e poi riassemblato, ma la somma totale delle parti è diversa. Mi sentivo come un’auto dopo un terribile incidente: si può riparare, ma non funzionerà più come prima.”
Le recensioni parlano di una bella storia ambientata nel lusso che solo i ricchi e i famosi possono immaginare. I personaggi sono buoni e la storia è ricca di colpi di scena emozionanti che tengono sulle spine e farti dubitare di tutti. Il ritmo è serrato, la lettura è veloce ed i capitoli sono brevi. Se non avete letto nessuno dei suoi libri prima, vi aspetta una vera sorpresa e se avete letto i suoi libri prima, vi aspetta comunque una bella sorpresa.
“Dovevo farlo. Non potevo permettere che mi obbligassero ad ammettere una falsità. La vostra integrità, la vostra dignità e il vostro onore… non sono in vendita. Mai e poi mai. Per nessuno e per nessun motivo.”
Incipit del libro Appuntamento fatale
PROLOGO
LUGLIO 2011Uno
Mi dicono che morirò qui. In questo luogo sconosciuto, questa cella sotterranea buia, umida e fredda e con l’aria rancida, dove nessuno mi vuole bene e quasi tutti parlano lingue che non capisco; questo è il posto che chiamerò «casa» per il resto dei miei giorni. Almeno così mi ripetono, ed è sempre più dura non credere alle loro parole.
Qui dentro ci sono persone che mi vogliono morta, alcuni per castigarmi, altri solo per assurgere alla fama. Uccidere me o una delle mie amiche sarebbe di certo un modo garantito per diventare famosi. Ci conoscono con il soprannome collettivo di Mantidi di Montecarlo, come si riferivano a noi tutti i media internazionali. Più fantasioso di altri nomignoli precedenti: la Banda delle Quattro, le Veneri di Berna o le Casalinghe Disperate. Comunque meno agghiacciante del nome che ci ha attribuito Le Monde in prima pagina, il giorno dopo il verdetto: Mamans coupables.
Madri colpevoli.
Così, non mi resta che aspettare. Per un miracolo. Una nuova prova appena rinvenuta. Una confessione del vero assassino. Qualcuno disposto ad ascoltarmi. O magari mi sveglierò una mattina per scoprire che è stato tutto un sogno. Nelle ultime trecentonovantotto mattine, ho aperto gli occhi pregando di essere ancora a Berna o, meglio ancora, di essere di nuovo a Georgetown a preparare lezioni di letteratura americana per matricole con i postumi di una sbornia.
E intanto mi guardo le spalle. Giro ogni angolo lentamente e prendendolo alla larga. Dormo seduta. Cerco di evitare ogni abitudine che renderebbe prevedibili le mie mosse, per non essere vulnerabile. Se vogliono provare a farmi fuori qui dentro, dovranno faticare.Cominciò come un’altra giornata qualsiasi. Percorrevo lo stretto corridoio del braccio G. Arrivata davanti alle lettere in stampatello sulla porta a vetri – INFIRMERIE – mi fermai per accertarmi di avere la punta dei piedi allineata alla riga rossa mezza consumata sul pavimento, dove bisognava fermarsi prima di entrare.
«Bonjour» dissi alla guardia sul lato opposto della porta, una donna di nome Cécile. Senza cognome. Le guardie penitenziarie non potevano rivelare altro se non il proprio nome di battesimo, e probabilmente era finto persino quello. Tutto per mantenere l’anonimato fuori di lì: senza conoscere la loro vera identità, una volta uscite le detenute non avrebbero potuto dare la caccia alle guardie che le avevano maltrattate.
«Ciao, Abbie.» Mi rispose nel suo inglese migliore, che non era malaccio. Meglio del mio francese. Dopo un ronzio rumoroso e prolungato, la porta si aprì con un sibilo.
L’infermeria del carcere era lunga e larga come la palestra di un liceo americano, solo con un soffitto più basso, di circa tre metri. Era una stanza aperta con poco più di venti letti. Su un lato si trovava l’area dell’«accettazione», dove le detenute aspettavano il loro turno per essere visitate e curate. Sull’altro lato, sempre interdetta e sorvegliata, c’era la farmacia dove conservavano medicinali e scorte mediche. Dalla parte opposta della stanza ce n’era una blindata e protetta che poteva ospitare sino a cinque pazienti, riservata a chi soffriva di malattie infettive, per la terapia intensiva e per i soggetti che ponevano rischi alla sicurezza.
Mi piaceva l’infermeria perché era luminosa, una caratteristica che in parte leniva la mia cupa e triste condizione di reclusa. Inoltre, mi piaceva aiutare gli altri; mi ricordava di essere ancora un essere umano, di avere uno scopo. Poi, un altro aspetto positivo di quel posto era che lì non dovevo guardarmi le spalle.
Per il resto, la detestavo. La puzza, tanto per cominciare: un cocktail putrido di esalazioni corporee, urina e disinfettante così potente che mi investiva sempre ogni volta che entravo. E poi, diciamoci la verità, se qualcuno va in infermeria è perché non è una bella giornata.
Io cerco di averne. Mi sforzo molto duramente.
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