I confratelli è un romanzo di John Grisham, pubblicato originariamente nel 2000, ancora una storia di avvocati, però questa volta la vicenda non si svolge in aula di tribunale, ma in un carcere federale di minima sicurezza.
“Per il dipartimento degli Istituti di correzione e detenzione, Trumble era ufficialmente un «campo». Con tale designazione si intendeva fare riferimento alla mancanza di recinti, filo spinato, torrette, agenti armati di fucile contro eventuali evasioni. Il livello di sicurezza era quello che si definisce
minimo, cosicché qualunque detenuto avrebbe potuto allontanarsi in qualsiasi momento. Erano mille gli uomini chiusi a Trumble, ma erano pochi quelli che prendevano il largo.”
Trumble, nella Florida del Nord, è un carcere federale di minima sicurezza. O meglio, secondo la definizione ufficiale del dipartimento degli Istituti di correzione e detenzione, un “campo”. Niente recinti, filo spinato, torrette, agenti armati.
Insomma, un penitenziario per criminali relativamente poco pericolosi: spacciatori, rapinatori, truffatori, ladruncoli, evasori fiscali. Dove ora sono ospitati anche tre ex giudici, che si fanno chiamare i Confratelli: Hatlee Beech, del Texas, esperto di sentenze e appelli; Finn Yarber, della California, specializzato in fallimenti e divorzi; Joe Roy Spicer, del Mississippi, giudice di pace.
Ogni giorno i tre si ritrovano nella biblioteca legale, zona sotto la loro egida esclusiva. Lì discutono i casi di alcuni reclusi, redigono documenti, continuano, insomma, a esercitare l’avvocatura pur senza averne il diritto.
E lì, soprattutto, passano il tempo a scrivere lettere, l’esca per crudeli ricatti che fruttano un mucchio di soldi. Talmente tanti da fare dell’estorsione il loro vero e proprio lavoro.
Un giorno, però, Beech, Yarber e Spicer incappano in uno spiacevole imprevisto. Nella loro rete cade una vittima sbagliata, un uomo potente con amici pericolosi e influenti: il futuro dei Confratelli sembra segnato.
Washington: Aaron Lake, Rappresentante dell’Arizona e presidente della commissione della camera sulle forze armate, riceve dal direttore della Cia Teddy Maynard un’offerta inattesa. Sarebbe meglio dire una richiesta d’accordo. Intelligente e tenace, ottimo oratore, coscienzioso fino all’esasperazione, Lake non ha doppia vita, nessuna ombra nel passato o scheletri nell’armadio. Almeno, così pare.
“Si diresse subito alla sua casella, una di cento dietro l’angolo di un corridoio.
Trovò tre lettere e, mentre se le ficcava rapidamente nella tasca del cappotto, gli si gelò il cuore …”
Un bel romanzo di Grisham che guarda le meschinità umane e l’agire sempre con trasparenza e a testa alta, una riflessione sulla ricattabilità, da non perdere il finale.
1
Per la sessione settimanale il giullare di corte indossava come sempre il vecchio pigiama un tempo color vinaccia e un paio di pantofole di spugna color lavanda, senza calze. Non era il solo detenuto a svolgere in pigiama le sue occupazioni quotidiane, ma nessun altro aveva il coraggio di infilare pantofole di quella tinta. Si chiamava T. Karl e in passato era stato banchiere a Boston.
Pigiama e pantofole sconcertavano assai meno della parrucca. Con la riga al centro, ricadeva in una cascata di boccoli, coprendogli le orecchie e pesandogli sulle spalle. Era grigio chiara, quasi bianca, nello stile di quelle dei magistrati inglesi di secoli addietro. Un amico gliel’aveva trovata in un negozio di costumi teatrali di seconda mano al Village di Manhattan.
T. Karl la indossava con fierezza e, per quanto strano possa apparire, con il tempo la parrucca era stata assimilata nella scenografia. Gli altri detenuti mantenevano comunque le distanze da T. Karl, con o senza parrucca.
Nella mensa della prigione, si fermò dietro al suo traballante tavolino pieghevole, lo batté con un martelletto di plastica che gli serviva da mazzuolo, si schiarì la gola cigolante e in gran pompa annunciò: «Udite, udite, udite. La Corte federale inferiore della Florida del Nord è ora in sessione. In piedi, prego».
Nessuno si mosse, e in ogni caso nessuno diede l’impressione di volersi alzare. Trenta detenuti occupavano scomposti altrettante sedie di plastica. Alcuni di loro guardavano il giullare di corte, altri chiacchieravano come se non esistesse neppure.
T. Karl continuò: «Che tutti coloro che cercano giustizia si facciano avanti e si facciano fottere».
Nessuno rise. Era stato divertente mesi addietro, la prima volta che T. Karl se n’era uscito con quella battuta. Ora era solo un altro elemento scenografico. Si sedette con attenzione assicurandosi che la cascata di riccioli che gli oscillavano sulle spalle fosse bene in mostra, poi aprì il voluminoso libro rilegato in pelle rossa che fungeva da registro ufficiale. T. Karl prendeva il suo incarico con molta serietà.
Dalla cucina entrarono tre uomini. Due avevano le scarpe ai piedi, uno sgranocchiava un salatino. Quello senza scarpe aveva anche le gambe nude fino alle ginocchia, dove arrivava l’orlo della tunica. Erano gambe lunghe e magre, le sue, con la pelle liscia e glabra, e molto abbronzate. Sul polpaccio sinistro aveva un vistoso tatuaggio. L’uomo era californiano. Tutti e tre indossavano vecchie tuniche ecclesiastiche appartenute al medesimo coro, tutte e tre di color verde chiaro con passamaneria d’oro. Le tuniche arrivavano dallo stesso negozio della parrucca di T. Karl e gli erano state regalate per Natale. Anche per questo, T. Karl conservava il suo posto di cancelliere ufficiale.
Salutati da qualche fischio e lazzo, i giudici in alt? uniforme andarono a prendere i loro posti dietro un lungo tavolo pieghevole, vicino ma non troppo a T. Karl. Quello basso e rotondo sedeva al centro. Era Joe Roy Spicer e d’ufficio gli toccava il ruolo di presidente del collegio giudicante. Nella sua vita precedente, Spicer era stato giudice di pace nel Mississippi, regolarmente eletto dalla popolazione della sua piccola contea e spedito in gattabuia quando i federali lo avevano sorpreso a scremare gli incassi delle serate di tombola a uno Shriners Club.
«Comodi, prego» invitò il pubblico. Ma nessuno si era scomodato.
I giudici sistemarono meglio le loro sedie pieghevoli e sprimacciarono le tuniche perché il loro panneggio ricadesse con la dovuta eleganza.