Una vita da lettore, un libro curioso scritto da Nick Hornby, pubblicato nel 2006 da Guanda, che fornisce pareri e consigli sui libri da vero intenditore e lettore “accanito” e affezionato.
“I libri, ammettiamolo, sono meglio di qualunque altra cosa. Se organizzassimo un campionato di fantaboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza delle quindici riprese… be’, i libri vincerebbero praticamente sempre.”
Una vita da lettore è un’appassionante avventura dentro i libri. Libri ricevuti, libri recensiti, libri comprati e mai letti, libri che prima o poi bisognerà leggere, libri letti davvero, finalmente: un labirinto di letture di tutti i generi, dai classici alle biografie degli sportivi, dalle raccolte di versi ai graphic novel, dai romanzi appena usciti a quelli imperdibili dell’800… Schiacciato dal mucchio delle letture a cui non si può rinunciare, Nick Hornby prova, con leggerezza e ironia, a trovare qualche criterio per orientarsi nel dedalo delle letture, racconta le sue preferenze e le sue antipatie e soprattutto restituisce una gioiosa voglia di leggere. Perché è vero che ogni tanto è meglio una partita di calcio… ma è anche vero che se il libro è bello, non c’è partita né concerto rock che tenga.
“Io leggo per un sacco di motivi. […] Sono anche uno scrittore e ho bisogno di leggere per ispirarmi e per istruirmi e perché voglio migliorare, e solo i libri possono insegnarmi come. A volte, certo, leggo per scoprire delle cose: a mano a mano che invecchio, sento sempre di più il peso della mia ignoranza. Voglio sapere com’è essere questa o quella persona, vivere in un posto o in un altro. Amo quei dettagli sui meccanismi del cuore e della mente umana che solo la narrativa ci può illustrare, i film non si avvicinano abbastanza.”
Quando ci aggiriamo confusi e disorientati in una libreria traboccante di novità e classici, è confortante ricordarsi di un titolo che ci è stato consigliato da una persona fidata. Spesso tali pareri sono più efficaci di una recensione prestigiosa, e fornircene alcuni è proprio l’intento del nuovo libro di Nick Hornby, un diario di letture alquanto informale, che nulla ha a che vedere con i giudizi del critico. Chi ha letto i suoi romanzi o i suoi saggi conosce l’approccio emotivo di Nick Hornby alla musica e al calcio: con i libri è la stessa cosa.
Queste sue «non recensioni», che spesso ci raccontano un romanzo o un saggio in poche, felicissime righe, comunicano in modo estremamente diretto le sensazioni che tutti proviamo durante la lettura: la sorpresa o la noia, la felicità o il dispiacere, insomma i motivi per cui vale ancora la pena di leggere, anche se c’è una partita di calcio in tv o i bambini reclamano attenzione. In effetti, secondo Hornby «i libri sono meglio di qualunque altra cosa», e nell’ipotesi di organizzare «un campionato di fan-taboxe culturale, schierando sul ring i libri contro il meglio che qualunque altra forma d’arte abbia da offrire, sulla distanza di quindici riprese… be’, i libri vincerebbero praticamente sempre». Certo, ci sono eccezioni: il disco più bello di Bob Dylan batterebbe un Dickens minore, e lo stesso dicasi per il superclassico di Orson Welles contro il Nabokov meno ispirato. Ma in generale il libro fa sua la partita.
“E tuttavia sembrava divertente scrivere sulla lettura, invece che sui singoli libri. All’inizio della mia carriera di scrittore ho recensito molta narrativa, ma dovevo fingere, come è prerogativa dei recensori, di avere letto i libri fuori dal tempo, dallo spazio e dal mio carattere: in altre parole, dovevo fingere di non averli letti mentre ero stanco e nervoso, o bevuto; di non invidiare gli autori, di non avere una mia agenda di impegni, né gusti estetici o problemi personali; di non aver già letto altre recensioni della stessa opera, di ignorare chi fossero gli amici e i nemici dell’autore, di non avere in corso trattative per piazzare un mio libro allo stesso editore, di non essere stato invitato a pranzo da un’addetta stampa dagli occhi di cerbiatta. Soprattutto, dovevo fingere di non aver scritto la recensione perché mi servivano urgentemente duecento sterline. Essere pagato per leggere un libro e per poi scriverne crea una dinamica tale da compromettere il recensore secondo ogni modalità possibile, nessuna delle quali gli è di aiuto. Perciò questa rubrica sarebbe stata diversa. Sì, d’accordo, anche qui mi avrebbero pagato, ma per scrivere di qualcosa che avrei fatto comunque, cioè leggere libri che già volevo leggere. E qualora avessi sentito che l’umore, il morale, i livelli di concentrazione, il clima o le vicende familiari avrebbero influito sul mio rapporto con un libro, avrei potuto e dovuto ammetterlo.”
Nick Hornby mi piace moltissimo, che scriva un romanzo o che ci informi delle sue letture riesce a mantenere alta la qualità letteraria dei suoi scritti, senza mai annoiare e lasciandosi spesso andare a sarcastici commenti sull’attualità mondiale, peccato che molti dei libri che cita non sono stati tradotti in italiano, o forse è stato meglio perché la mia infinita lista dei libri da leggere sarebbe lievitata notevolmente.
Ma anzitutto, qualche regola:
1) Fate a meno di scrivermi che spendo troppi soldi per libri che in gran parte non leggerò mai. Questo lo so già. Perché comunque ho intenzione di leggerli… più o meno. Le mie intenzioni sono buone. In ogni caso, i soldi sono miei. E poi scommetto che fate anche voi come me.
2) Analogamente, nessuno dovrà eccepire che alcuni libri di cui parlerò sono libri di amici o, nel caso di Pompei , di cognati. Molti miei amici sono scrittori, ed è inevitabile che dedichi ai loro libri parte del tempo che trascorro a leggere. Non tenterò di celare i legami, se questo può consolare qualcuno. In ogni caso erano cinque anni che non usciva un libro di mio cognato, l’autore di Fatherland e di Enigma : quindi è molto probabile che prima che ne pubblichi un altro il Believer mi avrà licenziato (anzi, potrei benissimo essere già stato licenziato prima che esca questo).
3) E non sprecate il fiato per dirmi che sto facendo la ruota. Sì, forse vi conosco. Qual è – come dire – la dose normale, per un individuo con lavoro e figli, e che guarda la televisione?). Ma il mese prossimo potrei trovarmi a riempire la rubrica di mia competenza per spiegare come mai in quattro settimane sono riuscito a totalizzare solo tre pagine di un graphic novel e le notizie sportive del Daily Mirror – nel qual caso vi prego di non accusarmi di filisteismo, pigrizia o crassa ignoranza. Questo mese ho letto parecchio: (a) perché è estate e ha fatto molto caldo, e non ho lavorato granché, e non c’è calcio alla tivù, e (b) perché mio figlio maggiore, per motivi su cui non mi dilungherò inutilmente, ha passato ancor più tempo del solito chiuso in bagno: e io dovevo aspettare fuori, seduto su una sedia. È così che si leggono i libri.