Ritratto in seppia è un romanzo della scrittrice cilena Isabel Allende pubblicato nel 2000, secondo capitolo della trilogia, di un unico grande ininterrotto narrare che copre più di un secolo di storia, con “La figlia della fortuna” e “La casa degli spiriti“, continua la saga sulla famiglia Del Valle, con personaggi presenti anche negli altri romanzi.
“Se non fosse stato per nonna Eliza, venuta da lontano a illuminare gli angoli bui del mio passato, e per le migliaia di fotografie che si sono accumulate nella mia casa come potrei raccontare questa storia?”
Aurora del Valle è una giovane donna che, alla soglia dei trent’anni, deve affrontare il tradimento dell’uomo che ama. Catapultata in una situazione emotiva insopportabile, cerca di venirne a capo recuperando la memoria del suo passato e, in particolare, di alcune fasi della sua vita che le sono rimaste sempre oscure. Ripercorriamo così, a partire dalla sua nascita nel 1880, una storia avventurosa, centrata attorno al personaggio della nonna paterna, Paulina del Valle, che le apre, quasi per caso, il mondo della fotografia.
Figlia di tutti e di nessuno, Aurora del Valle nasce a a ChinaTown, cresce prima con i nonni materni, poi sotto la guida dell’anticonformista nonna paterna, Paulina del Valle, che le apre, quasi per caso, il mondo della fotografia. Con la passione della neofita, Aurora fissa al lampo di magnesio gruppi di famiglia, case, paesaggi, personaggi, finché non si rende conto di poter leggere attraverso questi ‘ritratti in seppia’ non solo la realtà visibile ma anche le verità più riposte, i sentimenti più segreti. L’immersione nel passato segue quasi per istinto, automatica. Tutto viene a galla: nodi del sangue, passioni, avventure, intrecci, storie di famiglia e storie del mondo.
“La memoria è invenzione. Selezioniamo il materiale più brillante e quello più buio, ignorando ciò che è fonte di vergogna, e così tessiamo il grande arazzo della nostra vita.”
Anche se fa parte di una trilogia il libro può essere letto senza necessariamente conoscere gli altri libri, adoro Isabel Allende e forse sono un po’ di parte, a me è piaciuto, però riconosco che ha qualcosa in meno rispetto altri romanzi della trilogia. I contenuti ci sono tutti, una bella storia, personaggi caratterizzati come la Allende sa fare, il ritorno alla scoperta delle radici, gli amori, la guerra del Pacifico e la guerra civile del ’90, il destino segnato di intere generazioni, insomma da leggere!
Sono venuta al mondo un martedì d’autunno dei 1880, nella dimora dei miei nonni materni, a San Francisco. Mentre all’interno di quella labirintica casa di legno mia madre, grondante di sudore, ansimava per aprirmi un varco, il cuore intrepido e le ossa disperate, nella strada ribolliva la vita selvaggia del quartiere cinese con il suo aroma indelebile di cucina esotica, il suo chiassoso torrente di dialetti sbraitati, la sua inestinguibile folla di api umane in un frettoloso andirivieni. Nacqui di buon mattino, ma a Chinatown gli orologi non si attengono ad alcuna regola e a quell’ora prende vita il mercato, il traffico di carretti e i latrati tristi dei cani nelle loro gabbie, in attesa del coltello del cuoco. Solo parecchio tempo dopo sono venuta a conoscenza dei particolari della mia nascita, ma sarebbe stato ancora peggio non averli mai appresi; si sarebbero potuti smarrire per sempre negli impervi sentieri dell’oblio. Nella mia famiglia i segreti sono talmente tanti che probabilmente non avrò tempo sufficiente per svelarli tutti: la verità è fugace e viene lavata via da torrenti di pioggia. I miei nonni materni mi accolsero con commozione – benché, stando a diversi testimoni, fossi una neonata orribile – e mi
adagiarono sul petto di mia madre, dove rimasi raggomitolata per alcuni minuti, gli unici che ebbi la possibilità di trascorrere con lei.
Poi mio zio Lucky mi alitò sul viso per trasmettermi la sua buona sorte. L’intenzione era generosa e il metodo si è rivelato infallibile, dato che almeno in questi primi trent’anni di vita mi è andata bene. Ma, attenzione, non devo anticipare troppe cose. Questa storia è lunga e ha inizio ben prima della mia nascita; per raccontarla ci vuole pazienza e ce ne vuole ancora di più per ascoltarla. Se durante la strada perdessi il filo, non c’è bisogno che ti disperi, perché con tutta certezza lo ritroverai qualche pagina dopo. E siccome bisogna pur cominciare con una qualche data, fissiamola nel 1862 e diciamo allora, tanto per dare l’avvio, che la storia ha inizio con un mobile dalle proporzioni inverosimili.
Il letto di Paulina del Valle fu commissionato a Firenze, un anno dopo l’incoronazione di Vittorio Emanuele II, quando nel novello Regno d’Italia vibrava ancora l’eco delle pallottole di Garibaldi; smontato, fece la traversata per mare a bordo di una nave genovese, sbarcò a New York nel bel mezzo di uno sciopero sanguinoso e proseguì poi trasportato su uno dei vapori della compagnia di navigazione dei miei nonni paterni, i Rodríguez de Santa Cruz, cileni
residenti negli Stati Uniti. Toccò al capitano John Sommers ricevere le casse contrassegnate in italiano con una sola parola: naiadi. Quel robusto marinaio inglese, del quale rimangono unicamente un ritratto sbiadito e un baule di cuoio logorato da infinite traversate marittime colmo di curiosi manoscritti, era il mio bisnonno, come ho da poco appurato, da quando cioè, dopo molti anni di mistero, il mio passato ha finalmente iniziato a schiarirsi.