La ragazza fantasma è un romanzo di Sophie Kinsella pubblicato nel 2009, una commedia romantica piena di charme, di ironia e enato di una leggera malinconia.
A ventisette anni, niente funziona nella vita di Lara. Il fidanzato l’ha lasciata, ma lei non si arrende e lo perseguita con messaggi e telefonate, la società di cacciatori di teste che ha aperto con la sua migliore amica non decolla, la socia ha pensato bene di trasferirsi a Goa lasciandola in un mare di guai e la sua famiglia la considera un po’ picchiatella…
Quando si trova costretta dai genitori ad andare al funerale di una vecchia prozia di centocinque anni che non ha mai conosciuto, Lara sente di aver toccato il fondo. Durante la funzione, però, succede qualcosa di incredibile: le appare una ragazza bellissima, diafana, vestita con l’accurata ed eccentrica eleganza degli anni Venti, che le chiede con insistenza: “Dov’è la mia collana? Voglio la mia collana!”.
Chi è questa ragazza? Di quale collana parla? E com’è che solo lei tra i presenti al funerale la vede? Insomma, va bene lo stress, ma addirittura avere le visioni! In effetti l’immaginazione di Lara è sempre stata molto fervida, ma quello che da questo momento le accadrà sorprenderà anche lei. Ciò che ancora non sa è che la misteriosa ragazza comparsa dal nulla, capricciosa, pungente e stravagante, vestita con meravigliosi abiti vintage, diventerà la sua guida, la sua amica più cara, la confidente perfetta, e che la ricerca dell’agognata collana si trasformerà per entrambe in una sorprendente avventura.
Sembra che la Kinsella sia maturata molto in questo romanzo, ma c’è sempre qualcosa di scontato, i personaggi hanno più spessore rispetto ai romanzi precedenti, ci sono meno carte di credito, meno “firme”, meno moda, ma più emozioni e sentimenti.
La lettura delle prime pagine è un pò più lenta, poi diventa veloce e scorrevole e non ci si accorge che si è arrivati alla fine. Ovviamente non bisogna aspettarsi un libro impegnato, è pur sempre chick lit.
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Sapete qual è il problema con i genitori? Si è costretti a mentire per proteggerli. E per il loro bene. Insomma, prendiamo i miei. Se solo avessero un’idea della mia reale situazione – soldi vita sentimentale, impianto idraulico, tasse – gli verrebbe subito un infarto e il dottore chiederebbe: “Qualcuno per caso li ha scioccati?”. E sarebbe tutta colpa mia. Quindi, loro sono qui da meno di dieci minuti e io ho già detto le seguenti bugie:
1) È poco ma sicuro che la L&N Executive Recruitment comincerà presto a realizzare profitti.
2) Natalie è una socia fantastica, ed è stata davvero una grande idea mollare il lavoro per fare la cacciatrice di teste insieme a lei.
3) Tranquilli non vivo solo di pizza, yogurt alle amarene e vodka.
4) Sì, lo sapevo che si paga la mora sulle multe per divieto di sosta.
5) Sì, ho visto il DVD di Charles Dickens che mi avete regalato per Natale: meraviglioso, davvero, per non parlare di quella signora con la cuffietta… sì, Peggotty, proprio lei intendevo.
6) Avevo giusto l’intenzione di comprare un allarme antifumo nel weekend: è davvero una coincidenza che me ne abbiate parlato.
7) Sì, sarà molto bello rivedere tutti i parenti.
Sette bugie. Senza contare quelle sulla mise della mamma. E non abbiamo neanche toccato l’Argomento.
Mentre esco dalla camera con il vestito nero e il mascara messo alla bell’e meglio, vedo che la mamma sta guardando la bolletta del telefono scaduta da tempo sul ripiano del camino.
«Stai tranquilla» dico in fretta «me ne occupo al più presto.»
«Guarda che, se non lo fai, ti staccano la linea e poi impiegano secoli per riallacciarla, e il cellulare qui non prende bene. In caso di emergenza, come te la cavi?» Corruga la fronte per l’ansia, quasi tutto questo stesse per accadere. È come se in camera ci fosse una donna che urla in preda alle doglie del parto e dalla finestra si vedesse un’inondazione in arrivo, e noi in che modo lo chiamiamo l’elicottero? In che modo?
«Ehm… non ci avevo pensato, mamma. Pagherò la bolletta prima possibile, davvero.»
La mamma è sempre stata un tipo apprensivo. Fa quel suo sorriso teso e ha lo sguardo assente, spaventato, e tu capisci che già si prefigura una scena apocalittica. Aveva la stessa espressione durante la festa per la consegna dei diplomi, l’ultimo giorno di scuola. In seguito confessò di aver notato all’improvviso un lampadario a gocce appeso al soffitto con una catena malsicura che aveva iniziato a ossessionarla: cosa sarebbe successo se fosse caduto sulla testa delle ragazze frantumandosi in mille pezzi?
Adesso si sta sistemando il tailleur nero con le spalle imbottite e strani bottoni di metallo che la infagotta da morire. Ricordo vagamente che risale a una decina di anni fa; in quel periodo si era presentata a una serie di colloqui di lavoro e io dovevo insegnarle i rudimenti del computer, tipo come usare il mouse. Ha finito per lavorare in un ente benefico per l’infanzia, che grazie al cielo non impone un abbigliamento formale.
Nella mia famiglia, il nero non dona a nessuno. Papà indossa un completo nero opaco che lo sbatte molto. Per la verità è piuttosto bello, mio padre, con quel fisico snello e la sua aria discreta. Ha i capelli castani e scompigliati come la mamma, che però è bionda come me. Stanno entrambi benissimo quando sono rilassati e nel loro ambiente, cioè quando siamo tutti in Cornovaglia sulla vecchia barca malconcia di papà, con addosso le felpe, a mangiare fagottini ripieni. Oppure quando suonano nella locale orchestra di dilettanti, quella dove si sono conosciuti. Oggi, invece, nessuno è rilassato.