Undici minuti è un romanzo di Paulo Coelho del 2003. “Il mio obiettivo è comprendere l’amore.” Così scrive Maria, la protagonista di questo romanzo, all’inizio del suo diario. “Se non penserò all’amore, non sarò niente.”
Maria è una ragazza del sertão brasiliano che, dopo aver incontrato un impresario teatrale sulla spiaggia di Rio de Janeiro, si lascia sedurre dal miraggio di una vita diversa. Trasferitasi a Ginevra, sfumato rapidamente il sogno di lavorare come ballerina di samba, la ragazza, con l’ingenuo cinismo di chi non ha ancora conosciuto il vero amore, affronterà la vita come un’avventura, cercando di conoscere il mondo e l’anima delle persone attraverso la lente dei fugaci incontri che la sua attività le impone, finché un pittore non saprà aprirle le porte di una nuova consapevolezza.
“Quando incontriamo qualcuno e ci innamoriamo, abbiamo l’impressione che tutto l’universo sia d’accordo. Oggi l’ho visto accadere al tramonto. Ma se qualcosa va storto, non resta nulla! Né gli aironi, né la musica in lontananza, né il sapore delle sue labbra. Come può scomparire tanto rapidamente la bellezza che c’era pochi minuti prima? La vita scorre molto veloce: ti fa precipitare dal cielo all’inferno in pochi secondi.”
In questo romanzo Paulo Coelho continua la sua meditazione sulla vita, sull’animo umano e sulla spiritualità che è da sempre al centro dei suoi libri.
Questa volta le sue riflessioni ruotano attorno al tema della sessualità, considerata uno strumento di conoscenza ed esplorazione di sé.
“Vedo che coloro che hanno toccato la mia anima non sono riusciti a risvegliare il mio corpo, e coloro che hanno accarezzato il mio corpo non sono stati in grado di raggiungere la mia anima.”
Romanzo strano, a tratti interessante ed in altri noioso e ripetitivo, inizia come un libro della Allende e finisce come uno della Kinsella, a parte i significati moralistici scontati, non ho capito bene quale sia la morale.
C’era una volta una prostituta di nome Maria. Un momento. “C’era una volta” è la frase migliore con cui cominciare una storia per bambini, mentre “prostituta” è una parola da adulti. Come posso scrivere un libro che rivela questa apparente contraddizione iniziale? Comunque, visto che in ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso, manterrò questo incipit.
C’era una volta una prostituta di nome Maria.
Come tutte le prostitute, era nata vergine e innocente e, nell’adolescenza, aveva sognato di incontrare l’uomo della sua vita (ricco, bello, intelligente), di sposarsi (in abito bianco), di avere due figli (che da grandi sarebbero diventati famosi) e di vivere in una bella casa (con vista sul mare). Il padre faceva il venditore ambulante, la madre era sarta. Nella sua sperduta cittadina del Brasile c’erano solo un cinema, un locale e una piccola banca. Perciò Maria aspettava il giorno in cui il suo principe azzurro sarebbe arrivato senza avvisare, e avrebbe conquistato il suo cuore – e allora lei sarebbe partita insieme a lui alla conquista del mondo.
Fino a quando il principe azzurro non fosse apparso, lei non avrebbe potuto far altro che sognare. S’innamorò per la prima volta a undici anni, mentre si recava a piedi da casa fino alla scuola. Il primo giorno di lezione, scoprì infatti di non essere l’unica a fare quel percorso: accanto a lei camminava un ragazzino che viveva nelle vicinanze e frequentava le lezioni nel suo stesso orario. I due non scambiarono mai una sola parola, ma Maria cominciò ad accorgersi che il momento della giornata che più le piaceva era quello in cui avanzava lungo la strada polverosa, malgrado la sete, la stanchezza e il sole a picco, con quel ragazzino che procedeva lesto mentre lei si sfiniva nello sforzo di mantenere la sua andatura.
La scena si ripetè per vari mesi. Maria, che detestava lo studio e non aveva altra distrazione all’infuori della televisione, si ritrovò a sperare con ogni forza che la giornata passasse rapidamente: aspettava con ansia il giorno di scuola successivo e, al contrario delle compagne, trovava noiosissimo il fine-settimana. Ma, per un bambino, le ore erano ben più lente a passare che per un adulto, e così lei soffriva: reputava che i giorni fossero troppo lunghi perché le concedevano soltanto dieci minuti quotidiani in compagnia dell’amore della sua vita e migliaia di ore in cui pensava a lui, fantasticando su quanto sarebbe stato bello se avessero potuto chiacchierare.