Un ragazzo è un libro di Nick Hornby pubblicato nel 1998. L’incontro tra un uomo e un adolescente, tra due anime speculari e incomplete.
“Il mondo non si ferma perché stai male, non fermarti tu. Prendi in mano la tua vita come sai fare solo te.
Devi credere in te se vuoi che gli altri lo facciano.
Io credo in te. Se non hai voglia di ridere fallo solo perché c’è qualcuno che per quel sorriso ci vive.”
Trentaseienne ricco e nullafacente con un solo scheletro nell’armadio (vive, benissimo, dei profitti di una brutta quanto popolare canzone natalizia scritta nel 1938 dal padre), Will Freeman ha pochi dubbi in fatto d’amore: la donna ideale per i tipi come lui, single fermamente intenzionati a restarlo, è la donna separata, meglio anzi se abbandonata, con figli, e molto, molto arrabbiata con gli uomini. Parrebbe cinismo il suo, ma è più un complesso d’inferiorità: una storia di abbandono alle spalle e qualche bambino cui badare sono un handicap che democratizza le donne, soprattutto le più belle, e le rende propense ad accettare relazioni con tipi innocui e un po’ superficiali, categoria cui Will è cosciente di appartenere.
Ma non tutte le donne sono uguali. E non tutte sono come Angie, una sorta di Julie Christie madre di famiglia che non vuole più un secondo matrimonio perché l’esperienza le ha insegnato che gli uomini sono dei bastardi, salvo poi ritornare dal marito quasi rimproverando a Will di imporle un rapporto troppo impegnativo. No. Ci sono anche i tipi come Fiona, che Will ha conosciuto infiltrandosi in un centro sociale (un’autentica miniera, dal suo punto di vista) fingendo di essere il padre di Ned, un fan-tasmatico bambino la cui assenza diventa sempre più difficile da spiegare.
“Riempire le giornate non era mai stato un vero problema per Will. Magari non era orgoglioso del fatto di non essersi realizzato lungo tutta una vita, ma era orgoglioso della sua capacità di stare a galla nel vasto oceano di tempo che aveva a disposizione; un uomo con meno risorse, pensava, sarebbe potuto andare a fondo e annegare.
Le serate andavano bene; conosceva gente, anche se nemmeno lui sapeva come visto che non aveva mai avuto colleghi e non sentiva più le fidanzate quando diventavano delle ex. Ma era riuscito a raccogliere gente strada facendo – tipi che una volta lavoravano nei negozi di dischi che frequentava, tipi con cui aveva giocato a calcio o a squash, tipi di una squadra di cui aveva fatto parte per i quiz al pub, cose del genere – e in un modo o nell’altro funzionava. Non sarebbero stati molto utili nel caso di un’improbabile depressione con manie suicide, o in un caso, ancora più improbabile, di cuore infranto, ma andavano piuttosto bene per una partita a biliardo, una birra o un curry.”
Neanche a farlo apposta, Fiona è l’unica donna per la quale Will non ha mai provato nemmeno un po’ di attrazione erotica: è sciatta e troppo hippy, è vegetariana, depressa con manie suicide, canta “Killing Me Softly” con gli occhi chiusi e dovrebbe rivedere il suo repertorio musicale, che non va oltre Joni Mitchell e Bob Marley. E non tutti i figli delle madri sole sono come il figlio di Fiona. Bizzarro e disadattato, con un enorme paio di occhiali, vittima degli scherzi atroci dei compagni, Marcus ha anche lui una passione un po’ anacronistica per Joni Mitchell, non sa nulla di calcio, non conosce i Nirvana ed è disposto a credere che Kurt Cobain giochi per il Manchester United. Insomma ha bisogno di qualcuno che gli dia le istruzioni per l’uso del mondo, e una normalità che non ha mai conosciuto. Per esempio ha bisogno di Will.
“Marcus aveva bisogno di aiuto per essere un bambino, non un adulto. E, purtroppo per Will, questo era esattamente il tipo di assistenza che lui era qualificato a fornire.”
“A lui non importava se la famiglia era fatta tutta di uomini, o tutta di donne, o tutta di bambini. Voleva solo che ci fosse gente intorno.”
Due figure speculari di protagonisti per un duplice, speculare percorso di formazione. Non solo per il dodicenne cresciuto troppo in fretta alla ricerca di nuovi equilibri famigliari, che rivoluziona i rapporti fra gli adulti e alla fine capisce come si fa a essere ragazzi, ma anche per il trentenne adolescente cronico in crisi di identità, che a sua volta impara a lasciarsi andare ai sentimenti.
Animato da una scrittura di taglio teatrale e la verve di un umorismo dolceamaro, l’ultimo romanzo di Hornby si chiude, come sempre troppo presto, lasciandoci un dubbio che non potremmo e non vorremmo sciogliere. Chi dei due adesso è il ragazzo del titolo? Will o Marcus?
“Questa famigliafelice comprendeva un bambino invisibile di due anni, un dodicenne balordo e una madre con manie suicide; ma la legge degli sfigati imponeva che questo fosse proprio il genere di famiglia alla quale finivi con l’appartenere se non ti piacevano le famiglie in linea di principio.”
Libro per niente banale come si potrebbe pensare, non è sui trentenni nè sugli adolescenti, parla di famiglie allo sbando, di rapporti difficili, insomma di persone, certo accentuandone pregi e difetti a beneficio della narrazione. Hornby ha la rara abilità di descrivere protagonisti e stati d’animo, di rendere realistici personaggi “strambi”, di divertire e di far pensare.
Incipit di “Un ragazzo”
Uno
«E adesso vi siete lasciati?»
«Fai lo spiritoso?»
Spesso la gente pensava che Marcus volesse fare lo spiritoso quando invece era serio. Chissà perché. Chiedere a sua mamma se aveva rotto con Roger era una domanda del tutto sensata, pensava. Avevano litigato di brutto, poi se n’erano andati in cucina, parlavano sottovoce, e dopo un po’ erano usciti con la faccia seria: Roger era venuto lì da lui, gli aveva stretto la mano augurandogli buona fortuna a scuola e se n’era andato.
«Perché dovrei fare lo spiritoso?»
«A te cosa sembra?»
«A me sembra che vi siate lasciati. Ma volevo solo essere sicuro.»
«Ci siamo lasciati.»
«Quindi se n’è andato?»
«Sì. Marcus. Se n’è andato.» Pensava che non ci si sarebbe mai abituato. Roger gli piaceva abbastanza, e qualche volta erano usciti tutti e tre assieme; ma adesso non l’avrebbe più visto. Non che gli importasse, ma a pensarci su era un po’ strano. Una volta era andato in bagno assieme a Roger, quando stavano entrambi per farsela addosso dopo una gita in macchina. Ti verrebbe da pensare che due che hanno fatto la pipì assieme non dovrebbero perdersi di vista.
«E la sua pizza?» Avevano appena ordinato tre pizze quando avevano cominciato a litigare, e non erano ancora arrivate.
«Ce la divideremo. Se abbiamo fame.»
«Ma sono grandi. E poi Roger non ne ha ordinata una col salame piccante?» Marcus e sua madre erano vegetariani. Roger no.
«Be’, la butteremo via» disse lei.
«Oppure possiamo toglierci il salame. Penso che non te ne mettano tanto comunque. è soprattutto formaggio e pomodoro.»
«Marcus, in questo momento non riesco proprio a pensare alle pizze.»
«Ok, scusa. Perché vi siete lasciati?»
«Oh… per tanti motivi. Non so proprio come spiegartelo.» Marcus non era meravigliato che non sapesse spiegare che cosa era successo. Aveva sentito più o meno tutta la discussione e non ne aveva capito una sola parola; sembrava che da qualche parte mancasse qualcosa. Quando lui e sua mamma discutevano, si riusciva a cogliere l’importante: troppo, troppo caro, troppo tardi, troppo piccolo, fa male ai denti, l’altro canale, compiti, frutta. Ma quando discutevano sua mamma e i suoi fidanzati, potevi stare ad ascoltare per ore senza riuscire comunque a cogliere il nocciolo, l’essenza, l’equivalente della frutta e dei compiti. Era come se gli fosse stato ordinato di litigare e loro saltassero fuori con la prima cosa che gli veniva in mente.
«Aveva un’altra fidanzata?»
«Non penso.»
«Tu hai un altro fidanzato?» Rise. «E chi sarebbe? Il tipo cui abbiamo ordinato le pizze?
No, Marcus, non ho un altro. Non è così che va. Non quando sei una madre di trentotto anni che lavora. è un problema di tempo. è un problema di tutto. Perché? Ti darebbe fastidio?»
«Non so.» Non sapeva davvero. Sua mamma era triste, questo lo sapeva: adesso piangeva molto, più di quanto non facesse prima che si trasferissero a Londra, ma non sapeva se questo avesse qualcosa a che fare con gli uomini. In un certo senso sperava di sì, perché allora si sarebbe tutto sistemato. Avrebbe incontrato qualcuno e lui l’avrebbe fatta felice. Perché no? Sua mamma era carina, gli sembrava, e simpatica, qualche volta anche spiritosa, e dovevano esserci una marea di tipi come Roger in giro. Se non erano gli uomini, d’altronde, non sapeva che cosa potesse essere, a parte qualcosa di brutto.
«Ti dispiace che abbia dei fidanzati?»
«No. Se non sono come Andrew.»
«Be’, sì, lo so che Andrew non ti piaceva. Ma in generale?
Non ti dà fastidio l’idea?»
«No. Certo che no.»
«Te la sei sempre cavata bene. Considerando che hai avuto due generi diversi di vita.» Marcus capiva cosa voleva dire. Il primo genere di vita era finito quattro anni prima, quando lui aveva otto anni e sua mamma e suo papà si erano separati; quello era il genere normale, noioso, con la scuola e le vacanze e i compiti e le visite ai nonni durante il week-end. Il secondo genere era più disordinato e con dentro più persone e più luoghi: i fidanzati di sua mamma e le fidanzate di suo papà, case diverse, Cambridge e Londra. Si fa fatica a credere che possano cambiare così tante cose solo perché un rapporto tra due persone finisce, ma a lui non importava. Qualche volta pensava anche di preferire il secondo genere di vita al primo. Succedevano più cose, e questo non poteva che essere positivo.
A parte Roger, non era ancora successo granché a Londra.
About a boy è un film del 2002 tratto dal libro e diretto dai fratelli Paul e Chris Weitz con protagonista Hugh Grant, Toni Collette, Nicholas Hoult, Rachel Weisz.