Se solo fosse vero è un libro di Levy Marc, pubblicato nel 2000, traduzione di Benedetta Pagni Frette. Una storia tenera, un’avventura piena di umorismo e colpi di scena.
«Quello che sto per dire non è facile da capire, ed è impossibile da ammettere, ma se vuole ascoltare la mia storia, se vuole avere fiducia in me, allora forse mi crederà, ed è molto importante, perché lei, senza saperlo, è la sola persona al mondo con la quale possa condividere questo segreto…»
Trama di “Se solo fosse vero”
San Francisco. Arthur ha avuto una giornata faticosa, si è appena trasferito in un nuovo appartamento. Finalmente si concede un bagno con un bel sottofondo musicale. Qualcuno però sta battendo il tempo con le dita! Una giovane donna che sostiene di essere uno spirito il cui corpo giace in coma in ospedale in seguito a un incidente. Arthur naturalmente non le crede e accetta di accompagnarla in ospedale, dove lei vuole mostrargli il proprio corpo, solo per potersene liberare. Con il passare delle settimane i due diventano amici e il sentimento che li unisce si trasforma in amore. Poi un giorno i medici decidono di staccare le macchine che tengono in vita Lauren e ad Arthur non resta che trovare una soluzione, in una corsa contro il tempo.
“Perché è mentre si calcola, mentre si analizzano i pro e i contro che la vita passa e non succede niente.”
“Un libro scritto non per essere pubblicato ma per essere letto da mio figlio quando diventerà adulto, una storia per insegnargli la felicità”. Con questa intenzione il trentottenne francese Marc Levy, affermato architetto e scrittore per hobby, ha realizzato il suo primo romanzo, subito rivelatosi in Francia il caso letterario più clamoroso dell’anno, tradotto in ventisette lingue e i diritti cinematografici acquistati da Spielberg per la cifra record di due milioni di dollari.
“Mi hai riempito la testa di storie sull’amore ideale, avere degli ideali è un handicap molto pesante”
Recensione
Ho letto il libro dopo aver visto il film che mi era piaciuto parecchio, il libro perde un po’ di brillantezza, ma resta comunque un romanzo che riesce a dosare romanticismo e ironia pur essendo surreale. La scrittura in generale è scorrevole, a parte qualche punto lievemente lento, una storia che fa riflettere su quanto sia importante ogni attimo delle nostre giornate. Una fiaba moderna che tratta anche il tema del testamento biologico, potrebbe sembrare un attacco all’eutanasia, anzi forse lo è, ma preferisco vedere il lato fiabesco e attaccarmi a quel “se solo fosse vero”, ben sapendo che la realtà è ben diversa e lascio la sofferenza di chi deve prendere una decisione così importante a tutt’altro contesto, questa è solo una commedia surreale.
“Tutti temono la quotidianità, come se si trattasse di una fatalità che porta la noia, l’abitudine, io non credo in questa fatalità … io credo che la quotidianità sia fonte della complicità, è nel quotidiano che si possono inventare il lusso o la banalità, l’eccesso e le cose comuni.”
Dal romanzo è stato tratto un film nel 2005 del regista americano Mark Waters, Con Reese Witherspoon, Mark Ruffalo, Donal Logue, Dina Waters.
Quando David ha affittato il suo caratteristico appartamento a San Francisco, l’ultima cosa che si aspettava – o che avrebbe voluto – era un coinquilino. Aveva appena cominciato a mettere tutto l’appartamento sottosopra quando compare una giovane donna, carina ma decisamente dominante, di nome Elizabeth insistendo …. che l’appartamento è suo.
“… non si può vivere tutto, e l’importante è vivere l’essenziale e ciascuno di noi ha il suo essenziale”
Incipit di “Se solo fosse vero”
Estate 1996
La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suona. Sono le 5.30, e la camera da letto è inondata da una luce dorata come solo l’alba di San Francisco sa creare.
Tutta la casa è immersa nel sonno. Kali, la cagna, sta sdraiata ai piedi del letto sul tappeto, Lauren seppellita sotto il piumino nel bel mezzo del letto.
L’appartamento di Lauren sorprende per la tenerezza che emana. All’ultimo piano di una casa in stile vittoriano su Green Street, è composto da un salotto con cucina all’americana, uno spogliatoio, una grande camera da letto e un bagno con finestra. Il pavimento è in legno a doghe larghe, quelle del bagno sbiancate e riquadrate a scacchi neri dipinti a stencil. I muri bianchi sono ornati da vecchi disegni scovati nelle gallerie di Union Street, il soffitto è bordato da una modanatura in legno, finemente decorata dal lavoro di un esperto intagliatore d’inizio secolo, che Lauren aveva fatto risaltare con un color caramello.
Alcuni tappeti di cocco bordati di juta beige delimitano gli angoli del salotto, della sala da pranzo e del corridoio.
Di fronte al camino un grande divano in cotone grezzo invita a sedersi comodamente. I pochi mobili sparsi qua e là sono dominati da tre graziose lampade esaltate da paralumi plissettati, acquistate nel corso degli ultimi tre anni.
La notte era stata breve. Medico del San Francisco Memorial Hospital, Lauren aveva dovuto prolungare la guardia ben oltre le abituali ventiquattro ore, a causa dell’arrivo delle vittime di un grande incendio. Le prime ambulanze erano spuntate dieci minuti prima della fine del suo turno e Lauren si era impegnata immediatamente, senza nemmeno aspettare lo smistamento dei primi feriti verso le diverse sale visita, sotto gli sguardi disperati della sua équipe.
Con metodo degno di un virtuoso, auscultava in pochi minuti ogni paziente, gli attribuiva un’etichetta colorata che rendeva immediatamente visibile la gravità della situazione, redigeva una diagnosi preliminare, ordinava i primi esami e inviava i barellieri verso le sale appropriate. Lo smistamento delle sedici persone arrivate tra mezzanotte e mezzanotte e un quarto terminò così a mezzanotte e mezza precise, e i chirurghi, richiamati per l’emergenza, cominciarono a operare a mezzanotte e tre quarti.
Lauren aveva assistito il dottor Fernstein nel corso di due operazioni successive e non ritornò a casa se non dopo l’ordine formale del medico che le aveva fatto notare come la fatica cominciasse a influire sulla sua attenzione e a mettere in pericolo la salute dei pazienti.
Nel cuore della notte lasciò il parcheggio dell’ospedale alla guida della sua Triumph, rientrando a casa a tutta velocità attraverso le strade deserte. « Sono troppo stanca e guido troppo in fretta », continuava a ripetersi per lottare contro il sonno, ma il pensiero di ritornare alle urgenze come paziente bastava a tenerla sveglia.