Il ragazzo con gli occhi blu è un libro scritto da Joanne Harris, pubblicato nel 2010 ed edito da Garzanti.
C’era una volta una vedova con tre figli che si chiamavano Nero, Marrone e Blu. Nero era il maggiore, lunatico e aggressivo. Marrone era il figlio di mezzo, timido e ottuso. Ma Blu era il beniamino di sua madre. Ed era un assassino.”
Blu non è più un bambino cattivo. Ora è un uomo di quarant’anni. Vive ancora insieme con la madre in un paese dello Yorkshire dove conduce una vita apparentemente normale. Un’esistenza ordinaria, molto diversa da quella che l’uomo conduce nel mondo virtuale. Sul web Blu ha fondato un blog dedicato a tutte le persone cattive in cui dà sfogo ai suoi desideri più nascosti, confessa pulsioni omicide, racconta la sua infanzia. Pensieri oscuri si agitano nella sua mente di bambino.
Un bambino incompreso, dotato di una sensibilità straordinaria, e ossessionato da una terribile fantasia, quella di uccidere sua madre. Ma cosa è vero e cosa non lo è? Qual è il confine tra realtà e mondo virtuale? Forse l’inquietante amica Albertine lo sa. O forse no. Una cosa è certa: Blu non è quello che sembra.
Di lui Albertine dice: loquace, affascinante, manipolatore. Ma allora chi è veramente? Non resta che scavare nel vero passato di Blu, un passato oscuro, un passato di rivalità e menzogne, segnato dalla presenza di Emily, bambina prodigio dotata di un dono unico e misterioso, quello di ascoltare i colori della musica…
Un romanzo avvincente, disturbante, sorprendente, capace di esplorare le nostre pulsioni più nere, che racconta una storia densa di colpi di scena, ambientata nell’inafferrabile e labirintico mondo del web.
Dopo pochi giorni dall’uscita, Il ragazzo con gli occhi blu ha scalato le classifiche inglesi piazzandosi nella top ten dei libri più venduti, conquistando ancora più lettori e recensioni entusiaste degli altri bestseller di Joanne Harris.
“Lui mi disse che quando era un bambino, lui e suo fratello erano stati obbligati a indossare indumenti di colori specifici per tutta la loro infanzia, quindi che la loro madre selezionava rapidamente tutto il loro bucato. Anche dopo anni dalla morte di sua madre, quest’uomo indossava ancora abiti del colore che lei gli aveva destinato. Da lì ho ho deciso di scrivere una storia sull’effetto psicologico dei colori e su come essi possano influenzare le nostre relazioni e la nostra percezione del mondo”.
E’ un romanzo psicologico delirante, indaga le pulsioni più oscure che si agitano nell’anino umano, una scelta originale della scrittrice.
La lettura non è sempre semplice, gli avvenimenti passano del presente al passato disorientando, confondendo e infastidendo il lettore, un libro che ha un suo perché e che può sconvolgere.
C’era una volta una vedova con tre figli che si chiamavano Nero, Marrone e Blu. Nero era il maggiore, lunatico e aggressivo.
Marrone era il figlio di mezzo, timido e ottuso. Ma Blu era il beniamino di sua madre. Ed era un assassino.Stai leggendo un post di blueeyedboy in: [email protected] Pubblicato alle: 02,56, lunedì 28 gennaio Stato: pubblico Umore: nostalgico Playlist: Captain Beefheart, Ice cream for crow.
Il colore dell’omicidio è il blu, pensa. Blu ghiaccio, blu cortina di fumo, da congelamento, post mortem, blu sacco di plastica per i cadaveri. Ed è anche il suo colore, per tanti aspetti, fluisce nei suoi circuiti come una carica elettrica, strillando blu omicidio in tutte le direzioni.
Il blu colora tutto. Lo vede, lo sente ovunque, dal blu dello schermo del computer fino alle vene sul dorso delle mani di lei, ora rialzate e contorte come le tracce di vermi della sabbia sulla spiaggia di Blackpool, dove andavano una volta, loro quattro, ogni anno il giorno del suo compleanno, e dove lui prendeva un cono gelato, sguazzava nel mare, scovava i piccoli granchi che correvano sotto i cumuli di alghe e li faceva cadere nel secchiello a morire nella calura del sole cocente del compleanno.
Oggi ha solo quattro anni, e c’è un’innocenza particolare nel modo in cui esegue queste piccole uccisioni senza colpa.
Non c’è cattiveria nel gesto, soltanto una forte curiosità per la cosa che tenta di scappare correndo sghemba tutt’intorno alla base del secchiello di plastica blu, e che poi, ore dopo, abbandona la battaglia, le zampe divaricate e la vivida parte inferiore del ventre girata all’insù in una futile esibizione di resa, quando ormai lui ha perduto da tempo interesse e sta mangiando un gelato al caffè (una scelta sofisticata per un bambino tanto piccolo, ma la vaniglia non è mai stata di suo gusto) ; e quando alla fine della giornata lui la riscopre, nel momento di svuotare il secchiello e tornare a casa, è quasi sorpreso che la creatura sia morta, e si chiede, davvero, come una cosa del genere abbia mai potuto essere viva.
Sua madre lo trova con gli occhi spalancati sulla sabbia, a dare dei colpetti alla cosa morta con la punta delle dita. La sua preoccupazione maggiore non è data dal fatto che il figlio sia un assassino, ma dal fatto che sia suggestionabile, e che molte cose lo turbino in una maniera che lei non riesce a capire.
«Non giocare con quella roba», gli dice. «È schifosa. Vieni via da lì.»
«Perché?»
Buona domanda. Le creature nel secchiello sono rimaste indisturbate tutto il giorno. Lui ci pensa su. «Sono morte», conclude. «Le ho raccolte tutte, e adesso sono morte.»
La madre lo prende in braccio. Questo è proprio ciò che teme. Una specie di attacco: lacrime, forse, qualcosa che la farà guardare dall’alto in basso e schernire dalle altre madri.
Lei lo consola. «Non è colpa tua. È stato solo un incidente. Non è colpa tua.»
Un incidente, pensa lui fra sé. Già lo sa che questa è una bugia. Non c’è stato incidente, è stata colpa sua, e il fatto che sua madre lo neghi lo confonde più della sua voce stridula e del modo febbrile con cui lo stringe fra le braccia, macchiandogli la maglietta di olio solare. Lui si tira indietro – detesta il disordine – e lei lo fissa con uno sguardo irritato, chiedendosi se piangerà.
Lui si domanda se forse dovrebbe. Forse lei se lo aspetta.
Però sente quanto sia ansiosa, come faccia di tutto per proteggerlo dal dolore. E il profumo dell’angoscia della sua ma’ è come il cocco dell’olio solare mescolato a un gusto di frutto tropicale, e di colpo gli viene in mente, Morte! Morte! e comincia a piangere davvero.
E così lei calcia della sabbia sul resto della pesca – una chiocciola, un gamberetto, un pesciolino piatto spiaggiato e ansimante con la bocca piegata all’ingiù in una tragica mezzaluna – sorridendo e cantando Ops! Tutto sparito!, cercando di farlo diventare un gioco, e intanto lo tiene stretto, così che nessuna ombra di colpa possa oscurare lo sguardo del suo beniamino.
È così sensibile, pensa lei. Fantasioso in modo stupefacente.
I fratelli sono di un’altra razza, con le ginocchia coperte di croste, i capelli spettinati e le lotte sul letto. I fratelli non hanno bisogno della sua protezione. Si aiutano a vicenda.
Hanno i loro amici. A loro il gelato di vaniglia piace e quando giocano ai cowboy (due dita alzate a fare da pistola), sono sempre i bravi ragazzi e la fanno pagare ai cattivi.
Ma lui è sempre stato diverso. Curioso. Impressionabile.
Pensi troppo, gli dice a volte, con lo sguardo di una donna troppo innamorata per ammettere un vero difetto nell’oggetto della propria devozione. Lui si accorge già di quanto lei lo adori, voglia proteggerlo da qualsiasi cosa, da ogni ombra che possa attraversare i cieli azzurri della sua vita, da ogni possibile danno, perfino da quelli che lui infligge a sé stesso.
Perché l’amore di una madre è acritico, disinteressato e altruistico; l’amore di una madre riesce a perdonare tutto: capricci, lacrime, indifferenza, ingratitudine e crudeltà. L’amore di una madre è un buco nero che inghiotte ogni critica, assolve ogni fallo, perdona la bestemmia, il furto e le bugie e trasforma perfino l’azione più ignobile in qualcosa che non è colpa sua…
Ops! Tutto sparito!
Perfino l’omicidio.